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 2016  luglio 31 Domenica calendario

STARTUP SCOPRE GIACIMENTO DI ELIO. IL PROGRESSO È SALVO

Non è solo dire addio ai palloncini delle feste. La carenza di elio, annunciata per il 2021, mette a rischio, tra gli altri, anche i sistemi di anestesia di ospedali e studi dentistici, le macchine per la risonanza magnetica, i magneti superconduttori che fanno funzionare l’Lhc (da solo ne usa 120 tonnellate), gli impianti per la produzione dei wafer in silicio dei microchip, i lanciatori delle missioni spaziali e moltissimi processi dell’industria hi-tech come gascromatografi. Sì, perché questo gas incolore e non tossico, è preziosissimo per due ragioni: è inerte e non reagisce con nulla, ma soprattutto, è leggerissimo e resta gassoso fino a -269 °C, in pratica appena quattro gradi sopra allo zero assoluto. Proprio questa caratteristica lo rende indispensabile nei laboratori e nell’hi-tech. Ai fisici, per esempio, è utilissimo per raffreddare le molecole fin quasi allo zero assoluto dove diventano finalmente osservabili gli effetti quantistici impercettibili a temperature più alte. Anche gli astronomi del telescopio antartico Bicep2, hanno portato fino al Polo Sud (dove le temperature sono già intorno ai -40°C), litri e litri del gas per raffreddare le fluttuazioni dello strumento.
L’elio è quindi una materia prima strategica non solo per il mondo della tecnologia, ma anche per quello della sanità. Il problema è che, analogamente al petrolio, questo gas è una risorsa finita e una volta dissolto nell’aria è impossibile recuperarlo. La sua produzione avviene dal decadimento di elementi radioattivi come l’uranio nella crosta terrestre fissandolo nelle rocce. I fenomeni geologici fanno il resto portando alla sua liberazione e accumulo in giacimenti sotterranei. La sua produzione è finora stata un sottoprodotto del settore energetico perché in un litro di gas naturale si trova in media anche uno 0,4% di elio. Oltre alla scarsità, dovuta all’aumento dei consumi cresciuti del 100% negli ultimi 25 anni, il problema è la volatilità del prezzo da un anno all’altro che può arrivare anche a un 15-20% oscillando tra i 4 e i 35 dollari al litro mettendo in difficoltà soprattutto il mondo della ricerca, che ha budget molto più rigidi di quelli industriali o militari. Il prezzo è sostanzialmente dettato dal mercato americano, responsabile del 70% della produzione grazie alla National Helium Reserve, una riserva sotterranea da 680 milioni di metri cubi vicino ad Amarillo, in Texas, dove il governo federale ha stoccato oltre un miliardo di metri cubi del gas. Con l’Helium act del 1996, Washington varò un piano di progressiva dismissione di questa riserva per metterla sul mercato e ripianare i suoi enormi costi. La scelta americana ha inondato il mercato di elio a basso prezzo deprimendo la crescita della filiera (ci sono appena 12 impianti di produzione in tutto il mondo), ma anche la ricerca per sistemi più efficienti o soluzioni alternative e senza aiutare granché il bilancio Usa. Per questo nel 2013 è stato introdotto un sistema di asta che però è ancora più distorsivo perché con pochi grandi compratori che si aggiudicano tutti i lotti c’è poca trasparenza sul prezzo finale.
Quello che però fa più paura a ricercatori e tecnologi è l’orizzonte del 2021, data per la quale il governo federale si è impegnato a cessare le vendita del giacimento texano che rimarrà una risorsa strategica ad appannaggio del Pentagono e della Nasa. A complicare le cose, come ha osservato il Nobel Robert Richardson c’è il fatto che le rocce di scisto, verso le quali l’industria Usa sta riconvertendo la maggior parte della produzione di gas naturale, contengono solo tracce di elio. In questo scenario c’è per fortuna una buona notizia. Alcune settimane fa la startup norvegese Helium One ha annunciato di aver scoperto in Tanzania, un paese che fino a ieri non era nemmeno sulla mappa dei produttori, un giacimento di dimensioni e concentrazioni senza precedenti. Situato nella Rift Valley, dove c’è un’intensa attività vulcanica e geologica, il giacimento di Rukwa, è stimato intorno a 1,52 miliardi di metri cubi, quanto basta per riempire migliaia di scanner per la risonanza magnetica per decenni. «È stata una scoperta quasi casuale – racconta Thomas Abraham-James, 34enne geologo sudafricano e Ceo di Helium One – perché nel 2013 lavoravo in Tanzania nell’estrazione dell’oro e mi imbattei in una serie di articoli di un giornale locale che vantavano l’abbondanza di elio nella regione. Ma la fortuna è stata soprattutto che esisteva già un’abbondante documentazione». Negli anni ’50, infatti, i britannici avevano meticolosamente scandagliato la regione della Rift Valley alla ricerca di giacimenti di gas. «Non avevano trovato granché – spiega Abraham-James –, ma avevano documentato tutto, in particolare la forte concentrazione di elio nei campioni prelevati. Diversamente dai giacimenti di gas naturale dove l’elio è meno dell’1%, a Rukwa abbiamo una concentrazione che arriva al 10% e questo cambia completamente l’equazione dei costi di sfruttamento. In più non ci sono idrocarburi, ma solo un po’ di azoto, anidride carbonica metano e argon».
Helium One ha avuto, ancora una volta, la fortuna di poter sfruttare alcuni pozzi di prospezione scavati dalla Amoco negli anni ’90 che le hanno consentito di validare una metodologia di ricerca sviluppata in collaborazione con l’Università di Oxford, in Gran Bretagna, e di Durham, negli Usa, che spera di applicare ancora nella regione. L’azienda inoltre, si è già assicurata una licenza di esplorazione esclusiva che conta presto di trasformare in una licenza di produzione arrivando a mettere sul mercato i primi metri cubi di elio africano già entro il 2018. «Puntiamo ad avere un prezzo più alto di quello del mercato attuale con un margine di oltre il 70% sui costi di produzione – spiega il Ceo che ha già raccolto 40 milioni di dollari da investitori internazionali – e garantire una flessibilità nei volumi che finora nessuno ha avuto perché la produzione era legata all’estrazione di gas». Un altro vantaggio di questa nuova industria dell’elio è che ha un impatto ambientale bassissimo. «Una volta a regime un nostro impianto avrà 20 operatori – spiega il geologo – non ha niente a che vedere con i sistemi estrattivi tradizionali perché l’elio è inerte, non c’è rischio di esplosioni né di avvelenamenti. La cosa peggiore che ti può succedere, in caso di una perdita è di cominciare a parlare come Paperino per qualche minuto».
Guido Romeo, Il Sole 24 Ore 31/7/2016