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 2016  luglio 31 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - PUTIN SPIA HILLARY E AIUTA TRUMP www.repubblica.it WASHINGTON - Hillary Clinton accusa direttamente Mosca per il furto delle email e dei dati all’interno dei server del Democratic National Commitee, il comitato che guida il partito democratico Usa

APPUNTI PER GAZZETTA - PUTIN SPIA HILLARY E AIUTA TRUMP www.repubblica.it WASHINGTON - Hillary Clinton accusa direttamente Mosca per il furto delle email e dei dati all’interno dei server del Democratic National Commitee, il comitato che guida il partito democratico Usa. "Sappiamo che sono stati i servizi segreti russi e sappiamo che hanno organizzato anche la diffusione di quelle mail". Oggetto del furto sono 19.250 email con ottomila allegati del Comitato - successivamente pubblicate da WikiLeaks - che hanno causanto le dimissioni della direttrice del comitato. La campagna presidenziale per la Casa Bianca, appena iniziata ufficialmente con la fine delle due convention, prende quindi le sfumature di una spy story a sfondo geopolitico. Gli hacker hanno usato complesse tecniche di attacco, la cui analisi ha rivelato l’uso di malware e pattern di comportamento riconducibili ad altre operazioni associate allo spionaggio russo, condotte in giorni compatibili con gli orari lavorativi di personale governativo russo. Elementi che convergono tutti verso uno stesso movente: l’interesse strategico per la Russia di conoscere programmi e constituency elettorale della candidata democratica Hillary Clinton e di favorire quella del suo rivale, Donald Trump, per cui Vladimir Putin non nasconde ammirazione. La Clinton, nell’accusare Mosca, ha anche attaccato il suo sfidante Donald Trump, accusandolo di dare supporto al presidente Vladimir Putin. Nei giorni scorsi, Trump aveva pubblicamente chiesto "l’aiuto" degli hacker russi per trovare le mail scomparse della Clinton, in quel caso riferendosi però al cosiddetto scandalo Mailgate, ovvero i messaggi che la Clinton avrebbe inviato quando era Segretario di Stato attraverso un server privato. La dichiarazione della candidata democratica arriva dopo che ieri era stato annunciato che l’Fbi, insieme al dipartimento di Giustizia, stanno indagando un nuovo attacco di hacker contro il partito democratico. Le parole della Clinton sono destinate a far aumentare ulteriormente la tensione tra Washington e Mosca per la vicenda che rischia di diventare un nuovo, preoccupante, elemento di questa sorta di nuova guerra fredda che le due super potenze stanno vivendo ormai da tempo. REPUBBLICA.IT ARTURO DI CORINTO 31/7/2016 In un’audizione di febbraio al Senato il capo dell’intelligence americana, James Clapper, aveva lanciato l’allarme sul pericolo di attacchi informatici nei confronti dei candidati alla presidenza americana. A giugno, in un’intervista alla National Public Radio, Clapper aveva parlato esplicitamente dell’importanza di preparare i responsabili delle campagne presidenziali a evitare i rischi di una cattiva gestione dei siti attraverso cui i candidati parlano agli elettori, raccolgono dati, ottengono donazioni. Ma, a giudicare dalle ultime vicende, non è stato ascoltato. E i democratici adesso pagano pegno. L’ultimo attacco è di ieri con un sito civetta che ha permesso ai criminali di reindirizzare le donazioni al Comitato elettorale democratico verso un sito fasullo. Cosa hanno rubato Per Hillary e i democratici i guai cominciano a metà giugno quando l’azienda di cybersecurity Crowdstrike rende nota la violazione del database del Comitato nazionale democratico e un gigantesco furto di dati, attribuendolo a due gruppi hacker russi. Oggetto del furto sono 19.250 email con 8mila allegati del Comitato successivamente pubblicate da WikiLeaks causando le dimissioni della direttrice del comitato. Non sappiamo quanto altro materiale sia in possesso degli hacker visto che già nel 2015 Detox Ransome si era appropriato dell’intero database democratico rubando username, password, email dello stesso Comitato mettendolo in vendita nel Dark web. Il movente e i responsabili L’identità degli attaccanti potrebbe non essere definitiva, tuttavia un’analisi degli strumenti usati e il profilo degli attaccanti coinvolti secondo le agenzie di sicurezza che si sono occupate del caso non lascia dubbi. Sono gli stessi che avevano già attaccato la Nato e la Casa Bianca: Cozy Bear, un gruppo hacker legato ai servizi russi Fsb, ex-Kgb, entrato nei server del Comitato democratico spiandolo per quasi un anno senza essere individuato, e Fancy Bear, un gruppo hacker legato al Gru, i servizi militari russi, che si è appropriato delle email del comitato. Un terzo soggetto, Guccifer 2.0, diffonde i documenti del Comitato democratico, la lista dei donatori e il materiale su Trump. Dice di essere romeno e di agire da solo, ma lo si ritiene legato al Gru: i suoi materiali sono editati su una tastiera in cirillico e gli indirizzi Ip sono legati alla Russia. Potrebbe, però, essere anche un