di Bruno Tinti, il Fatto Quotidiano 28/7/2016, 28 luglio 2016
AMIANTO, PERCHÉ SI PUÒ RIPROCESSARE L’EX AD DI ETERNIT
Il 21 luglio la Corte costituzionale ha depositato una sentenza importante; non tanto sotto il profilo giuridico, piuttosto ovvio, ma per la rilevanza del processo su cui va a incidere, ossia le morti conseguenti alla dispersione di polveri in amianto, oggetto del cosiddetto processo “Eternit bis”.
Il primo processo aveva contestato agli imputati, ora ridotti a uno, il cittadino svizzero Stephan Schmidheiny, l’omissione dolosa di misure antinfortunistiche e il disastro ambientale, reati entrambi dichiarati prescritti dalla Cassazione.
Nel frattempo, la Procura di Torino istruiva un secondo processo per omicidio volontario plurimo, le morti per cancro conseguente alla respirazione delle polveri di amianto.
Giunto il processo all’udienza preliminare, il gup ha richiesto alla Corte costituzionale di valutare se il secondo processo non fosse in realtà solo la riproposizione del primo, sia pure con diverse qualificazioni giuridiche; in tal caso si sarebbe dovuto applicare il cosiddetto ne bis in idem, il divieto di processare una seconda volta chi ha già subito un processo per lo stesso fatto.
E, secondo i difensori, dello stesso fatto si trattava: le morti sarebbero avvenute a seguito della stessa condotta già contestata all’imputato, la dispersione di polveri di amianto avvenuta a seguito di omissione di norme antinfortunistiche.
La questione è – come suol dirsi – grave ma non seria. Tutto dipende dal fatto che i difensori sostengono violato il principio del ne bis in idem perché la stessa condotta sarebbe – e in effetti è – oggetto di due processi, nel primo dei quali è già stata dichiarata la prescrizione.
Il punto è che “stesso fatto” non significa “stessa condotta”; ed è facile capirlo se solo si pensa che da una sola condotta possono derivare eventi diversi.
Per restare al processo Eternit, l’omissione di norme antinfortunistiche ha cagionato la dispersione delle polveri di amianto il che è stata causa di un disastro ambientale e di numerose morti; eventi diversi, il primo già giudicato e ritenuto prescritto, il secondo ancora da giudicare.
E la Corte costituzionale dunque non ha fatto altro che segnalare questo errore: il fatto oggetto del divieto ne bis in idem è il reato nella sua interezza, condotta, evento e nesso causale; e dunque eventi diversi danno origine a fatti diversi.
Questione non particolarmente complessa, dunque. D’altra parte sarebbe stato sufficiente chiedersi quale soluzione avrebbe dovuto essere data nel caso di una rapina conclusasi con un cliente morto per infarto.
Supponendo che vi fosse il rischio di scarcerazioni per decorrenza termini, una Procura potrebbe decidere di portare a giudizio gli imputati per la sola rapina, in ordine alla quale ha già acquisito sufficiente materiale probatorio; e riservarsi di procedere con separato giudizio in ordine all’eventuale omicidio, non appena terminata la consulenza medica sull’esistenza di un nesso causale tra infarto e stress conseguente alla rapina.
Stessa condotta, eventi diversi.
Davvero un avvocato se la sentirebbe di sostenere che i rapinatori dovrebbero restare impuniti per l’omicidio essendo stati già giudicati per la rapina?
di Bruno Tinti, il Fatto Quotidiano 28/7/2016