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 2016  luglio 31 Domenica calendario

QUANDO AL POSTO DEGLI HACKER C’ERANO LE SPIE STILE LE CARRÈ

«So what» – e allora? –, si sarebbe forse limitato a osservare John Brennan, il direttore della Cia, se Donald Trump fosse stato capace almeno una volta di riflettere prima di dire quello che pensa. Russi e americani si sono spiati sempre, e quasi sempre hanno tentato d’influire sulle vicende interne dell’avversario. Prima, durante e dopo la Guerra fredda. La cosa seria non è che gli hackers alle dipendenze del Cremlino abbiano diffuso le mail del Comitato nazionale democratico per indebolire la candidatura di Hillary Clinton. La cosa più grave che seria è che un cittadino americano abbia pubblicamente istigato i russi a spiare ulteriormente e compromettere altri americani. E la cosa serissima è che il sobillatore sia un candidato alla massima carica politica del paese: con qualche approssimazione cinematografica, è come se la spia venuta dal freddo fosse lo stesso uomo che fra qualche mese potrebbe avere il compito di scovarla. Dieci giorni fa l’intera convention repubblicana era stata un processo sommario, stile caccia alle streghe, contro Hillary Clinton colpevole di avere spostato mail segrete sul suo account personale, quando era segretario di Stato. «Tradimento!» era il grido comune di tutti gli oratori, anche di quelli conosciuti per la loro moderazione. Molti patrioti repubblicani avranno ora materiale per riflettere.
“Tinker Tailor Soldier Hacker”, per parafrasare il titolo originale del capolavoro di John le Carré (“La talpa” in italiano) che essendo stato scritto nel 1974 aveva la parola “spia” al posto dell’allora inesistente “hacker”. Cose vecchie e scontate, dunque, nei rapporti fra Stati Uniti e Urss/Russia. Solo cinque anni fa era stato Vladimir Putin ad accusare Hillary Clinton – allora segretario di Stato – di manovrare le manifestazioni democratiche anti-regime.
È estremamente probabile, quasi certo, che il Cremlino stia lavorando per dare una mano a Donald Trump: chiunque al posto di Putin lo farebbe col candidato americano che vuole smantellare la Nato e che, se andasse al potere, comprometterebbe alcuni valori fondamentali della democrazia americana. Il modello politico di Trump è Vladimir Putin: il capitalismo di pochi, con poche regole e nessuna democrazia. Da tempo la Russia sostiene tutti i partiti populisti di estrema destra europei: dai finanziamenti al Front National francese ai viaggi pagati a Mosca di Matteo Salvini con felpa di sostegno a Putin. È interferenza nei nostri affari interni? Finito il comunismo, c’è una effettiva e legittima convergenza fra il nazionalismo putiniano e gli obiettivi di quei partiti europei: dall’ostilità alla Ue al rifiuto di molti diritti umani, dall’anti americanismo a un ordine globale che si richiama al passato. Ma è ugualmente provato che nemmeno gli americani abbiano sempre affrontato le vicende degli altri con spirito olimpico. Hanno sostenuto i ribelli di Kiev, non tutti democratici. Hanno appoggiato Boris Eltsin contro il tentativo di golpe vetero-comunista del 1991, e poi approfittato della sua debolezza. Diversamente dai russi, i governi americani e la Cia, cercano di far vincere i democratici. Ma non sempre è stato così: in passato sostenevano i golpe organizzati per impedire elezioni o sovvertirne il risultato.
Se Donald Trump non avesse esortato la Russia a non smettere di mestare nelle elezioni americane, la storia della scoperta delle origini politiche degli hacker, sarebbe già finita. Resta comunque un utile motivo di riflessione per quegli elettori conservatori e operai di origine Est-europea in quella rust belt che Hillary sta già battendo in cerca di voti. Ma se Clinton vincerà, non ci saranno conseguenze politiche: da gennaio, quando il nuovo presidente avrà giurato, russi e americani riprenderanno a dialogare, continuando a essere concorrenti. La cosa interessante è se vincerà Trump: quando gli Stati Uniti avranno alla Casa Bianca un entusiasta ammiratore di Vladimir Putin.
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 31/7/2016