tentativo di depistaggio. Gli hacker hanno usato complesse tecniche di attacco la cui analisi ha rivelato l’uso di malware e pattern di comportamento riconducibili ad altre operazioni associate allo spionaggio russo, condotte in giorni compatibili con gli orari lavorativi di personale governativo russo. Elementi che convergono tutti verso uno stesso movente: l’interesse strategico per la Russia di conoscere programmi e constituency elettorale della candidata democratica Hillary Clinton e di favorire quella del suo rivale, Donald Trump, per cui Vladimir Putin non nasconde ammirazione. Tanto più che nei giorni scorsi Trump era parso "invocare" l’aiuto dei russi. Chi sono e come lo hanno fatto Gli attacchi sono stati basati sull’impiego di spear phishing: una tecnica che per ottenere dati sensibili dalle vittime usa messaggi email che sembrano provenire da qualcuno che si conosce e ci invita a cliccare su di un sito o un allegato che contiene un virus (un Remote Access Tool) in grado di prendere il controllo del computer della vittima. Una modalità di attacco propria del gruppo Fancy Bear condotta pare con un malware chiamato X-Tunnel, capace di togliere i filtri ai dati e parte dell’arsenale del temuto gruppo. E infatti tutto potrebbe essere cominciato con la violazione dell’account di una consulente del Comitato che faceva ricerche su Trump, Alexandra Chalupa, e che aveva ricevuto una email dai tecnici di Yahoo in cui le notificavano la possibilità che il suo account fosse stato preso di mira da "state-sponsored actors". Poche settimane dopo i democratici annunciavano la falla di sicurezza che avrebbe messo nelle mani di Wikileaks le email del comitato. Nonostante le rassicurazioni dello staff della Clinton, secondo Yahoo potrebbero essere stati compromessi anche i telefonini dei membri del comitato e i dati di importanti finanziatori della campagna democratica. Non è ancora chiaro se sia stata un’ordinaria operazione di spionaggio o il tentativo di interferire con le primarie, ma adesso tutta l’attenzione è per il voto elettorale di novembre. 27 LUGLIO 2016 PHILADELPHIA - "Russia, se stai ascoltando, spero che riuscirai a trovare le 30.000 mail di Hillary che sono sparite". L’appello shock lo lancia Donald Trump, ed è subito scandalo. Un candidato alla Casa Bianca chiede aiuto alle spie russe per combattere il proprio rivale alle elezioni? Stavolta Trump non ha affidato la "sparata" ad uno dei suoi tweet estemporanei. La frase l’ha pronunciata in una conferenza stampa, in Florida. Immediatamente rimbalza qui a Philadelphia dove stasera è atteso Barack Obama che interverrà alla convention democratica. Proprio Obama aveva già fatto un’allusione alla complicità oggettiva che si sta confermando tra Vladimir Putin e Donald Trump. Quest’ultimo, lungi dal prenderne le distanze, rincara la dose. Trump alla Russia: "Trovate le 30mila mail di Hillary Clinton sparite" Condividi Le 30.000 mail di Hillary a cui si riferisce Trump, sono quelle che non sono state divulgate al pubblico, nell’ambito dell’inchiesta sull’uso improprio che la candidata democratica fece del suo indirizzo privato quando era segretario di Stato. L’indagine condotta dall’Fbi e dal Dipartimento di Giustizia, oltre che dallo stesso Dipartimento di Stato, si è conclusa di recente senza una condanna. Nessun reato, però la Clinton è stata formalmente redarguita per non avere rispettato le regole. Di qui ad auspicare pubblicamente che siano i servizi segreti di Putin ad andare oltre le indagini dell’Fbi, ce ne vuole. Tanto più che di recente proprio gli hacker russi avrebbero fornito a WikiLeaks delle altre mail, interne al partito democratico, che sono costate la poltrona alla presidente del partito, una fedelissima della Clinton. Le ultime mail diffuse da WikiLeaks hanno rivelato che l’organizzazione del partito favoriva la Clinton contro il suo rivale Bernie Sanders. Poiché Julian Assange (WikiLeaks) ha promesso che ci sono altri scoop in arrivo, ora in molti si chiedono se per caso gli hacker russi abbiano davvero messo le mani sulle mail di Hillary quando era segretario di Stato. Obama è ormai convinto che fra Putin e Trump ci sia una luna di miele. Sarebbe senza precedenti, una interferenza di Mosca nella campagna elettorale americana. Non è detto che gli elettori repubblicani siano tutti felici di sentire il proprio candidato invocare il soccorso russo. Immediata, intanto, la reazione dello staff di Hillary Clinton: "E’ il primo candidato presidente che incoraggia lo spionaggio contro il suo rivale". INTERVISTA A MOROZOV "LA pista russa dietro l’hacking dei democratici Usa? Questa tesi mi lascia molto scettico". Del resto quando si tratta di analizzare i fenomeni della rete, l’intellettuale Evgeny Morozov è famoso per due motivi: è tra i migliori e non si accontenta delle interpretazioni prevalenti. "Scettico", come dice lui. I fatti suggeriscono un coinvolgimento della Russia? "Le prove emerse finora non sono né sostanziali né credibili. Hackerare, "bucare" una campagna elettorale è piuttosto