di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 2/8/2016, 2 agosto 2016
IL PELO SUPERFLUO
“L’amore per le cose superflue non è sempre da deplorare, come si potrebbe credere con frettolosa intransigenza, perché l’inutile e il gratuito servono talvolta a darci un senso meno avaro della vita e a farci sopportare con migliore lena le cose necessarie e ardue che la sorte ci impone. Questa è la ragione per cui ci piacciono tanto le dichiarazioni del ministro…”. Ieri stavamo leggendo questo corsivo di Fortebraccio nel libretto antologico “Lor Signori. Corsivi 1971-1972” e, giunti a “…le dichiarazioni del ministro…”, ci aspettavamo di trovarvi il nome di Andrea Orlando. Che forse non tutti lo sanno, ma pare essere il Guardasigilli. Speranza vana: Orlando è nato nel 1969 e nel biennio 1971-’72 non aveva che due o tre anni di vita. Infatti, non potendo ancora conoscere Orlando, Fortebraccio se la prendeva col ministro democristiano Ferrari Aggradi, “il quale, avendo praticamente parlato senza apprezzabili soste in questi ultimi mesi, è riuscito a non dire mai nulla, mantenendosi rigorosamente fedele a una costante e tenace inutilità”. Noi invece non abbiamo avuto la fortuna di conoscere e vedere all’opera Ferrari Aggradi, ma siamo pronti a giurare che, per quanto inutile, lo fosse un po’ meno di Orlando. E dev’essere un bel sollievo per Orlando il pensiero che Fortebraccio non è più tra noi.
Di Ferrari Aggradi, infatti, scriveva che talvolta si prendeva la testa fra le mani, “superando la sorpresa che gli procura ogni volta il fatto che pesi tanto poco”. Possiamo dunque immaginare cosa scriverebbe di Orlando. Che, fra l’altro, è una personcina ammodo: cortese, educato, un po’ timido e mai sgarbato, saluta sempre, non disturba, non sporca, dove lo metti sta. Se non fosse il ministro della Giustizia, sarebbe un ideale compagno di briscola, un perfetto vicino di ombrellone, un apprezzabile dirimpettaio sull’autobus. Il guaio è che da due anni e mezzo avrebbe il compito – così almeno recita la Costituzione, per quel che vale – di far funzionare la giustizia italiana. Impresa titanica in un Paese dove una giustizia funzionante svuoterebbe il Parlamento, decimerebbe il governo, spopolerebbe i consigli regionali e comunali, desertificherebbe i consigli di amministrazione delle principali imprese, banche e assicurazioni. Lui però non demorde e di tanto in tanto, più che altro per segnalare la sua esistenza in vita, alza il ditino ed esala un pensierino. “Ci sarebbe il problema della prescrizione”, “Occorrerebbero norme più stringenti contro la corruzione”.
“Vanno sveltiti i tempi dei processi”. “I tribunali sono senza personale e senza mezzi, bisognerà provvedere”. Lo afferma, direbbe Paolo Conte, con lo sguardo vitreo dei bicchieri di Boemia. E con l’aria del bagnante che leva lo sguardo al cielo e commenta tra sé e sé: “Oggi mi sa che va piovere”. Tanto lo sa che, con Renzi sopra, Verdini a destra, Alfano sotto e B. dietro la porta, non si può toccare nulla, se non per finta. Il 26 aprile, per dire, essendo trascorsi appena due anni dai primi annunci di Renzi (“Basta con l’incubo della prescrizione. Non è possibile che il tempo faccia saltare la domanda di giustizia, perché ci sono dei dolori che non hanno tempo. Non possiamo cedere davanti alla prescrizione”), il pelo superfluo di via Arenula aveva annunciato la riforma della prescrizione “entro luglio”, e non un giorno di più. Poi la scorsa settimana diede un’occhiata al calendario e notò che luglio stava per finire, così annunciò che “l’accordo sulla prescrizione è fatto”. Purtroppo venne prontamente smentito dal collega Angelino Alfano, che diversamente da Orlando rappresenta un partito lo zero virgola ma conta molto più di lui, come tutti del resto: “L’accordo non c’è”. In effetti Ncd e Verdini vogliono una riforma finta, qualche mese in più in primo grado, qualcuno in più in appello, mentre l’unica vera è quella che blocca la prescrizione dopo il rinvio a giudizio o la sentenza di primo grado.
Oggi, casomai la cosa fosse sfuggita a Orlando, è il 2 agosto e naturalmente della riforma della prescrizione non c’è traccia. Il Parlamento si appresta ad andare in ferie che, siccome non c’è nulla di urgente da fare, quest’anno ci resterà fino a metà settembre. Poi i lavori, si fa per dire, si bloccheranno per il referendum di ottobre o novembre, dopodiché ci sarà la finanziaria e tutto riposerà in pace fino a Natale, per il meritato riposo di fine anno. A quel punto saremo già in campagna elettorale per il voto del 2018 e il governo avrà altro da fare, sempreché ne esista ancora uno (in caso di No al referendum, il governo potrebbe essersi già estinto). Però c’è da giurare che, qualunque cosa accada, l’inutile Orlando continuerà educatamente ad annunciare che il problema esiste e l’accordo è lì a un passo. Intanto la libera stampa sarà sempre distratta da ben altri problemi, tipo le colpe della giunta Raggi che in 3 settimane non ha risolto 30 anni di emergenza rifiuti a Roma. E la prescrizione, che falcidia 150 mila processi all’anno e fa perdere miliardi allo Stato, passerà in cavalleria. Ogni tanto il presunto ministro lancerà un penultimatum sulla riforma “entro luglio”, avendo cura di non precisare mai l’anno, poi tornerà a soppesarsi la testa fra le mani. E Repubblica seguiterà a deliziarci con retroscena gozzaniani, tipo quello dell’altro giorno: “Sulla prescrizione, dentro Ncd, si dibattono due anime: quella trattativista di Nico D’Ascola, presidente della commissione, e quella dura di Enrico Costa, il ministro della Famiglia”. Ecco, è tutta una questione di anime, con gran sorpresa per chi pensava che Ncd avesse principalmente un problema di corpi. Del reato.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 2/8/2016