Luana De Micco, il Fatto Quotidiano 28/7/2016, 28 luglio 2016
«CHARLIE HEBDO L’AVEVA DETTO NEL 2006: SONO IDEOLOGIE PRÊT-À-PORTER» – [intervista a Gérard Biard] – Come tutti i totalitarismi, l’ideologia islamista trova milioni di ragioni per agire
«CHARLIE HEBDO L’AVEVA DETTO NEL 2006: SONO IDEOLOGIE PRÊT-À-PORTER» – [intervista a Gérard Biard] – Come tutti i totalitarismi, l’ideologia islamista trova milioni di ragioni per agire. È un’ideologia prêt-à-porter che funziona sempre e si adatta a ogni situazione. Mi infastidisce che si cerchi ogni volta di trovare delle spiegazioni agli attentati, del perché succedono in Francia. Si sostiene che è un ex paese coloniale, che non si è occupato delle sue banlieue, che è razzista. C’è tutto questo e molto di più. Abbiamo permesso a questa ideologia di installarsi e non riguarda solo la Francia. Lo abbiamo visto in Germania nei giorni scorsi. L’Italia sembra sentirsi al riparo, ma si sbaglia. Siamo tutti possibili bersagli di Daesh”. Incontriamo Gérard Biard davanti a un caffè nella brasserie Zeyer nel quartiere di Montparnasse. Due agenti di scorta in abiti civili lo osservano discretamente dall’esterno. Dal gennaio 2015, il caporedattore di Charlie Hebdo, che non era a Parigi il giorno della strage commessa dai fratelli Kouachi, vive sotto vigilanza. Il giornale, del resto, continua a ricevere minacce. Le ultime risalgono a giugno. Un’inchiesta è stata aperta il 22 giugno dopo la pubblicazione di messaggi violenti sulle pagine Facebook del giornale satirico, a causa di un disegno dedicato a Mohamed Ali, all’indomani della sua morte: “Abbiamo deciso di renderle pubbliche per dire ai francesi che non è finita, neanche per noi”. Rispetto a un anno e mezzo fa, gli attentati si fanno sempre più frequenti. Che cosa sta succedendo in Francia? Si sta concretizzando ciò di cui parlavamo a Charlie sin dal 2006, cioè dalla vicenda delle caricature di Maometto. Siamo entrati in un ciclo, un attentato segue l’altro. I francesi ne hanno preso coscienza, non dopo Charlie, ma dopo il 13 novembre, quando ci si è resi conto che il terrorismo riguarda tutti. Ci stiamo abituando a convivere con gli attentati quotidiani. Pensare di poterli prevedere tutti è impossibile, soprattutto se non ci si trova di fronte a filiere ma a terroristi fai-da-te. La destra accusa il governo di non fare abbastanza per garantire la sicurezza dei francesi… La paura implica una richiesta forte di sicurezza ma non si può mettere un poliziotto dietro a ogni francese. Il governo ha il dovere di proteggere la popolazione. La questione è: fino a che punto si può spingere? Dopo Nizza la destra ha persino detto che se i soldati fossero stati armati di lanciarazzi si sarebbe evitata la strage. Ma si tratta solo di discorsi elettorali. Il caso di Trump negli Stati Uniti mostra che le idiozie sono i discorsi che funzionano meglio quando in ballo ci sono sfide politiche. Come Adel Kermiche, che ha ucciso il prete di Sainte-Étienne-du-Rouvray, molti jihadisti si sono radicalizzati dopo Charlie. I giovani che oggi guardano i video di Daesh assomigliano ai giovani tedeschi che negli anni 70 attaccavano alle pareti i poster di Andreas Baader (a capo dei terroristi della Baader-Meinhof) e ai giovani italiani affascinati dalle Brigate rosse. Solo che all’epoca a quei ragazzi venivano date delle alternative. Oggi nessuno osa dire loro che non bisogna solo leggere il Corano o, che so, un altro libro sacro. Ci si paralizza quando si tratta di religione. Che fare? Il successo di Daesh è di essere riuscito a trasformare qualcosa di intimo come la religione in un’ideologia politica. In passato la Francia ha già portato avanti una lotta politica contro il cattolicesimo, prima con la Rivoluzione del 1789 poi la legge del 1905 sulla separazione della Chiesa e dello Stato. Non è stata una guerra contro i cattolici, ma contro il cattolicesimo come forza politica. La Francia dovrebbe portare avanti lo stesso tipo di battaglia contro l’islamismo, in quanto ideologia, ma ha paura. Ma non si può fare una guerra senza dare un nome al proprio nemico. Quale è il ruolo della satira? La satira deve cercare di fare luce su certe discorsi e situazioni. Si criticano spesso le caricature perché sono provocatorie. Ma un disegno è come un pugno nello stomaco. Se non scatena una reazione forte, se non veicola un’idea, non è un buon disegno. Disegnare una colomba della pace che piange, dopo gli attentati di Nizza, come ha fatto Plantu per Le Monde, per me è penoso. Che cosa dice degli attentati? Nulla. LUANA DE MICCO, il Fatto Quotidiano 28/7/2016