facile: i sistemi internet di un partito non sono certo protetti come quelli di una banca. Basti pensare che qualche mese fa un membro dello staff di Sanders venne sospeso per aver fatto accesso ai dati online della campagna di Clinton". Perché questa ipotesi è così accreditata anche fra gli esperti di sicurezza, allora? "Al di là che la Russia sia implicata oppure no, la narrativa del Russia did it ("È stata la Russia") fa gioco alla Clinton per due motivi: distrae dal contenuto dei documenti e sottolinea una complicità fra Trump e Putin che potrebbe favorire lei alle elezioni". Lo spionaggio politico è sempre esistito. Ma la diffusione dei "leak" in un frangente elettorale non rappresenta un precedente pericoloso? "Anche questa non è una novità. I servizi di intelligence diffondono " leak" abitualmente, negli Usa e in Europa. Stavolta la cosa colpisce perché l’intermediario, WikiLeaks, si rivolge direttamente al pubblico globale e al contempo diffonde materiale difendendo le fonti". Decidere di pubblicare le email e quando farlo: Wiki Leaks sta influenzando la campagna Usa? Persino l’informatore Edward Snowden accusa Assange di pubblicare senza i dovuti filtri. "Snowden sbaglia. Non c’è nulla di errato in come hanno operato Assange e i suoi. Spesso WikiLeaks ha curato i contenuti, ma in questo caso ogni moderazione avrebbe avuto valenza politica. La scelta dei tempi? Tipica di ogni media". Il cyberattacco di un partito è l’assaggio dei rischi che corre una democrazia oggi? Come proteggerla? "Certo, si potrebbe aumentare la sicurezza, il che farebbe il gioco dell’Nsa e della sua agenda. Ma sui cyberattacchi vi tranquillizzo per due ragioni: primo, non li vedo come minacce letali. Secondo, va evitata ogni "cyberparanoia". Spesso questo tipo di paure è alimentato proprio dall’industria della cybersicurezza, che ci fa immaginare le Pearl Harbor digitali. Provate a leggere l’episodio Usa per quello che è: un furto". CORRIERE.IT «Sappiamo che l’intelligence russa ha hackerato il Comitato Nazionale democratico». Hillary Clinton, candidata democratica alla Casa Bianca, punta il dito contro Mosca, responsabile di aver violato i server e le caselle di posta del suo partito per favorire il candidato repubblicano Donald Trump. «Sappiamo che i russi hanno fatto in modo di pubblicare molte di queste mail, e sappiamo che Donald Trump non fa mistero di supportare Putin in modo preoccupante», ha detto Clinton in un’intervista rilasciata all’emittente Fox puntando il dito esplicitamente contro il rivale repubblicano e contro il presidente russo, colpevole di voler influenzare le elezioni. LASTAMPA DI STAMATTINA VALERIA ROBECCO La posta elettronica è un vero incubo per Hillary Clinton. Dopo lo scandalo per l’uso dell’account privato quando era Segretario di Stato, archiviato dall’Fbi ma non dall’opinione pubblica, e i messaggi svelati da WikiLeaks nei quali emerge come il Democratic National Committee (Dnc) durante le primarie cercò di indebolire la posizione di Bernie Sanders per favorire l’ex first lady, le email tornano a tormentare la candidata democratica alla Casa Bianca. Oltre ai computer del Dnc e del Comitato per la raccolta fondi del partito, sarebbero stati violati anche i sistemi informatici utilizzati dalla campagna elettorale della Clinton, e, secondo il New York Times, anche in questo caso la cyber-intrusione potrebbe essere opera di pirati informatici russi. Lo staff di Hillary conferma che l’infiltrazione ha interessato un sistema informatico collegato alla campagna, ma nell’ambito di un più vasto attacco alla rete dei pc del Comitato nazionale democratico. Cinque giorni di violazioni Gli hacker hanno violato il programma di analisi per cinque giorni, ma non hanno avuto accesso a dati sensibili. «Dalle verifiche condotte dagli esperti di cyber-sicurezza - spiega il portavoce Nick Merrill - non sono emerse indicazioni che il sistema interno sia stato compromesso». Nella vicenda è coinvolto anche il Dipartimento di Giustizia, il quale sta verificando se gli attacchi rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale. Mentre l’Fbi conferma che sta analizzando segnalazioni di «cyber-intrusioni riguardanti diverse entità politiche», senza tuttavia identificare i destinatari dell’attacco. «L’interferenza nel processo elettorale americano è una questione molto seria», avverte il direttore della Cia John Brennan, senza commentare le affermazioni di alcune fonti inquirenti secondo cui dietro l’attacco alla campagna della Clinton ci sarebbero hacker alle dipendenze dei servizi segreti russi. Vento di Guerra Fredda D’altronde, il vento della guerra fredda soffia da alcuni giorni sulle presidenziali, dopo la divulgazione delle ventimila email del Partito democratico che hanno rivelato lo sgambetto ai danni del senatore del Vermont, e costretto alle dimissioni la leader del Dnc, Debbie Wasserman Schultz. Persino Barack Obama ritiene plausibile la pista di Mosca, e alla vigilia del suo intervento alla Convention di Philadelphia ha ammesso che «tutto