Morya Longo, Il Sole 24 Ore 31/7/2016, 31 luglio 2016
QUELLE FRAGILITÀ CHE GLI STRESS TEST NON VEDONO
«Lo stress test 2016 conferma la capacità di resistenza a uno shock severo del sistema bancario europeo». Andrea Enria, presidente dell’Eba, non esita a sottolineare che gli esami sotto sforzo hanno mostrato una tenuta del sistema creditizio europeo su cui in pochi avrebbero scommesso alla vigilia. Ma il fatto che le principali banche del Vecchio continente abbiano (con pochissime eccezioni) superato gli esami, non significa che il sistema europeo sia fuori dal guado. Innanzitutto perché gli stress test hanno riguardato 51 istituzioni creditizie, sulle 6.818 attualmente esistenti nell’Unione europea: se le maggiori sono abbastanza solide per far fronte a possibili shock, molti problemi continuano ad affliggere le più piccole. Inoltre perché gli stress test non considerano il principale nodo attuale delle banche: la bassa redditività. Infine perché non basta avere banche abbastanza solide per far fronte agli shock: servono anche istituzioni creditizie in grado di sostenere la ripresa economica. Ecco perché l’esito degli stress test è positivo per l’Europa (speriamo anche per la Borsa), ma per passare davvero il guado serve di più: un sistema bancario ristrutturato, più concentrato, con un modello di business adeguato all’era dei tassi a zero e all’era di Internet.
Il primo nodo che gli stress test non sciolgono è quello delle banche piccole. È vero che non si tratta di istituti a rischio sistemico, ma è anche vero che su queste si appoggiano molte (moltissime) piccole e medie imprese europee: se soffrono le piccole banche, intere aree geografiche rischiano dunque di patire altrettanto. Prendiamo il caso delle Landebank tedesche. Senza dare troppo nell’occhio, soffocano nei crediti deteriorati: nei loro bilanci – secondo l’ultima analisi di R&S Mediobanca – i finanziamenti inesigibili ammontano infatti al 51% del capitale netto, il doppio rispetto alla media europea. E, a differenza delle banche italiane che coprono i crediti dubbi più della media europea, le Landesbank hanno un tasso di copertura di 15 punti percentuali inferiore rispetto alla media del Vecchio Continente. Insomma: tanti prestiti andati a male, ma basse svalutazioni. Hanno poi un’inferiore capitalizzazione, una bassissima redditività e un rapporto tra costi e ricavi peggiorato di 10 punti solo nell’ultimo anno. Nonostante gli abbondanti aiuti statali ricevuti, sono insomma tutt’ora piene zeppe di problemi. Se si considera che tutte le Landesbank messe insieme hanno attivi pari al 63% di quelli di Deutsche Bank, si capisce che non sono affatto insignificanti. Se soffrono loro, soffre insomma una fetta importante dell’economia tedesca.
E un discorso simile si può fare sulle Casse di risparmio spagnole. Sempre secondo i dati di R&S Mediobanca, nonostante queste piccole istituzioni abbiano già scaricato i loro crediti deteriorati nella bad bank statale anni fa, i loro bilanci continuano ad essere pieni zeppi di finanziamenti andati a male. Includendo i ristrutturati, i crediti dubbi nei loro bilanci ammontano infatti al 14,8% del totale crediti, contro una media europea del 3,2%. Rispetto al capitale netto, i finanziamenti deteriorati ammontano al 116,7%, rispetto al 25,6% medio europeo. È vero che queste banche hanno effettuato vari rafforzamenti patrimoniali negli ultimi anni e che oggi hanno tutte coefficienti in linea con quelli minimi previsti dagli accordi di Basilea, ma è anche vero che i loro indici di solvibilità restano inferiori alla media europea. La fragilità, insomma, c’è. Come nelle piccole banche italiane. Stanno fuori dagli stress test, dai clamori, dai patemi della Borsa. Ma questo consola poco.
Ma anche gli stress test hanno evidenziato elementi di debolezza in vari Paesi. Per esempio in Austria, che si è distinta per la seconda banca (Raiffeisen Landesbanken) più debole d’Europa. Ma anche escludendo questo caso limite (la banca sta già provvedendo a migliorare i suoi coefficienti con una fusione), è l’intero sistema ad avere un elemento forte di fragilità: gli istituti austriaci pagano infatti la loro esposizione nell’Est Europa. Idem in Irlanda, dove le banche hanno ancora la più alta incidenza di crediti deteriorati in bilancio d’Europa (Grecia esclusa) nonostante la bad bank statale varata anni fa. Insomma: Paese che vai, fragilità che trovi.
Infine gli stress test non fanno emergere quello che oggi è il vero problema delle banche europee: la scarsa redditività. Come notava ieri Scope Ratings, «le principali debolezze strutturali restano fuori dai test». Oggi pesano i tassi a zero della Bce, che hanno praticamente dimezzato i ricavi derivanti dall’erogazione del credito in tutta Europa. Molte banche stanno compensando questa perdita con altre fonti di ricavo, per esempio le commissioni derivanti dalla gestione del risparmio. Ma anche questa fonte rischia di finire sotto stress, «a causa dell’impatto della tecnologia, del cambiamento nel comportamento dei risparmiatori e della concorrenza sempre più agguerrita». Ecco perché avere le 51 maggiori banche senza stress è positivo (ovvio) ma non basta: perché le sfide del sistema bancario, e con esso dell’economia del Vecchio continente, sono ancora tante. Meglio affrontarle senza stress, ma vanno comunque affrontate.
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 31/7/2016