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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

IN CARCERE PER 18 ANNI

Mamoiada (Nuoro), luglio
Coro meu! Coro meu! A domo ses torradu. Sos malos istana fora» («Cuore mio, cuore mio! Sei tornato a casa. I cattivi stanno fuori»). Antonietta Sedda stringe fra le mani e continua ad accarezzare il viso del suo figliol prodigo. Vedova da tempo non ha mai smesso il lutto vestendo sempre di nero. Ha 84 anni, vive a Mamoiada (Barbagia di Ollolai) ha sei figli e tanti nipoti. Una sentenza storica, unica finora in Italia, basata su una perizia fatta con nuove tecnologie, dopo 18 anni le ha restituito uno dei suoi figli. Gli ultimi 18 anni Pietro Paolo Melis li ha passati in carcere. Era stato arrestato nel dicembre 1998 con l’accusa di aver sequestrato, il 14 maggio 1995, Vanna Licheri, una donna di 68 anni di Abbasanta. Tre processi non gli diedero scampo: 30 anni di carcere. Nonostante non ci fossero prove ma solo indizi e Melis fosse un tranquillo allevatore senza precedenti penali.
Il 28 settembre 1995, cinque mesi dopo il sequestro, i Carabinieri lo notarono in un bar di Nuoro con un certo Giovanni Gaddone che poi sarà condannato a 30 anni per il sequestro Licheri e altri 30 per il rapimento di Ferruccio Checchi, un imprenditore turistico romano sequestrato cinque giorni dopo la Licheri.
GLI ANNI DELL’ANONIMA
Erano gli anni terribili dell’Anonima. Negli stessi mesi un’altra banda teneva sequestrato il commerciante sardo Giuseppe Vinci.
Una settimana prima dell’incontro al bar una cimice piazzata nell’auto aveva intercettato Gaddone che parlava del sequestro con uno sconosciuto. Una perizia fonica nel 1998 concluse: «Si deve ritenere altamente probabile che la voce dell’interlocutore del Gaddone nei dialoghi registrati sia quella del mamoiadino Melis Pietro Paolo e ciò rappresenta un grave indizio di colpevolezza».
Quell’«altamente probabile» a Melis è costato 18 anni di carcere.
Diciotto anni dopo la Cassazione ha stabilito che la scienza può e deve entrare nel processo penale determinandone l’esito. E la «nuova prova scientifica» che ha scardinato tre sentenze di condanna restituendo la libertà all’imputato è stata alla base della domanda di revisione accolta prima dalla Cassazione e poi dalla Corte d’Appello di Perugia. Ma è stata una battaglia estenuante condotta con ostinazione e coraggio da Alessandro Ricci e Maria Antonietta Salis, gli avvocati perugini difensori di Melis che per due volte, prima dalla Corte d’Appello di Roma (competente per le revisioni sarde) e poi da quella di Perugia si erano visti respingere l’istanza di revisione. Ma la Cassazione per due volte ha annullato queste sentenze, restituendo gli atti alla Corte d’Appello di Perugia e specificando che «era innegabile il carattere di novità delle prove assunte nel nuovo giudizio». E il 15 luglio scorso la Corte d’Appello di Perugia, presieduta da Giancarlo Massei, lo stesso che in primo grado condannò Amanda e Raffaele, ha assolto Pietro Paolo Melis con formula piena, malgrado il Procuratore generale Giuliano Mignini avesse chiesto la conferma della condanna a 30 anni.
VOCE E DIALETTO DIVERSI
«È il primo caso di revisione “eclatante” fondata sulla cosiddetta “prova nuova” scientifica», categoria probatoria che non aveva ancora trovato spazio nella nostra giurisprudenza», ha spiegato a Oggi l’avvocato Ricci. Ma qual è la prova scientifica nuova che ha ridato la libertà a Melis ed è destinata a diventare una pietra miliare nella nostra giurisprudenza? Lo strumento per la perizia fonica che negli ultimi 18 anni ha fatto enormi progressi. Nel 1998 il metodo acustico-fonetico utilizzato era “Idem versione 1998”, all’epoca considerato sperimentale e poi abbandonato. Il sistema scientifico ben più sofisticato e attendibile oggi usato dalle forze di polizia è lo “Smart III”. E proprio con questo sistema il perito di parte e il consulente del Tribunale sono giunti alla conclusione che «la voce di Pietro Paolo Melis non è identificabile con la voce anonima risultante dalle conversazioni delle intercettazioni ambientali…», e soprattutto che «si esclude che questa voce si identifichi nel dialetto mamoiadino». Quindi non poteva essere quella di Melis. E lui, il figliol prodigo, cosa dice? «È stato terribile ma sapevo che sarei riuscito a dimostrare la mia innocenza. Non sarà facile ricominciare. Il mondo è cambiato in questi 18 anni. Sono rimasti solo gli affetti. Per fortuna. Senza quelli non so cosa avrei fatto».
«Non abbiamo mai avuto dubbi su nostro fratello», ci dicono le sorelle. «Proprio la nostra famiglia è stata, per prima, vittima di un sequestro. Nel 1965, con mia madre incinta, fu rapito nostro padre. Allora la gente di Mamoiada uscì dalle proprie case per dare la caccia ai banditi che, braccati, furono costretti a liberarlo».
Giangavino Sulas, Oggi 27/7/2016