è possibile». «I russi violano i nostri sistemi, quelli governativi e quelli privati», ha affermato, seguendo, con prudenza, le prime conclusioni della sua intelligence. Replica da Mosca: «Mai interferito negli affari interni di altri Paesi, specie nei processi elettorali». Anche per Donald Trump si tratta di accuse «ridicole e inverosimili», ma il candidato repubblicano non perde l’occasione per lanciare provocazioni, invitando la Russia a «trovare le 30 mila email sparite dai server privati di Hillary Clinton», rilanciando il sospetto che l’ex segretario di Stato abbia cancellato email personali prima di consegnare la corrispondenza all’Fbi. Ora un portavoce della campagna di Donald Trump, Jason Miller, commenta: «Ovunque c’è Hillary c’è un problema. Si spera che almeno questa volta non abbia messo a rischio la sicurezza nazionale». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI pag. 3 di 3 ANALISI Le mosse di Mosca contro Clinton “Ecco perché favoriscono Trump” Il politologo Schneider: i liberal sono tornati, il Paese adesso li accetta Paolo Mastrolilli Sarà una campagna molto dura, e Clinton vincerà di misura perché è favorita dalla demografia. A meno che non accada un imprevisto, tipo un attacco terroristico che favorisca Trump». È la previsione del politologo Bill Schneider, all’inizio dello sprint di cento giorni che assegnerà la Casa Bianca. Quale imprevisto potrebbe cambiare le cose e fermare Hillary? «Qualunque cosa capace di convincere gli americani che non possono più andare avanti così. Una crisi finanziaria, nuove violenze contro la polizia, un grave attentato. La Russia potrebbe avere interesse a organizzarlo, ad esempio pagando terroristi ceceni». Come giudica la Convention democratica appena conclusa? «I liberal, dopo circa mezzo secolo, sono tornati. Non nascondono più le loro posizioni, perché il paese è cambiato e le accetta». Non si perde con queste idee troppo progressiste? «Non più. Si parla al blocco delle donne, i giovani, le minoranze, che sono la maggioranza. A questi elettori punterà Hillary». Come? «Screditando Trump, e presentando una visione positiva per il futuro degli Usa, con promesse concrete come quella di affrontare la disuguaglianza economica». Qual è il suo limite? «Il primo è che la maggioranza degli americani non la considera onesta. Ha cercato di cambiare la percezione a Philadelphia, ma non c’era molto che potesse fare. Il secondo, più grave, è il fatto di essere percepita come il candidato dello status quo, in una stagione in cui finora ha prevalso la voglia di cambiamento». Dunque Trump è favorito? «No, perché la sua base è limitata ai bianchi della classe media e bassa, che non bastano a vincere. In più ha aspetti negativi molto forti, confermati ad esempio quando ieri ha detto che avrebbe voluto picchiare uno degli speaker di Philadelphia. Poi è troppo negativo: anche Reagan nel 1980 vinse criticando Carter, ma offrì una visione alternativa positiva che Donald non ha». Su cosa punterà Trump per vincere? «Dirà che Hillary è il terzo mandato di Obama: chi pensa che le cose vadano male, e vuole il cambiamento, non può votarla». Quali sono gli stati dove si decideranno le elezioni? «Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Ohio. La “Rust Belt”, che un tempo era territorio democratico. Ora però i colletti blu bianchi stanno con Trump». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI pag. 2 di 2 RIOTTA L’attacco che l’intelligence militare russa Gru, secondo fonti Fbi e sicurezza Usa, va conducendo in queste ore sulle elezioni per la Casa Bianca, con hacker a infiltrarsi nella banca dati e nelle mail del Partito dem o cratico e della candidata Hillary Clinton, è un atto di ostilità internazionale che conferma come la vicenda dei leaks, dossier trafugati e pubblicati, mischi fin dal primo momento paladini della trasparenza e spie professionali. Da tempo esperti di sicurezza, Aspen Institute Homeland Security Group, Bruce Schneier di Harvard University, Marc Thiessen dell’American Enterprise Institute e capi dell’intelligence, dalla Francia agli Usa, documentano quel che questo giornale scrisse già nei giorni dello scandalo metadata raccolti dalla National Security Agency: Mosca conduce un’abilissima battaglia di destabilizzazione in America e in Europa, mobilitando propaganda, pirati informatici, troll (provocatori), che diffondono disinformazione, centrali di hackeraggio finanziate dal Cremlino. Snowden si spaventa Ora l’opinione pubblica scopre la vicenda e perfino Edward Snowden, ex agente che ha sottratto i dati Nsa e vive adesso a Mosca, protetto da legali formati nel vecchio Kgb, deve twittare, forse spaventato da eventi che non sa più controllare, chiedendo ai compagni di strada di Wikileaks di non diffondere dati «a strascico», senza controlli, ma di verificare finalmente, con serietà, se i dossier mettono a rischio vite umane. Nel 2010 i leaks di 76.000 documenti riservati rivelarono i nomi di infiltrati tra i talebani, incluse le loro posizioni gps: il lettore immaginerà la