Loretta Napoleoni, il venerdì di Repubblica 29/7/2016, 29 luglio 2016
CHI INVESTIRÀ NELLO ZIMBABWE SUL LASTRICO
A metà luglio, il ministro delle Finanze dello Zimbabwe, Patrick Chinamas, è andato a Parigi per convincere i francesi a investire nel suo Paese.
Non si tratta di un pesce d’aprile estivo. Chi conosce la storia dello Zimbabwe, un tempo considerato il granaio del continente africano, sa bene che questa nazione è ricca di risorse, tanto che nel 1999 esportava circa mezzo milione di tonnellate di derrate alimentari. Ma dal 2003 l’economia è in ginocchio a seguito della riforma agraria che confiscò 4.500 aziende agricole di proprietà dei bianchi per poi ridistribuirle al gruppo etnico Shona, al quale il presidente Mugabe appartiene.
Da allora per lo Zimbabwe le cose sono andate di male in peggio. Nel 2008 il tasso d’inflazione ufficiale è salito al 231 per cento, nel 2009 la moneta nazionale è stata abolita e sostituita con il dollaro americano e il rand sudafricano. Subito dopo venne introdotto il programma di indigenizzazione secondo il quale tutte le imprese devono essere a maggioranza di proprietà di cittadini dello Zimbabwe. Dall’inizio dell’anno, poi, la tensione sociale è alta, mancano i beni di necessità primaria come il carburante, lo zucchero, l’olio da cucina perché non ci sono soldi per l’importazione.
Ormai il Paese è ad un passo dalla bancarotta, deve 10 miliardi di dollari al Fondo monetario internazionale, alla Banca mondiale e alla Banca africana per lo sviluppo e si trova in arretrato sui pagamenti degli interessi sui prestiti internazionali per un valore di 1,86 miliardi di dollari. Il ministro Chinamas ha promesso ai potenziali investitori francesi che questi debiti verranno pagati subito, ma non si capisce bene da dove arriveranno questi soldi. Con buona probabilità proprio da loro!