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 2016  luglio 29 Venerdì calendario

PIÙ CHE TROVARE SOLUZIONI CONTA SAPER FARE RICERCHE

Se il 2016 è per l’Unesco l’anno di Aristotele, allora esso è anche, automaticamente, l’anno di Platone. Perché Aristotele è un gigante seduto sulle spalle del gigante Platone. Ma non diversamente che per altre coppie di fratelli-nemici – Parmenide-Eraclito, Cesare-Pompeo, Hegel-Schopenhauer, Nietzsche-Wagner, Croce-Gentile ecc. – il destino affidò all’amantissimo discepolo Aristotele la demolizione del maestro Platone. Perché la filosofia è guerra per la verità e sull’amico-padre Platone prevale l’ancor più amica-madre Verità. Tutto questo, però, non senza un lungo e amoroso discepolato. Le opere essoteriche di Aristotele scritte per il pubblico, erano infatti, tutte dialoghi platonici composti a imitazione del maestro; come tali, furono a lungo dei best-seller, come ha scritto Odifreddi; tra i più letti e ammirati, anche da Sant’Agostino, fu il Protrettico. Però esse sono andate tutte perdute, mentre sono sopravvissute le opere esoteriche o acroamatiche, scritte per la scuola. Nei dialoghi Aristotele seguiva Platone anche nel suo scetticismo, ereditato da Socrate. Nella famosa VII lettera, infatti, in cui fa il bilancio della sua vita, Platone sconfessa la filosofia espressa – dunque anche la sua – a favore di quella inespressa e forse inesprimibile. Ma il suo scetticismo si esprime già nella scelta della forma del dialogo. Dice infatti Hume che, “se una questione filosofica non ammette per la ragione umana una soluzione fissa, una conclusione sicura, si è portati naturalmente allo stile del dialogo e della conversazione”. Nei dialoghi, come nei drammi di Shakespeare, sono i diversi personaggi a dire ciò che pensano, non Platone a dire ciò che pensa lui. In questo egli si attenne sempre all’insegnamento del maestro Socrate, per il quale la filosofia è “un discorso che l’anima fa da sé con se stessa” e con gli altri, è ricerca e non rinvenimento, problema e non soluzione. Come si sa, diceva di sé che sapeva una sola cosa: di non sapere niente. Per questo Platone concepì la dialettica, cioè la discussione, che cercò di regolamentare, come la tecnica più propria della filosofia. In lui non c’è una filosofia, come attività relegata alla sola coscienza individuale, ma un filosofare aperto agli altri in una “comunità di libera educazione”, ispirata alla solidarietà di uomini che “vivono insieme” e “discutono con benevolenza”. Ma si può considerare una ricerca che non progredisce attraverso almeno soluzioni parziali una vera e sana ricerca? Infatti Socrate arrivò alla non piccola equazione di vero = bene = bello; arrivò alla fondazione della morale. Scetticismo è d’altra parte anche la nonchalance con cui Platone, dopo aver enunciato il “Bene” come culmine e origine di tutto, compreso l’essere (il rapporto si invertirà in Aristotele), poi se ne “dimentica”, salvo qualche sparuto richiamo, nel resto della sua opera, per far planare alla fine, nel Filebo, quella celeste supersostanza verso la miglior forma di vita dell’uomo: misurata e ordinata, equilibrata tra il limite e l’illimitato (secondo concetti presi a prestito da Pitagora). Per questo, e per aver fatto per cinquant’anni una filosofia in continua oscillazione ed evoluzione, senza punti fermi, punti di arrivo, Goethe disse: “Chi ci sapesse spiegare che cosa uomini come Platone hanno detto sul serio o per scherzo, e che cosa per convinzione o tanto per dire, renderebbe alla cultura un servizio straordinario”. Platone ha trattato tutti i temi possibili e immaginabili, i più alti e i più gravi, intorno alle tre unità concentriche che esauriscono lo scibile: l’uomo, lo Stato, il