sorte di questi infelici. Nel 2014 e 2016 i leaks rivelarono le tecniche della Cia per muoversi nella rete terroristica in incognito e le modalità europee per identificare militanti Isis nascosti tra i profughi. Bene, né l’amministrazione Obama né i governi Ue hanno mosso un dito per correre ai ripari e il nostro desiderio, nobile, di difendere la privacy dei cittadini ha concesso premi Pulitzer e premi Oscar alla «campagna di trasparenza», ignorando come le buone intenzioni facciano da cavallo di Troia a spie feroci. La fabbrica dei troll L’apparato di manipolazione del web creato in Russia è formidabile. Si va dalla fabbrica dei troll di San Pietroburgo, attiva con migliaia di dipendenti al numero 55 di via Savushkina, pronta a inquinare dibattiti con false notizie, esacerbare gli animi, dare un «effetto pro Putin», manipolandoli, a tanti innocenti blog. «Marat», un troll russo professionista, ha confessato al quotidiano inglese The Guardian come, diretto dall’Agenzia per la sicurezza di Internet, pratichi disinformazione in Ucraina. L’anima nera dello sforzo di deformazione digitale è però gestita dai militari del Gru, Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie, Agenzia centrale di spionaggio. La violazione della banca dati democratica - il gioiello Big Data che ha eletto Obama nel 2008 e 2012 - è stata rivendicata da un pirata romeno, sigla Guccifer 2.0, ma esaminando le «impronte digitali» dei suoi post, Fbi e altri centri di analisi riconoscono i servizi militari russi. Team come Apt 28, o Orso Elegante, celano il Gru nei raid informatici, vedi quello subito dalla tv francese TV5Monde nel 2015, questa volta mascherato dalla sigla, macabra, Cyber Califfato. Ora il timore è che, dopo la campagna che è costata le dimissioni della presidente democratica Wasserman e il provocatorio invito di Trump al Cremlino a rubare ancora faldoni riservati contro Hillary Clinton, l’esercito informatico attacchi direttamente il sistema elettorale Usa. Milioni di voti Usa sono gestiti via computer, senza alcuna traccia fisica di scheda o matita copiativa, e un pirata può falsare i risultati a piacimento. Lo scorso aprile, finalmente, la Casa Bianca ha lanciato un piano di difesa, tardo e incompleto, e le aziende che gestiscono il voto giurano di essere impermeabili ai pirati, ma nessuno mai lo è davvero e per sempre. Schneier, autore del saggio «Data and Goliath», lamenta che l’U.S. Cyber Command, che ha gli strumenti per combattere la «Guerra di Quarta Dimensione» nel web, non sia coinvolto. E il rapporto di Aspen Group, trentadue esperti tra cui l’ex capo della sicurezza Usa Michael Certoff, conclude: «La nostra democrazia e le nostre elezioni sono alla mercé di governi stranieri e gruppi terroristici che possono manipolarne i risultati del voto». La senatrice democratica Dianne Feinstein e il deputato Adam Schiff, che siedono nelle Commissioni Intelligence del Congresso, hanno paura: «Mai nella storia della nostra democrazia siamo stati sottoposti a un’ingerenza dall’estero di questo calibro». Tecnicamente seminare il caos nei computer elettorali che conteranno uno per uno i voti di Clinton e Trump non è arduo, e il caos Florida 2000 Bush-Gore potrebbe a novembre ripetersi in dozzine di stati. Una storia lunga, da pochi compresa, tra ingenui cantori del web e volpi dell’intelligence informatica, che è solo all’inizio. Facebook riotta.it BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI pag. 4 di 4 MARCO SODANO Hillary Clinton contro Donald Trump. L’orsetto tenero contro quello elegante (Cozy e Fanny Bear, nomi in codice dati dagli Usa a due agenzie di spionaggio russe). Edward Snowden contro Julian Assange. L’ennesimo wikileaks - i server violati della Clinton, ma a maggio s’era parlato di violazioni anche per quelli di Donald Trump - è un calderone nel quale si mescolano candidati e barbe finte, paladini della verità e insabbiatori professionisti. Il doppio gioco è la regola e quello quadruplo la risposta standard. Alla fine tutti sembrano più deboli, si capisce poco e si ricomincia. C’è chi ha notato che dal programma presentato dai repubblicani alla convention di Cleveland è sparita l’intenzione di aiutare l’Ucraina in chiave antirussa. Fatto che stupisce: tra i responsabili della campagna di Trump c’è Paul Manfort, tra i registi della vittoria di Yanukovich alle presidenziali ucraine nel 2010 e partner d’affari di Oleg Deripaska, uno degli oligarchi più vicini a Putin, spesso fotografato mentre andava a sciare con il presidente. Molti repubblicani hanno criticato duramente Trump per aver cancellato il sostegno a Kiev. Poi è cominciato l’attacco a Hillary. Le migliaia di email rese pubbliche alla vigilia della convention di Philadelphia hanno mandato due messaggi chiari ai suoi sostenitori. Primo, il partito ha spinto sottobanco per preferirla a Sanders. Secondo, «fate una donazione e il vostro numero di carta di credito finirà a Mosca». Difficile dire quale bruci di più per lo staff democratico. Insomma: «Probabilmente i russi» stanno dietro