di Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 1/8/2016, 1 agosto 2016
“SOGNAVO DI DIVENTARE CHIRURGO, MENTRE ORA SONO UN BASTARDO” – [Intervista a Antonio Folletto] – Certe vite corrono più in fretta di altre: “Mio padre è morto quando mia madre era incinta e non l’ho mai conosciuto, mamma lavorava e lavora ancora in una casa di cura in cui presta servizio ad anziani e disabili”
“SOGNAVO DI DIVENTARE CHIRURGO, MENTRE ORA SONO UN BASTARDO” – [Intervista a Antonio Folletto] – Certe vite corrono più in fretta di altre: “Mio padre è morto quando mia madre era incinta e non l’ho mai conosciuto, mamma lavorava e lavora ancora in una casa di cura in cui presta servizio ad anziani e disabili”. Da Napoli a Viareggio: “Ci trasferimmo in Versilia quando avevo appena compiuto sei anni, a metà della Prima Elementare” Antonio Folletto non si è mai fermato. Con otto spettacoli teatrali alle spalle (l’ultimo il Romeo e Giulietta di Andrea Baracco con Lucia Lavia e Alessandro Preziosi, appena andato in scena a Verona) due film per il cinema e quasi dieci per la televisione (lo vedremo su Rai Uno ne I bastardi di Pizzofalcone girato da Carlo Carlei) il sogno di questo ragazzo del Febbraio 1988 può dirsi realizzato: “Al cinema andavo sempre con mio nonno. Vedevo questa cosa bella sullo schermo e tornavo a casa un po’ turbato. Sentivo la gioia e sentivo il tormento delle storie a cui assistevo e immaginavo di far parte in qualche modo di quel mondo”. Dopo il diploma all’Accademia di Arte Drammatica, è arrivato il debutto in Tre Tocchi di Marco Risi, la platea veneziana per L’attesa di Piero Messina (in una Sicilia astratta e delocalizzata, Folletto recita a fianco di Juliette Binoche) e il ruolo di ‘O principe nella seconda serie del Gomorra televisivo di Sollima, Comencini, Cupellini e Giovannesi per Sky: “Avevo sostenuto il provino per Sollima, ma erano passati alcuni mesi dal nostro incontro e non era accaduto niente. Nell’attesa di una risposta, pensando che non mi avrebbero mai richiamato, avevo fatto altro. Un giorno invece ricevo una telefonata dalla produzione di Gomorra. Mi convocano per fare da spalla a Sciànel e a Patrizia, due protagoniste della serie, recitando le battute di Fortunato Cerlino. Mi dicevo ‘Il boss Pietro Savastano non lo posso fare, Ciro di Marzio l’immortale neanche, che resto a fare qui?”. Folletto non lo sapeva, ma Sollima gli aveva scritto addosso un personaggio ambiguo: “‘O principe, uno che taglia la droga come nessuno, ma pretende di non sporcarsi le mani. Uno che vive a Scampia con una pantera sul terrazzo. Uno che sogna di emigrare, ma ha talmente tanta ambizione e tanta fame che pur sentendosi diverso da quelli con cui conclude gli affari, esattamente come loro, non riesce a lasciare la piazza in cui troverà la morte perché pur di arrivare allo scopo è disposto a tutto, anche a morire”. ‘O Principe è un cinico, ma anche un sognatore: “Non è un killer, ma provoca del male lo stesso ed è moralmente attaccabile come e più di quelli che disprezza. Non è un ragazzo che fa affari sotto i portici dileguandosi all’arrivo della Polizia, né un soldato della guerra di Camorra. È un’altra cosa. Possiede una abilità che gli altri non hanno e si illude che quella abilità lo possa salvare restituendogli un’immunità: ‘Chi tocca me, tocca il proprio portafogli’ dice. E sbaglia”. A scuola Antonio Folletto andava molto male: “Venni bocciato al primo approccio con il Liceo e poi anche nell’anno della maturità. I soldi per frequentare una scuola privata non li avevo, così preside e professori mi aiutarono a sostenere due anni in uno”. Superata la prova, Folletto si è immesso sulla strada di un mestiere in cui l’esame è continuo: “Per recitare con Juliette Binoche ho sostenuto cinque provini. So che ci sono colleghi che lo soffrono, ma a me sembra che sottoporsi al giudizio di che ha pensato il film sia assolutamente normale. Se vieni assoldato dopo cinque tentativi, significa che la scelta non è superficiale, ma che il regista ti vuole veramente, che si è fatto delle domande su di te come era capitato a Messina per l’Attesa”. Alla teatralità dei natali napoletani: “Che Napoli sia un teatro a cielo aperto l’ha detto per primo Eduardo”, Folletto ha unito quella toscana: “Che è diversa, ma è viva e ha molti punti in comune con quella del territorio da cui provengo. Le cose che metto in scena, gli atteggiamenti, le smorfie e persino le situazioni, io le prendo dalla gente. Da quello che vedo e poi riproduco, dalle vite degli altri”. Recitare gli pare: “Un gioco molto serio a cui da ragazzino, al di là dell’ammirazione per Totò, non pensavo assolutamente di partecipare”. Nell’adolescenza a Viareggio, Antonio Folletto sperava di diventare altro: “Quando mia madre mi chiedeva cosa sognassi di fare rispondevo sempre: ‘Il chirurgo plastico’. Associavo la chirurgia a qualcosa di bello, utile e remunerativo”. Senza costruire maschere per gli altri, Folletto ne ha indossate tantissime: “Dopo aver fatto mille lavoretti e incontrato come tutti qualche scoglio”. Nei registi con cui ha lavorato (sa Lucio Pellegrini in Limbo a Giulio Manfredonia in Sotto Copertura) gli piace ricordare la semplicità: “Perché i grandi sono semplici. È grande e signorile Marco Risi, uno che ti spiega con calma cosa si aspetta da te con la pazienza dei padri che hanno avuto a loro volta un padre nobile. Ed è grande e quasi mostruoso nella capacità di trasmettere indicazioni alla troupe e tenere con mano salda il set, un altro regista che ha avuto il genitore come maestro involontario, Stefano Sollima”. Il lavoro in Gomorra 2, dice Folletto: “È stato stimolante perché Sollima non è ipocrita: il male lo guarda in faccia e non lo sterilizza. Sul set Stefano era di una tranquillità impressionante: ‘Ah cì, mi raccomando, se ti devi incazzare incazzati davvero’ diceva. E non lo diceva come l’allenatore lo direbbe al boxeur, ma con una calma olimpica”. La stessa che a casa Folletto va in direzione ostinatamente contraria alla carriera in volo e al divismo obbligato: “Non succederà, ma se mi dovessi mai montare la testa, a riportarmi a terra penserebbe mia sorella. Siamo molto legati, ma a lei di quel che faccio importa poco o nulla. A stento sa che film ho fatto, che ruoli ho avuto, a quali avventure ho partecipato: ‘Ah, ma c’eri anche tu in quella serie? Sai che non ci ho fatto caso’. E io rapido: ‘Hai ragione, a volte con i nomi mi confondo anch’io’. E riprendiamo a parlare. Rigorosamente d’altro”. di Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 1/8/2016