Fabrizio D’Esposito, il Fatto Quotidiano 31/7/2016, 31 luglio 2016
DIETRO LA FUGA DI KAPPLER LE LITI TRA LEADER DELLA DC
La mattina di Ferragosto del 1977, intorno alle dieci, suor Barbara fa il consueto giro al secondo piano del reparto di chirurgia del Celio, ospedale militare di Roma. Esce dall’ascensore, poi il carabiniere di guardia le apre la porta del reparto, chiusa a chiave. La religiosa si dirige alla stanza dove è ricoverato Herbert Kappler, settantenne nazista condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e a 15 anni per la “requisizione arbitraria” di 59 chilogrammi d’oro della comunità ebraica di Roma. Bussa ed entra. Il letto di Kappler è vuoto e i misteri iniziano subito. Secondo una prima versione, la suora sostiene di aver trovato un fantoccio al posto dell’ufficiale delle Ss. In seguito, invece, dirà di aver pensato che l’uomo fosse in giardino per una passeggiata. Di qui il ritardo nell’allarme, dato da suor Barbara solo tre quarti d’ora più tardi, alle 10 e 45.
Il giorno prima, Kappler è stato visitato dal capitano medico Contreas che gli ha diagnosticato nel suo referto quotidiano: “Febbre 39.5, forti dolori addominali. In imminente pericolo di vita”. Quando il capitano consegna il rapporto aggiunge: “Per me non arriva a domani”. Kappler ha un cancro al colon, in metastasi. Per questo motivo, nel marzo del 1976 con un decreto del ministro degli Esteri Arnaldo Forlani, è stato trasferito dal carcere militare di Gaeta al Celio. La sorveglianza è affidata ai carabinieri. Al secondo piano è rinchiuso anche il colonnello Amos Spiazzi, incarcerato per il golpe Borghese.
I primi accertamenti indicano che la fuga di Kappler è avvenuta all’una della notte tra il 14 e il 15 agosto. Il piano è stato studiato in ogni dettaglio. Ma sulla prima parte, quella decisiva, ancora oggi non vi sono certezze. A caldo, il governo accredita l’incredibile tesi del nazista nella valigia. A causa del cancro, il colonnello delle Ss pesa 48 chili. La protagonista della fuga è sua moglie Anneliese Wenger, sposata nel 1972. La donna è una guaritrice e il marito ha rifiutato le cure tradizionali per curarsi con l’omeopatia.
La testimonianza dei due carabinieri di guardia, beffati e fatti arrestare dalla Procura militare, è questa: “Da quella stanza è uscita soltanto Anneliese Kappler poco dopo l’una con una valigia in mano. Pochi minuti dopo è tornata, è rientrata nella camera, poi è riuscita camminando in punta di piedi con le scarpe in mano. Il prigioniero non l’abbiamo mai visto. Anzi: non lo vedevamo da mesi”. La valigia è nera, lunga 80 centimetri, larga 65 e con uno spessore di 15. Un bambino non c’entrerebbe. Eppure il dc Vito Lattanzio, ministro della Difesa, fa balenare la suggestione. Poi la ricostruzione viene ribaltata. Frau Kappler, donna robusta, ha preso il marito, se l’è caricato addosso e infine lo ha calato dalla finestra con fune e carrucola, dall’altezza di dodici metri. Ancora: il nazista è uscito dalla stanza ed è sceso col montacarichi. Una volta in Germania, è la stessa Anneliese a rivelare di averlo calato dalla finestra.
Nel 2007 ammette la messinscena: “Parlai della corda e della carrucola perché non volevo che qualcuno fosse incolpato. In realtà, avvolsi il colonnello in una coperta e lentamente ci avviammo per le scale, scendendo un gradino alla volta senza fare il minimo rumore. Giunti in macchina, distesi mio marito sul sedile posteriore. Era quasi l’una di notte e sapevo di poter contare su almeno sette ore di vantaggio, fino al controllo mattutino del prigioniero”. E i carabinieri di guardia? A scoprire la fuga fu poi suor Barbara alle dieci di mattina, non alle otto.
Il tragitto verso la Germania, attraverso il Brennero, è un’altra odissea. In azione due auto, una Opel Bianca e una Fiat 132 rossa. Quest’ultima fonde il motore, verso il confine, e viene abbandonata. Si fa fatica a ricostruire il numero esatto dei complici della moglie di Kappler. La scoperta del famigerato Anello, il servizio clandestino e parallelo agli ordini di Giulio Andreotti (Licio Gelli dixit), ha però individuato nell’ex mussoliniano Adalberto Titta, capo operativo dell’apparato deviato, il referente italiano dell’operazione. Il dettaglio non è secondario. Il quotidiano Lotta Continua titola: “Una fuga di Stato”.
Il 1977 è l’anno di mezzo del governo di solidarietà nazionale presieduto da Giulio Andreotti, detto anche il governo della non sfiducia per l’astensione del Pci di Enrico Berlinguer. È l’Andreotti III del compromesso storico. La fuga farsa di Kappler fa parte di una trattativa avviata con il decreto di Forlani per spostare l’ergastolano da Gaeta al Celio. Nella Germania dell’Ovest c’è un vasto movimento trasversale, che comprende anche la sinistra teutonica al potere, favorevole alla liberazione dell’anziano nazista malato di cancro.
Non a caso, la notte di Ferragosto sigilla mesi e mesi di trattative tra i due Paesi. Nel memoriale scritto nella prigione brigatista, Aldo Moro, presidente del Consiglio prima di Andreotti, afferma di non essersi prestato ai progetti per riportare Kappler nella Germania al di qua del muro di Berlino. Nello scandalo, la posizione più controversa è quella del ministro Lattanzio, individuato come capro espiatorio da molte forze politiche.
Si dimette il 19 settembre. La soluzione è tipicamente andreottiana: Lattanzio occupa la Difesa che in base al manuale del dc Cencelli per la spartizione delle poltrone vale tre punti. Andreotti lo sposta ai Trasporti, due punti, e alla Marina Mercantile, un punto. Pci, Psi, Pri e Psdi ottengono le dimissioni dalla Difesa e il governo è salvo. Dirà poi Lattanzio: “Fui l’agnello sacrificale, pagai per tutti. Non sono mai riuscito a sapere chi diede l’ordine ai carabinieri di allentare la sorveglianza: se Moro, Andreotti o Forlani. Ricordo solo che il governo fu preso dal panico e io pagai per placare l’ira popolare”. Il 23 agosto alla manifestazione indetta da Berlinguer a Roma per protestare contro “l’evasione del criminale nazista”, gli autonomi imbrattano di scritte il palazzo di via Botteghe Oscure, sede nazionale del Pci. Tipo: “Pci = SS”. Meno di sei mesi dopo, il 9 febbraio 1978, il nazista Kappler muore a Soltau, in Bassa Sassonia.
FABRIZIO D’ESPOSITO, il Fatto Quotidiano 31/7/2016