al furto di dati, scriveva ieri il New York Times come, due mesi fa, il Washington Post. Mosca smentisce sdegnata, ma è sicuro che sotto sotto gongola: Putin, almeno in patria, ha tutto da guadagnare in questa storia che lo dipinge come il burattinaio della campagna elettorale a stelle e strisce. Com’è nel personaggio, Trump ha poi aggiunto pepe alla la faccenda sfidando i russi - già che ci sono - a trovare «le 30mila email della Clinton andate smarrite», quelle del tempo in cui Hillary era segretario di Stato nell’amministrazione Obama (poi ha chiarito: «Volevo essere sarcastico», ma la frittata era fatta). E si arriva così alla cordiale allergia di Putin per Hillary. Che avrebbe solide radici nel fatto che la Clinton - proprio quando era segretario di Stato - aveva l’abitudine di ridere alle sue spalle con lo staff imitando l’andatura un po’ dondolante e rigida del leader russo. Un ex capo del Kgb non smania all’idea di doversela vedere con una presidente donna, figurarsi con una che lo dipinge come goffo e impacciato. E poi per il Cremlino, storicamente, è più facile intendersi con i repubblicani (Nixon, Reagan, i due Bush) che con i democratici (Kennedy, Carter, il primo Clinton, Obama). Nei titoli di coda, i presunti spioni: i già citati orsetti - quello tenero e quello elegante - potrebbero aver scavato e rivelato l’uno da una parte (Trump) e l’altro dall’altra (Clinton) soprattutto per far bella figura con il capo supremo Vladimir: entrambe le agenzie sono una potenza riconosciuta in tutto il mondo nello spionaggio elettronico. E sono in competizione sparata anche le due menti dei wikileaks, Julian Assange e Edward Snowden, che sul caso Clinton hanno litigato. Assange non può vedere Hillary, la considera responsabile della persecuzione nei suo confronti, e vuole che tutto il materiale rubato diventi pubblico. Snowden non è d’accordo e l’ha rimproverato, «bisognerebbe fare selezione», preoccupato per il buon nome dei furti di dati e della trasparenza globale (alla faccia del fatto che risiede a Mosca). L’altro gli ha risposto secco dandogli del leccapiedi: «Questa mania di selezionare non ti salverà dagli Usa», dove Edward è ricercato per spionaggio. Insomma: per ora l’unico che sembra in vantaggio è Putin. Ma per un cambio scena basta un colpo di mouse. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI GAGGI SUL CORRIERE NEW YORK Adesso fa quasi tenerezza ricordare Gary McKinnon, il giovane inglese appassionato di Ufo che 15 anni fa provocò il panico nel controspionaggio della «fortezza America» riuscendo a intrufolarsi in 97 sistemi informatici Usa, dal Pentagono alla Nasa. Da allora gli attacchi alle reti del governo, alle aziende fornitrici delle forze armate come la Lockheed-Martin e la Northrop, ai giganti della finanza, si sono susseguiti senza interruzione. Incursioni di hacker basati in Iran, in Russia, in Corea del Nord ma, soprattutto, in Cina. L’attacco più massiccio, quello del 2008, convinse il governo Usa a istituire il CyberCommand, una struttura militare specializzata in spionaggio e controspionaggio informatico. Negli ultimi tempi l’attenzione si è spostata soprattutto sugli attacchi provenienti da Mosca. E la preoccupazione principale dei servizi segreti Usa — fin qui centrata sulla possibilità di offensive capaci di paralizzare le telecomunicazioni, il traffico aereo o la rete elettrica — adesso si sta spostando verso minacce di tipo politico: possibili interferenze straniere nel processo elettorale americano alla vigilia delle Presidenziali. Putin che prova a fare il burattinaio del voto Usa con l’intento di favorire Trump, finanziere politicamente naïf a digiuno di relazioni internazionali rispetto a una Hillary Clinton molto più temuta e detestata? Quella del miliardario divenuto leader populista che è, in realtà, un «Manchurian candidate», un candidato eterodiretto, è una bella suggestione letteraria da spy story, ma non è suffragata da prove. E gli hacker, oltre che in quelle del Partito democratico e dell’organizzazione di Hillary Clinton, hanno cercato di penetrare anche nei sistemi informatici della campagna di Trump. Il candidato repubblicano, però, ha fatto di tutto — involontariamente o volontariamente — per giustificare i sospetti. Gli indizi non riguardano solo le ripetute affermazioni di stima, e a volte anche di ammirazione, per il capo del Cremlino, o l’invito a Mosca ad attaccare le reti informatiche Usa per cercare le email «smarrite» di Hillary Clinton: una sollecitazione poi derubricata a battuta sarcastica. La Nato, temutissima da Putin, è considerata da Trump un’organizzazione obsoleta che lui è pronto a ridimensionare. Poi ci sono gli uomini: non solo il capo della sua campagna elettorale Paul Manafort che per anni ha lavorato per il presidente filorusso dell’Ucraina Viktor Yanukovich, ma anche il suo consigliere di politica estera Michael Flynn, seduto a fianco a Putin durante un banchetto a Mosca e un altro suo consulente, Carter Page, che ha rapporti molto stretti con Gazprom, il gigante