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 2016  luglio 29 Venerdì calendario

COME ACCOGLIERE LE SPOGLIE DELLA BREXIT

Avete notato? Il dibattito sulle spoglie della Brexit sta diventando illuminante non tanto riguardo alla Gran Bretagna, ma a tutti gli altri Paesi europei. Rivela molto della loro natura, della loro fiducia in se stessi, su come si vedono e come gli altri li vedono.
Premetto subito che le spoglie della Brexit sono alcune decine o potenzialmente centinaia di migliaia di posti di lavoro, oltre almeno a centinaia di milioni di euro in investimenti. Riguardano le banche internazionali, i fondi d’investimento, i centri di ricerca e le case di produzione farmaceutica che oggi hanno la propria sede europea a Londra e domani forse non più. Tutte queste aziende con i loro dipendenti altamente qualificati stanno meditando di muoversi, per lo stesso motivo: rischiano di perdere l’accesso a un mercato unico europeo da mezzo miliardo di persone. Il fattore che ha spinto banche d’affari americane come Morgan Stanley o Goldman Sachs a tenere a Londra sedi da circa 6.500 dipendenti l’una è (o era) il «passaporto europeo»: ogni operazione fatta da Londra è automaticamente riconosciuta come valida negli altri 27 Paesi dell’Unione.
Domani, con la Brexit, non più è più sicuro. Per questo le grandi banche, i fondi o le imprese farmaceutiche si stanno chiedendo dove andare per mantenere l’attuale accesso libero al mercato europeo. Se lo chiedevano anche i governi della Ue riguardo alle due grandi agenzie dell’Unione con base nella capitale del Regno Unito: l’Agenzia bancaria europea (Eba) e l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco.
Ora, qui risaltano due dettagli che trovo emblematici del nostro Paese. Il primo: nessuna azienda privata sembra sfiorata dall’idea di trasferirsi da Londra a Milano o in un’altra città italiana. Le grandi banche come Goldman Sachs, Hsbc o Deutsche Bank valutano Francoforte, Parigi, Madrid, o il Lussemburgo; i fondi d’investimento sono molto tentati da Dublino. Ma l’Italia proprio no, malgrado una qualità della vita che potrebbe attrarre molti talenti internazionali. Perché no? Le solite ragioni: giustizia lenta, amministrazione inefficiente e corrotta, tasse alte, energia cara, connessioni di rete deboli. L’Italia continua a non attrarre buoni posti di lavoro con personale qualificato e ben pagato. Non lo fa per le imprese italiane, perché dovrebbe riuscirci con quelle estere? Persino le assunzioni con contratto a tempo indeterminato sono sempre di meno nel Paese, malgrado il Jobs Act che le facilita e costosissimi sgravi da oltre 15 miliardi che li incentivano. In base a dati Istat, l’istituto statistico, erano a tempo indeterminato circa il 30% dei nuovi contratti quando l’attuale governo entrò in carica nel febbraio del 2014; sono il 24% nel maggio del 2016, malgrado tutto ciò che è successo nel frattempo. E in tutte le categorie, precari inclusi, i nuovi contratti di lavoro attivati nel 2016 fin qui sono state meno numerosi in media mensile rispetto al 2014.
Qui c’è il secondo dettaglio rivelatore: nemmeno l’Italia crede veramente in se stessa. Dunque si rifugia nell’eterna speranza rappresentata dallo statalismo. Fateci caso. Non avanziamo serie candidature a portare qui da Londra aziende private, che lavorano per generare profitti. L’intera discussione sulle spoglie della Brexit in Italia riguarda le agenzie pubbliche europee Eba e Ema: ma la loro migrazione sarà una scelta dei governi, perché si tratta di entità pubbliche non a scopo di lucro di posti di lavoro di funzionari pubblici a tassazione ridotta perché appartengono a organismi internazionali.
Dublino, Madrid, Parigi, Francoforte competono in un altro campionato: quello per le migliaia di posti di lavoro qualificati di un mondo produttivo che corre per crescere. Milano e Roma si limitano a presentare domanda per decine di posti degli arbitri pubblici di quelle imprese private. Per carità, è giusto candidarsi per averli e l’Italia ha buone carte da giocare: ma tutto questo vorrà pur dire qualcosa di noi? Chi decanta l’attrattività delle città italiane per quei due organismi, dimenticando il resto delle spoglie della Brexit, senza capirlo tradisce quanto l’Italia abbia perso fiducia in se stessa. Meglio allora affrontare i problemi che rendono il Paese poco attraente, e provare a candidarsi anche per tutto il resto.

Federico Fubini, Sette 29/7/2016