di Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 1/8/2016, 1 agosto 2016
GUARDATE QUESTE UNGHIE E DITE SE NON VI SEMBRANO FESSE
Che ci fa Dante in un centro estetico (molto alla page)? Teoricamente nulla, a meno che non ti capiti di aver bisogno di un ritocco allo smalto e di essere fuori sede. A beneficio del lettore maschio che probabilmente lo ignora, fino a qualche tempo fa, farsi una manicure o un semplice cambio-smalto era un affare semplice. Prendevi appuntamento, ti facevano accomodare, a un certo punto arrivava una ragazza che eseguiva un rituale piuttosto codificato e universale. Per prima cosa ti toglievano lo smalto vecchio con un po’ di acetone (più chic la dicitura “solvente) su un dischetto di cotone. Poi ti facevano immergere le mani in un po’ di acqua tiepida per ammorbidire la pelle, ti sistemavano le cuticole, limavano e tagliavano le unghie e infine ti mettevano lo smalto del colore che sceglievi. Una cosa semplice.
Ma le complicazioni – travestite da semplificazioni – sono sempre in agguato. Così hanno inventato la “ricostruzione”, ovvero l’applicazione di unghie artificiali attraverso un gel, tecnica grazie alla quale si possono anche allungare le unghie: c’è di buono che lo smalto dura un sacchissimo, tipo 20 giorni. Non si sbecca, non si “mangia”. Insomma è perfetto. Però infragilisce un po’ l’unghia motivo per cui è stato inventato lo smalto semi-permanente che resta intatto meno a lungo ma non ha effetti collaterali. Giunti a questo punto si capirà che quel una volta era facile facile, oggi si è trasformato in un dilemma amletico. Se un tempo si andava dall’estetista con la mente sgombra, oggidì si è di fronte a scelte plurime, le quali presuppongono programmazioni, riflessioni e un conseguente impegno del cervello non indifferente.
Non è finita. Tornando all’inizio della nostra storia, ti può succedere che telefonando per prendere un appuntamento con la banale finalità di avere le “mani in ordine”, come diceva la nonna, ti venga posta la seguente domanda: “Desidera un’applicazione di nail-art? Abbiamo anche una truccatrice di unghie”. Cosa sarà mai una “truccatrice di unghie”? È una soave signorina che non si può chiamare estetista (bensì artista delle unghie) che dipinge gli artigli. E non li definiamo così per banali questioni redazionali (evitare le ripetizioni), ma perché questi capolavori su cheratina si sviluppano su notevoli superfici.
Tanto che nei cataloghi (ci sono anche quelli) si vedono unghie con metrature inquietanti, che sconvolgerebbero anche il più perverso dei feticisti e per le quali ci vorrebbe il porto d’armi. Sopra ci si può disegnare ogni cosa: fiori, cuori, personaggi dei cartoni animati, frutti, origami, scarpe da ginnastica, aerei. Perfino miniature, in tutti i colori del mondo. Una volta le nuance a disposizione nel banco dell’estetista erano relativamente poche: o rosse o neutre con diverse sfumature.
Adesso vanno di gran moda il verde pisello, il blu elettrico, il marrone, il giallo. Roba buona per i giochi delle bambine. Invece, a farci caso, si vedono in giro signore non proprio nel fiore della giovinezza con le unghie nere o verde militare. Mani e piedi. Ma questo è niente: volendo sopra l’unghia si possono applicare fiocchetti e diamantini. E borchie (davvero), su sfondo militare.
Ed è qui che arriva Dante, che nel sedicesimo canto del Purgatorio, discettando su le leggi terrene e le potestà papali a un certo punto dice che il pastore non ha “l’unghie fesse” (divise), per dire – se non ci ricordiamo male – che non distingue tra il bene e il male. Va bene, va bene: il richiamo è più che azzardato. Ma guardate queste unghie e dite se non vi sembrano fesse.
di Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano 1/8/2016