russo degli idrocarburi. Ancora: negli stessi giorni in cui affermava di non essere pronto a far scattare le garanzie automatiche di mutua assistenza previste dai trattati Nato in caso di attacco russo alle Repubbliche baltiche, Trump ha fatto togliere dalla piattaforma programmatica repubblicana la promessa di fornire «armi difensive letali» all’Ucraina nella lotta contro i separatisti russi: una delle pochissime modifiche chieste dal candidato che ha approvato il resto del programma senza discussioni. C’è anche chi sospetta che dietro la resurrezione finanziaria di Trump (ha riconquistato l’immagine di immobiliarista di successo, di nuovo miliardario, dopo un decennio di rovesci e bancarotte) ci siano capitali russi. E che anche per questo il candidato repubblicano continui a non rendere noti i suoi rendiconti finanziari e fiscali. Ma qui siamo davvero ai romanzi di Le Carré. Fatto sta che adesso in America è scattato l’allarme rosso per la vulnerabilità ad attacchi stranieri di sistemi informatici che sono essenziali per ogni aspetto della vita anche politica del Paese. I timori riguardano anche il meccanismo tecnico del voto: in America ogni Stato ha il suo e in molte parti del Paese sono stati introdotti sistemi di voto elettronico che gli esperti informatici considerano vulnerabili. Del resto i dati dicono che in campo informatico non c’è quasi nulla di invulnerabile: il GAO, il ramo investigativo del Congresso, ha censito ben 67 mila attacchi informatici nel solo 2014 ai danni di 24 agenzie federali, del Pentagono, del Dipartimento di Stato, del Tesoro, degli Interni («Homeland Security») e della Nasa. Attacchi provenienti da tutto il mondo, certo, ma quelli più insidiosi degli ultimi anni alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato portano la stessa firma che viene fatta risalire dagli esperti al Gru, il servizio segreto militare russo. Come l’attacco contro i democratici Usa. Del resto viviamo ormai in un mondo in cui tutti spiano tutti e gli americani sono di certo in prima fila, visto che controllavano perfino i cellulari di leader alleati come Angela Merkel. Washington lo ammette ma afferma di spiare per garantire la sicurezza (sua e degli alleati), non per ottenere vantaggi commerciali illeciti (accusa rivolta allo spionaggio francese) o per interferire negli affari politici interni di un Paese (il sospetto che ora grava sui russi). Ma qualche mese fa il capo dei servizi segreti Usa, James Clapper, ha ammesso in un’audizione al Congresso che a volte gli interventi di spionaggio vanno oltre le esigenze di difesa. SARCINA SUL CORRIERE DI STAMATTINA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK Non solo il partito. Gli hacker avrebbero colpito anche lo staff più ristretto di Hillary Clinton. I pirati informatici sarebbero entrati per cinque giorni in un programma di gestione della campagna elettorale. La portavoce dell’organizzazione di Hillary, Nick Merrill, ha dichiarato che «finora non sono emerse indicazioni che il sistema sia stato compromesso». L’Fbi ha subito aperto un’indagine e in una nota conferma che «sono in corso accertamenti su cyber-intrusioni riguardanti diverse entità politiche». La vicenda è seguita direttamente anche dal Dipartimento di Giustizia, cioè dall’amministrazione Obama. Il sospetto è che anche questa tornata sia parte di un’offensiva più ampia e sistematica lanciata dalla Russia contro la prima donna candidata alla Casa Bianca. A questo punto c’è qualcosa di più di un indizio, ma ancora qualcosa meno di una prova definitiva. Quale sarebbe il movente di Putin? Il presidente russo ha sempre avuto un rapporto difficile con Hillary al Dipartimento di Stato, considerata troppo vicina ai Paesi dell’ex Unione Sovietica, per esempio. Ed è evidente che il leader del Cremlino preferisca decisamente che sia Trump a conquistare la Casa Bianca. Il caso nasce dalle rivelazioni del sito WikiLeaks, che venerdì 22 luglio, tre giorni prima che iniziasse la Convention di Filadelfia, pubblicava circa 20 mila mail scambiate tra i vertici del partito, nel corso della campagna elettorale. La sostanza dei messaggi: fare il possibile per bloccare l’avanzata tumultuosa di Bernie Sanders, lo spigoloso avversario di Hillary Clinton. Nella vicenda si era inserito Donald Trump, chiedendo in modo provocatorio alla Russia di «recuperare e passare poi ai giornalisti» anche le altre mail, quelle gestite su computer e telefonini privati da Hillary, quando era segretario di Stato. Il precedente di «cyber crisi» più vicino risale alla fine di dicembre 2014. Barack Obama annunciò pubblicamente una forma di rappresaglia contro la Corea del Nord, accusata di aver organizzato l’intrusione nei computer della Sony. Obiettivo: sabotare il film «The Interview», che immaginava un complotto per uccidere il dittatore Kim Jong-un. Il problema politico, naturalmente, è che la Corea del Nord non è la Russia. Venerdì 29 luglio, in una riunione riservata sulla sicurezza nazionale ad Aspen, in Colorado, John Brennan, direttore della Cia, ha