Francesco Manacorda, la Repubblica 27/7/2016, 27 luglio 2016
I TAVOLI INCROCIATI SU CUI GIOCA BOLLORE’
Lo sposo è fuggito. La Vivendi controllata da Vincent Bolloré scappa di fronte all’altare dove l’attendeva trepidante Mediaset Premium, figlia assai gracile di un Biscione che già sognava per lei nozze francesi. Una mossa che lascia esterrefatta la numerosa famiglia della sposa abbandonata e porta a interrogarsi sulle reali intenzioni dello sposo. «Oggi sono muto, non fatemi dire nulla». Se perfino uno come Tarak Ben Ammar, gran sensale delle relazioni Berlusconi& Bolloré e non esattamente campione mondiale di afasia, sceglie di affidarsi alle virtù del silenzio vuol dire che il momento è davvero difficile.
Le reazioni sono presto dette. In casa Berlusconi il voltafaccia dell’ex amico Bolloré provoca non solo incredulità, ma anche indignazione. Sì, perché se Vivendi rinuncia alle nozze previste, rilancia poi proponendo un nuovo accordo che la porterebbe presto ad avere il 15% di Mediaset. Al posto dell’abito bianco un’unione civile che ai piani alti di Cologno Monzese suona come uno schiaffo: «Vivendi vuole trasformare un accordo industriale in una scalata mascherata. Una cosa inaccettabile sotto tutti i punti di vista per un gruppo come il nostro che ha un solido azionista di riferimento». E a testimoniare come la fuga sia un fulmine a ciel sereno ci sono anche le carte. In particolare la delibera n. 316/16 dell’Agcom dalla quale si deduce che fino al 21 giugno – un mese fa – Vivendi era impegnata ad ottenere tutte le autorizzazioni «per il trasferimento di proprietà… di Mediaset Premium».
Vista dall’altra parte la questione è altrettanto cristallina. Già un paio di mesi fa Bolloré confidava a qualche amico di aver trovato una Mediaset Premium assai peggio messa di quel che pensasse: la dote di 120 milioni di euro di liquidità che avrebbe incassato accettando di comprarla rischiava di coprire appena le perdite di un anno. Che sia stata miope Vivendi nell’accettare un esborso di oltre 750 milioni per una tv a pagamento in forma non smagliante o che sia stato diabolico Bolloré a mettere un piede in casa Mediaset per poi cambiare le carte in tavola non è ancora dato sapere. Quel che conta è che in queste ultime settimane un tassello importante della strategia con cui il francese voleva costruire la sua “Netflix mediterranea” è andato perso: il 16 giugno scorso l’Antitrust francese ha bocciato l’operazione che avrebbe unito Canal Plus, controllato da Vivendi, con la Be In Sports di Al Jazeera. Anche da qui, probabilmente, la decisione di sfilarsi dall’affare italiano. Che però non è il solo affare italiano, visto che chi dice Bollorè dice anche Telecom, Mediobanca e dunque a cascata quelle Generali che secondo molti sono il frutto proibito che il francese vorrebbe assaporare.
Resta allora una domanda: qual è la strategia di Bolloré? E soprattutto Bolloré ha una strategia? Se si mettono in fila le sue ultime mosse sullo scacchiere italiano quel che se ne ricava è una tattica spregiudicata e opportunistica, che nega l’evidenza fino a un minuto dopo che questa si è compiuta: è il caso della governance di Telecom, di cui si è detto a lungo poco interessato salvo poi piazzare con un blitz ben quattro suoi consiglieri in un cda appositamente allargato. A questa tattica si uniscono, finora, perdite di una certa entità. Perdite patrimoniali nel caso di Vivendi, che solo sulla partita Telecom ha impiombato oltre un miliardo e mezzo in minusvalenze potenziali sulla partecipazione appena sotto il 25% che possiede. Ma anche perdita di reputazione nei confronti di un governo che inizialmente appariva ben disposto nei confronti del finanziere bretone. Quando Bolloré novizio di Telecom incontrò per la prima volta Matteo Renzi a Palazzo Chigi i sorrisi si sprecarono. Poi, complice la decisione di non seguire le ambizioni bandalarghistiche del premier i rapporti si sono decisamente raffreddati. Ora Renzi non perde l’occasione per appoggiare con il suo ingombrante endorsement l’Enel che ormai è avversaria di Telecom. E Telecom ha scelto un amministratore delegato come Flavio Cattaneo, che sulla fusione con Metroweb era freddissimo anche da semplice consigliere.
Il francese appare in difficoltà nella sua campagna d’Italia. Ma ha comunque una caratteristica. E’ «trés mobile», come lo definiscono in patria. Svelto, anzi sveltissimo. E anche questa volta non si è smentito. Di fronte al repentino rovesciamento di tavolo con Mediaset l’ipotesi di una scalata alla stessa Mediaset, magari per unirla poi in una fusione con Telecom, è suggestiva, ma difficilmente si potrà realizzare anche perché i Berlusconi hanno una salda quota di controllo. E gli interessi di Vivendi - che a un rapporto più stretto con Mediaset potrebbe puntare - non sempre si allineano con quelli del suo principale azionista.
Il Bollorè tattico penserà probabilmente a come uscire con il minimo danno dalla situazione spiacevole in cui si è venuto a trovare. Il Bolloré stratega lo asseconderà, ma sempre con lo sguardo rivolto più a Nord della romana Telecom e più ad Est della brianzola Mediaset. Dalle parti di Trieste dove stanno le Generali, diciamo.