di Sara Faillaci, Vanity Fair 27/7/2016, 27 luglio 2016
CARO PAPA, TI SCRIVO – [Intervista a Gianluigi Nuzzi] – Gianluigi Nuzzi apre la porta di casa in polo e pantaloni sportivi, e mi fa accomodare in una cucina che sembra quella di un ristorante («mi piace cucinare e ho molti amici chef»)
CARO PAPA, TI SCRIVO – [Intervista a Gianluigi Nuzzi] – Gianluigi Nuzzi apre la porta di casa in polo e pantaloni sportivi, e mi fa accomodare in una cucina che sembra quella di un ristorante («mi piace cucinare e ho molti amici chef»). In sottofondo, Abc Radio, web radio di musica lounge scoperta in un caffè di Istanbul, che ascolta anche quando scrive. Ha l’aria da ragazzo, distante da quella del severo conduttore televisivo (Quarto grado, su Rete 4) che racconta i casi di cronaca nera più truci. Per lui è stato un anno complicato. Nel novembre scorso ha pubblicato il suo terzo libro di rivelazioni sulla finanza vaticana: dopo Vaticano S.p.A. (2009) e Sua Santità (2012), Via Crucis denuncia quanto Papa Francesco, predicatore della povertà per la Chiesa, sia in difficoltà nel domare sprechi e affarismi della curia romana. A finire sotto processo in Vaticano oltre a chi ha fatto uscire i documenti – monsignor Vallejo Balda, condannato in primo grado a 18 mesi, che avrebbe agito in concorso con la laica Francesca Immacolata Chaouqui, 10 mesi, membri entrambi della Cosea, commissione referente vaticana sui tagli di spesa – sono stati anche i giornalisti: Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, vaticanista dell’Espresso che in contemporanea ha pubblicato un libro inchiesta sullo stesso tema, Avarizia. Il promotore di giustizia aveva chiesto per Nuzzi un anno con la condizionale ma alla fine entrambi i cronisti sono stati prosciolti. Ha avuto paura di essere condannato? «Ero molto arrabbiato, perché in quel caso avrei dovuto indossare i panni del martire che non mi si addicono; l’avrei vissuta male anche da cattolico». Lei è credente? «Sì, non praticante. Sono cresciuto in un ambiente molto cattolico, la mia maestra elementare era cugina prima di Papa Luciani; per anni ho fatto il chierichetto». Sarà stato ancora più difficile decidere di mettersi contro il Vaticano. «Sono un giornalista, se ho una notizia la pubblico. Lo scopo dei miei libri è informare sul mondo della finanza in Vaticano, dove, dopo lo scandalo Marcinkus, era calato un silenzio che durava da oltre vent’anni. Dal 2009 la Chiesa poi è andata verso un miglioramento, quindi non penso di averla danneggiata, se mai ho contribuito in minima parte a questo cambiamento». Stupisce che oggi ci siano tanti «corvi» disposti a parlare. «In Vaticano penso ci siano sempre state persone disposte a farlo. Ma nessun giornalista si azzardava a raccogliere quello che avevano da dire. Il rapporto strettissimo tra politica e curia romana si è molto allentato negli ultimi anni». Stupisce anche che persone con ruoli importanti – dal maggiordomo di Benedetto XVI Paolo Gabriele, sua fonte per Sua Santità, a Monsignor Balda per Via Crucis – siano disposte a perdere tutto pur di denunciare. «Gabriele è una bellissima persona, che ha pagato sulla sua pelle le malefatte di altri: incarcerato in una cella dove non poteva nemmeno distendere le braccia, è stato poi graziato da Papa Ratzinger. Sua Santità è stato il libro più emozionante, mi ha fatto sentire in empatia totale con Benedetto XVI, un uomo eccezionale. È stato lui, preoccupato dal calo di fedeli e vocazioni, ad avviare le grandi riforme – guerra alla pedofilia e agli sprechi con i soldi delle offerte – che ora sta continuando Papa Francesco. Le sue dimissioni, un gesto rivoluzionario compiuto da un uomo conservatore, dovrebbero essere indagate di più». Che cosa vuole dire? «Che sono state pianificate in ogni dettaglio e conseguenza: Gabriele mi documentò il tentativo del cardinale Bertone, allora potente segretario di Stato, di cacciare Carlo Maria Viganò messo da Ratzinger a capo del Governatorato per controllare appalti, forniture, l’uomo in pratica che stava facendo “pulizia”. Viganò alla fine fu spedito a Washington come nunzio