Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 29 Venerdì calendario

“STAMPUBBLICA” E IL MOLOCH DEL MONOPOLIO PUBBLICITARIO

“Berlinguer guardava con simpatia a un giornale di editori puri” (dall’intervista di Eugenio Scalfari a Repubblica, 28 luglio 2016). Non è solo questione di un 3%. Non basterà una sforbiciata di copie, al nuovo colosso “Stampubblica”, per rispettare i “tetti” stabiliti dalla legge sull’editoria. E comunque, qui non si tratta soltanto di numeri e percentuali, bensì di pluralismo dell’informazione e libera concorrenza. Due capisaldi di qualsiasi democrazia che sfuggono al computo automatico della calcolatrice.
C’è una macroscopica differenza, infatti, rispetto al settore dei libri che costituiscono un “mercato degli autori” più che delle copie vendute: non fa molta differenza se, per esempio, un romanzo di Andrea Camilleri viene pubblicato da Sellerio o Mondadori e un saggio di Gianrico Carofiglio da Einaudi o Laterza. Questo è piuttosto un “mercato delle testate”, ognuna delle quali con una propria storia e una propria tradizione, un’identità e un radicamento, ma anche con una rispettiva quota di mercato pubblicitario. È noto, del resto, che le concentrazioni hanno un effetto moltiplicatore sulla raccolta, per cui in questo campo 2 + 2 non sempre fa 4 e non basta quindi sommare le percentuali attualmente detenute.
Eppure, nei mesi scorsi, si sollevò una mobilitazione generale – negli ambienti intellettuali e nell’opinione pubblica – contro l’operazione “Mondazzoli” che ha portato alla fusione tra marchi storici come Mondadori e Rizzoli, limitata poi dai “paletti” dell’Antitrust (cessione della Bompiani e della partecipazione in Marsilio). Mentre ora si tende a sottovalutare o addirittura a rimuovere il pericolo che “Stampubblica” rappresenta per l’intero sistema mediatico italiano. E solo una difesa d’ufficio o di comodo può sostenere che i due giornali hanno “radici comuni”, derivando rispettivamente da un editore puro (L’Espresso e Mondadori) e da uno che più impuro non si può (la Fiat): basterebbe la cultura ambientalista, per dirne una, a far la differenza.
La mega-concentrazione fra Repubblica e i giornali della società Itedi, La Stampa di Torino e Secolo XIX di Genova, con le 18 testate locali del gruppo L’Espresso in aggiunta, supera il 20% delle tirature nazionali dei quotidiani, previsto dall’articolo 3 della legge sull’editoria, per attestarsi intorno al 23.
In primo luogo, sarà necessaria perciò la dismissione di qualche ramo d’azienda, cioè di qualche testata minore, per rientrare nei limiti stabiliti. Ma non può essere evidentemente un 3% in più o in meno a preservare il pluralismo dell’informazione da un trust di carta stampata né a garantire una sufficiente articolazione del mercato, editoriale e pubblicitario. Né tantomeno basterà “affittare” qualche testata ovvero darla in gestione ad altri, come se fosse una “seconda casa” in Sardegna o una “succursale” di periferia.
Nella stesso articolo della legge sull’editoria, è previsto un altro “tetto” che incombe sull’operazione e che si tende a trascurare: quello del 50% sulle tirature dei quotidiani nella “medesima area interregionale”. A scanso di equivoci, il testo cita innanzitutto quella del nord-ovest: Piemonte, Liguria e Val d’Aosta. In queste regioni il mega-trust aggrega La Stampa, Secolo XIX e le edizioni di Repubblica a Torino e Genova, raggiungendo un livello di concentrazione che supera senz’altro il 50% ed evoca lo spettro di un monopolio. Analogo discorso vale per il Triveneto, dove il gruppo già distribuisce una mezza dozzina di quotidiani locali, da Padova a Treviso e Venezia, da Trieste a Udine, da Bolzano a Belluno.
Fin qui, toccherà all’Autorità di garanzia sulle Comunicazioni valutare le dimensioni, gli effetti e le conseguenze di “Stampubblica”. Formato da 5 componenti, il collegio dell’Agcom è notoriamente lottizzato e potrebbe decidere a maggioranza con il voto decisivo del presidente Angelo Marcello Cardani, indicato a suo tempo dal governo Monti, il quale s’è già esposto indebitamente a favore di una tale concentrazione. Ma questa apparirebbe, appunto, come una scelta politica a favore di un trust destinato a simulare sulla carta stampata il vecchio “regime televisivo”.
C’è infine l’aspetto altrettanto rilevante che riguarda il mercato pubblicitario e che compete invece all’Antitrust. Una concentrazione del genere minaccia d’imporre la legge del più forte a danno di tutti gli altri media, di carta o elettronici. Per giudicare correttamente la portata dell’operazione “Stampubblica”, dunque, si può raccomandare di leggere o rileggere Notizie S.p.A., illuminante saggio di Michele Polo, docente d’Economia politica alla Bocconi di Milano, consulente dal 2003 al 2006 della Direzione generale della Concorrenza presso la Commissione europea. Il libro ha un sottotitolo che si attaglia bene al caso: “Pluralismo, perché il mercato non basta”. In merito alla proprietà dei mezzi d’informazione e alla necessità di garantire autonomia e indipendenza avverte: “Molte dei gruppi editoriali vedono al loro interno azionisti con forti interessi in settori come energia, costruzioni, credito e assicurazioni, servizi autostradali, auto, dove le politiche pubbliche giocano un ruolo fondamentale”. È su questo nodo che sono chiamate a pronunciarsi le Autorità preposte al controllo di un settore nevralgico per pluralismo e concorrenza.
GIOVANNI VALENTINI, il Fatto Quotidiano 29/7/2016