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 2016  agosto 02 Martedì calendario

PHELPS, LA LEGGEREZZA RITROVATA – Michael Phelps affronta i giornalisti in un ufficio del club di football della University of Arizona

PHELPS, LA LEGGEREZZA RITROVATA – Michael Phelps affronta i giornalisti in un ufficio del club di football della University of Arizona. L’uomo pallido di Baltimora è abbronzato dal sole occidentale. Dopo una grave crisi esistenziale, Rio è la destinazione finale dell’atleta più decorato di tutti i tempi. Perché arrivò ai Giochi 2012 con una pessima preparazione? «Non andavo ad allenarmi. Non mi andava. Mi lasciavo trasportare dalle sensazioni. Se mi svegliavo stanco, spegnevo la sveglia e mi rimettevo a dormire. Facevo quello che mi andava quando mi pareva ». Era difficile ritrovare la voglia dopo gli otto ori del 2008? «Questa era una parte del problema. Mi chiedevo: “Qual è la sfida, adesso?” Ma non era solo questo. C’era altro che mi toglieva la voglia di continuare». Il suo allenatore, Bob Bowman, dice che se non avesse attraversato questa crisi, la sua vita sarebbe stata in pericolo. Che ne pensa? «Chi lo sa. Non sapremo mai la risposta». Cosa le ha impedito di sentirsi realizzato tra il 2008 e il 2014? «A volte sono stato felice. Avevo alti e bassi. Penso che cercassi il modo di iniziare un’altra vita». E cosa ha imparato? «A guardarmi dentro e a scoprire chi sono veramente. A essere felice con quel che sono. A sbarazzarmi del peso di cose che ho trascinato per tutta la vita e mi hanno provocato frustrazioni. Come il rapporto con mio padre. Portavo su di me uno zaino pesante e sono riuscito a toglierlo quando ho scoperto che non ne avevo bisogno». Qual era il problema con suo padre? «Sono cresciuto con una madre single in una casa piena di donne: sono state loro a introdurmi al nuoto. Smisi di condividere molte cose con mio padre quando ne avevo bisogno. Non volevo tormentarmi con domande tipo “cosa sarebbe successo se ...?”. Volevo poter parlare con lui di cose su cui non eravamo d’accordo. Volevo avere un padre da poter abbracciare di tanto in tanto. Mio padre e io siamo ostinati e testardi. Avevamo bisogno di dirci in faccia ciò che ci eravamo taciuti per anni. Ne avevo bisogno per uscire da quella situazione bloccata. Finalmente abbiamo costruito un rapporto di amicizia. Adesso ci sentiamo meglio tutti e due. È stato un passo gigantesco nella direzione giusta». Si sente migliore? «La mia personalità è la stessa. Sono ancora un bambino. Sono come quella pubblicità della Toys ”R” Us: Io non voglio crescere. Sono un bambino grande. Rido sempre, cerco di divertirmi più che posso. Ho trascorso la mia vita in piscina. Ci sono cose a cui non ho fatto attenzione. Ne ho portato il peso senza accorgermene». Come si immagina tra dieci anni? Fa progetti? «Il mio progetto è stare più che posso con mio figlio per vederlo crescere. Essere parte della sua vita. È una cosa a cui tengo e del resto non mi importa. Mi piacerebbe continuare il progetto di fabbricazione di quello che ritengo sia il miglior costume da bagno del mondo; e continuare a insegnare ai bambini a sentirsi sicuri in acqua. I bambini sono la mia passione e voglio dedicare molto tempo all’attività di istruttore. È lì che viene fuori il vero Phelps». A Rio nuoterà tre gare individuali e una staffetta: un taglio del 50% rispetto a Pechino e Londra. «Era fondamentale scegliere le prove in cui avrò più possibilità. Nel 2012 ho avuto un’esperienza sgradevole nei 400 misti e ho imparato la lezione». Qual è la sua gara preferita? «Non ho preferenze. Voglio vincere quattro ori». Come gestisce le energie alla sua età? «Devo stare più attento al recupero. Resto di più nella vasca di ghiaccio dopo lo sforzo, mi fanno più massaggi, sto più attento agli stiramenti. Mi stanco molto di più. Non mangio più… non voglio dire cibo spazzatura, ma… solo cibo sano. Sono molto più sano di una volta». C’è una sfida che la entusiasma? «Sarebbe fantastico essere il primo nuotatore a vincere un oro a più di 30 anni. Posso solo giurare che tutto quello che ho fatto in questi mesi è stato prepararmi nel miglior modo di cui sono capace per stare al massimo della forma. Nel 2012 non fu così». Perché nessuno ha mai vinto un oro dopo i 30 anni? «Perché arriva un momento in cui la gente smette di voler nuotare o semplicemente non ce la fa più. Non so se c’è stata gente determinata e ossessiva quanto me. Se mi metto una cosa in testa, non c’è nulla che possa fermarmi. Gli obiettivi che mi sono posto quest’estate sono così enormi che non so se c’è stata gente disposta ad accettare la quantità di dolore e di duro lavoro che ho sopportato». C’è rivalità tra lei e Bolt? «Non mi interessa chi sarà la star più grande. Se ho gareggiato così tanto è perché volevo farlo. Se lui è più famoso, non mi dà fastidio. Quello che ha fatto è incredibile. Vedere una persona che si diverte: è quello che devono vedere i bambini». Cosa pensa del doping di massa in Russia? «Il doping fa schifo. È una merda. Lo dico perché non so cosa si sente nel salire sui blocchi pensando: “In questa gara sono tutti puliti”. Sarebbe bello che tutti combattessero con le stesse armi. Ma ci sarà sempre gente che si comporta in questo modo». Quanti controlli le hanno fatto nel 2016? «Devo essere una delle persone a cui hanno fatto più test nella storia delle Olimpiadi. Analisi del sangue e delle urine due volte al mese e perfino tre. Nel 2008 mi fecero più controlli di quanti potessi immaginare. Fui un caso esemplare». (© El País/LENA, Leading European Newspaper Alliance)