apostolico, ma per me quello fu esilio apparente: non a caso i cardinali che furono determinanti nell’elezione di Bergoglio – un gesuita, un pauperista – arrivavano tutti dall’America, dove Viganò aveva passato gli ultimi mesi e sicuramente non era stato zitto». Lei ha mai incontrato Papa Ratzinger? «No, e nemmeno Papa Francesco, al quale però ho deciso di scrivere una lettera perché il fatto stesso che ci sia stato questo processo mi fa pensare che non sia al corrente di tutto quello che è successo». Come ha conosciuto Monsignor Balda, la sua fonte principale? «Me lo presentò la Chaouqui. Il monsignore ricopriva un importante ruolo istituzionale, una sorta di vicepresidente della Corte dei conti del Vaticano; quando mi informò che le riforme del Papa rischiavano di essere bloccate mi è sembrato che valesse la pena mettersi in gioco di nuovo». Sapeva che anche Fittipaldi stava scrivendo un libro sullo stesso argomento? «No, l’ho scoperto pochi mesi prima dell’uscita del mio libro, e la cosa mi ha molto scocciato, ma con le fonti non firmi esclusive. La cosa assurda è che nel processo siamo stati accusati di concorso quando ci siamo conosciuti solo un’ora prima dell’udienza». Monsignor Balda e la Chaouqui non hanno fatto una gran figura in questo processo: lui è emerso come un ecclesiastico livoroso e debole, in balia di questa giovane pierre ambiziosa e senza scrupoli. «Balda è una persona perbene, che secondo me ha agito in buonafede: era sinceramente convinto che il Pontefice non ne sarebbe stato dispiaciuto ma in questo si è sbagliato. La Chaouqui è una ragazza ambiziosa ma piuttosto pasticciona; una donna che aveva qualche interessino, che manipolava il monsignore, ma perché è finita sotto processo? Non ha dato nessuna carta, né a me né a Fittipaldi». Negli sms a Balda scriveva: «Sei depresso? Scopa che ti passa la tensione», e gli proponeva un incontro con la «morbida» cugina. «Personalmente sono rimasto più colpito dagli sms dove lo minaccia con una violenza inaudita, quello è un reato. Sul tema della sessualità in Vaticano si potrebbero scrivere libri e le battute della Chaouqui non sono né l’eccezione né le peggiori. Basta pensare che il giorno dell’elezione di Papa Francesco sul balcone al suo fianco c’era un monsignore che di notte si fa chiamare Jessica, e lo sapevano tutti, intoccabile fino a quando Bergoglio l’ha allontanato». Perché la Chaouqui è finita nel processo? «Per distogliere l’attenzione: incinta, le foto con gli occhiali scuri, i trolley in aula con i documenti che dice lascerà al figlio. E poi lei come membro della Commissione pontificia era stata scelta dal Papa: metterne in luce l’inadeguatezza trasmette il messaggio che il Pontefice avrebbe fatto meglio a fidarsi della vecchia guardia». Nel libro conclude dicendosi preoccupato che il Papa non riesca a portare a termine la sua azione riformatrice, addirittura ipotizza che possa dimettersi anche lui. Perché? «I tentativi di riforma della curia fino a oggi sono tutti falliti. Nel 2013 il Papa dice: “Attenti a come si investono i soldi”, e uno dei capi degli investimenti era ancora il figlio di Luigi Mennini, il braccio destro di Marcinkus. In Vaticano il passato pesa sempre». È plausibile che siano stati i Pontefici stessi a gestire dall’alto queste fughe di notizie? «Non lo sapremo mai, ma più di una volta mi sono sentito in mezzo a qualcosa di molto più grande di me». Ha mai avuto paura? «Ho avuto una vita abbastanza complicata ma so di aver avuto angeli custodi, dentro e fuori del Vaticano. Per esempio, avevo un appuntamento fisso con un agente dei servizi segreti italiani, nelle scale del mio albergo di Roma: mi aggiornava sul monitoraggio fatto su di me dal Roc, divisione speciale dei Carabinieri. Più che altro, ero preoccupato per la mia famiglia, non ho mai tenuto nessun documento a casa». Vive con la sua compagna, Valentina Fontana, e i vostri due bambini Edoardo e Giovanni di 9 e 6 anni. Perché non siete sposati? «Una volta c’era in arrivo un figlio, una volta un libro. Diciamo che ci è mancato il tempo». di Sara Faillaci, Vanity Fair 27/7/2016