cosmo, e ciascuno di essi a fondo, come se fosse il suo tema unico. Ma ogni volta le conclusioni vengono modificate, per esempio quelle politiche della Repubblica nel Politico e nelle Leggi, e quelle espresse sulle idee nella Repubblica, ristrette in seguito alle idee matematiche e ai valori estetico-morali, fino alla vana ricerca di un collegamento e di una mediazione tra il mondo iperuranio delle forme pure e il mondo materiale degli enti. Lo scetticismo trionfa anche nel Parmenide, da tutti osannato, compreso Hegel, come un vertice, mentre denota, insieme con il Teeteto, il Sofista, il Filebo e il Timeo, la crisi in cui Platone era caduto per il fatto di fondere e confondere l’essere e il divenire, la natura naturans, realtà a cui si arriva per necessità logica, e la natura naturata, realtà empirica a cui si arriva, antropomorficamente, con l’esperienza. Esse sono la stessa cosa, ma la prima è a noi inaccessibile, quindi non predicabile e non discutibile, mentre la seconda è accessibile e discutibile, ma soltanto nella percezione umana. Questo errore, che qui porta i più gravi sconquassi, serpeggia in tutta la filosofia occidentale, fino al nostro Severino.
L’essere è indicibile e inafferrabile; solo i suoi effetti, la natura naturata, sono per noi accessibili ed esplorabili. In conseguenza, ciò che si dice di Platone: che tutta la filosofia posteriore sarebbe un commento alla sua, può ben significare, data anche la vastità della ricerca, il bisogno che questa venga continuata e corretta, avendo essa aperto, ma non risolto i problemi di cui tratta. Ora, si ha un bel dire, come dice Montaigne a proposito di un antico che faceva filosofia senza farne gran conto, che questa era la vera filosofia, o, come dice Pascal, che “burlarsi della filosofia è vero filosofare”; la filosofia, se non oltrepassa i suoi limiti naturali, come è accaduto, accade e accadrà, è cosa grande e sacra, di cui ci si può, volendo, burlare, come di ogni altra cosa, ma senza mai intaccare questo suo austero carattere. A causa di esso Pico della Mirandola: “Se vedrai un filosofo”, dice, “discernere ogni cosa con netta ragione, veneralo; è animale celeste, non terrestre”. Questo carattere serio e sublime, dopo la filosofia non esente talvolta da una sottile malizia ludica di Platone, è subito dopo di lui incarnato da Aristotele, vero filosofo, quale Platone, secondo il grande platonista Mario Vegetti, non è. Platone è un visionario e un poeta della filosofia malgrado sé (nemico com’era dell’arte che inganna e mente la verità). Anche come tale, comunque, ha ricevuto non poche critiche. Per Hadot i suoi dialoghi sono aporetici e poco coerenti fra loro. Per Nietzsche essi sono “una orribile, compiaciuta e puerile forma di dialettica”. “Platone è noioso” (egli proclama), ed è afflitto da “un’orribile e pedantesca sofisticheria concettuale”; è “il primo esempio di carattere ibrido” e inoltre “è vile, perché fuggì dalla realtà e volle contemplare le cose solo nelle pallide immagini del pensiero”, a differenza di Tucidide, che guarda in faccia la realtà. A queste critiche ne vanno aggiunte altre due: per la sua condanna di Omero nella Repubblica con argomentazioni di bassa lega, che non gli fanno onore, e per la sua ostinata convinzione che i filosofi siano migliori governanti dei politici: uno sfondone riscattabile solo dall’indubbia grandezza e altezza della sua concezione del filosofare che riposa su profonde intuizioni e verità rivestite di forme mitiche, che altri, per secoli, porteranno alla luce (come per esempio la conoscenza, spiegata nell’anamnesi con il ricordo delle vite precedentemente vissute, invece che con la semplice omogeneità dell’uomo con la natura).
Sossio Giametta, Sette 29/7/2016