sviluppato un’analisi preoccupata. Nel giugno del 2013 l’ex tecnico della Cia Edward Snowden rivelò con gran clamore informazioni segrete sui programmi di spionaggio americano in Europa e in Russia. Ma Brennan, come riporta il New York Times , distingue tra la «normale» attività di «monitoraggio», che non è mai finita dopo la Guerra fredda, e le manovre per condizionare il momento più delicato della vita democratica degli Stati Uniti: la campagna presidenziale. «Ovviamente interferire nelle elezioni è una faccenda molto, molto seria». Il capo della Cia non ha mai evocato Mosca, limitandosi a osservare: «Quando sarà determinato chi è il responsabile di queste operazioni, allora si aprirà una discussione ai livelli più alti del governo su quale iniziativa intraprendere». Giuseppe Sarcina ENNIO CARETTO SUL CORRIERE DI STAMATTINA «Putin sta cercando di fare eleggere Trump presidente. Lo ritiene nel proprio interesse e in quello della Russia. Sa che nell’entourage di Trump c’è gente che fa affari con Mosca e pensa che gli sarebbe molto più facile manipolarlo che non Hillary. Non è la prima volta che Putin si serve dei servizi per interferire nelle elezioni nei Paesi della Nato, lo fece in Francia a esempio con la stessa speranza con cui lo fa ora negli Usa, la speranza che il neoeletto adotti una politica filorussa». Per l’ex consigliere all’intelligence della Casa Bianca ed ex direttore dell’antiterrorismo alla Cia Vincent Cannistraro «l’operazione Trump» di Putin, come la chiama, non è sorprendente. È sorprendente la sua sfrontatezza: «Mosca può darci tutte le smentite che vuole, ma noi sappiamo che la fonte delle notizie dannose per Hillary negli ultimi giorni sono gli hackers dei servizi russi. È però una operazione rischiosa, se Hillary vincesse le elezioni Putin potrebbe dovere fare i conti con lei». Trump nega qualsiasi legame con Putin. «È un diniego che lascia il tempo che trova. Trump ha tentato spesso di avvicinarlo personalmente, vuole entrare nel mercato immobiliare russo e forse anche in quello petrolifero. È noto inoltre che il direttore della sua campagna elettorale Paul Manafort — e non soltanto lui — ha buoni rapporti con Mosca, e aiutò Yanukovich, un uomo di Putin, a diventare presidente dell’Ucraina». In che modo Trump potrebbe favorire Putin? «In molti modi. Potrebbe non opporsi a che Putin assuma a poco a poco il controllo dell’Ucraina. Potrebbe indebolire o disunire la Nato e l’Europa, di cui non è un ammiratore. Potrebbe lasciare più spazio a Putin in Medio Oriente. Avete visto che la convention repubblicana ha cancellato una mozione per armare Kiev, e che Trump ha ammonito che l’America non interverrà automaticamente in difesa degli alleati europei. Putin dovrebbe essersene rallegrato». Lei ha parlato di una possibile manipolazione di Trump presidente da parte di Putin.. «Sì, per due motivi. Uno è che Trump non ha la minima preparazione politica, e che se anche si circondasse di esperti farebbe di testa sua, come è sempre stato abituato a fare. L’altro è che potrebbe soffrire di incipiente demenza senile ed essere quindi vulnerabile. Ignoro se ne soffra veramente — ne soffrì suo padre — ma mi risulta che ci sia qualche preoccupazione tra i repubblicani. Il presidente degli Stati Uniti non può essere fisicamente o mentalmente debole». Le interferenze russe condizioneranno le elezioni? «No, queste operazioni sono solitamente di disturbo e basta. Le svolsero anche altri, ricordo Al Qaeda alle elezioni del 2004 vinte da Bush Jr. Forse Putin ha deciso la sua operazione per attirare l’attenzione dell’America sulla questione che più gli sta a cuore, la Nato, in cui Trump sembra dalla sua parte, come ho detto. A novembre gli elettori americani decideranno autonomamente». Putin è ostile a Hillary? «Non credo che la consideri nemica. Ma Putin non ha mai perdonato a suo marito, l’ex presidente Clinton, l’estensione della Nato fino ai confini russi e le guerre nei Balcani negli anni Novanta, né la successiva emarginazione della Russia dal Medio Oriente. E sa che Hillary non sarebbe accomodante sull’Ucraina e sugli altri problemi che rendono difficili le relazioni tra Mosca e Washington». Quale è la sua opinione sul presidente russo? «Non è il brutale dittatore di cui si dice in America. Non è un portatore di democrazia ed è machiavellico e spietato ma è un realista, un abile politico e un buon patriota. Ha obiettivi che non ci piacciono, come ricostruire un impero russo, ma si può dialogare con lui. Sono sicuro che Hillary lo ha presente. Il confronto tra di loro sarebbe interessante per chiunque. Trump non è alla loro altezza». Un pronostico sulle elezioni? «Guardi, se le vincesse Trump mi rifugerei di corsa in Italia dove lavorai negli anni Ottanta e che mi è rimasta nel cuore. Scherzo naturalmente. Sarebbe un grave errore votare Trump. Non ha un progetto politico, non si capisce quale siano le sue priorità, gioca sulle paure e le fobie americane. Si atteggia a duro, batte i pugni, promette legalità e ordine ma sarebbe un salto nel buio».