di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 28/7/2016, 28 luglio 2016
IL MERLO PARASTATALE
Umiliazione. Amarezza. Costernazione. Non ci sono altre parole per commentare il triste piazzamento del collega Francesco Merlo, 65 anni, pensionato dopo un’onorata carriera di fustigatore di costumi altrui al Corriere e poi a Repubblica (con cui tuttora collabora), nella classifica dei superstipendiati Rai. Si pensava che la sua pregiata firma fosse approdata in Viale Mazzini a peso d’oro, cioè con uno stipendio degno della sua stazza. Invece la cifra pubblicata dai giornali e dal sito Rai accanto al suo nome e cognome è mesta, loffia, gnegnè, nientediché: appena 240 mila euro l’anno. Pari ai guadagni, per dire, dell’ex reginetta di Telecamere Anna La Rosa, degli ex inviati berlusconiani Alessandro Casarin e Susanna Petruni, dell’ex dg spiaggiato “alle dipendenze del Dg” Alfredo Meocci, dell’ex ballerino di fila Massimo Liofredi. Addirittura sotto Piero Marrazzo che, ormeggiato a Gerusalemme, ritira a fine anno 244.062 euro. Una miseria mortificante. E dire che a Merlo la nuova Rai renziana ha affidato una missione di alto concetto. Testuale: “Strategia offerta informativa Rai e supporto del direttore editoriale offerta informativa. Mansione: professionista”. Roba da gonfiare d’orgoglio il petto dei famigliari: “Piccolo, che fa tuo padre?”. “Strategia, offerta informativa e supporto”. “Perbacco”.
La mission, qualunque cosa voglia dire, richiede una reperibilità h24, come per gli agenti antiterrorismo, i medici di guardia e i pony express del Prontopizza. Metti che, dopo la mezzanotte, il direttore editoriale offerta informativa necessiti urgentemente di un etto di supporto sfuso o mezzo chilo di strategia prêt-à-porter: ovunque si trovi, qualunque cosa stia facendo, foss’anche nel primo sonno, Merlo deve scattare in piedi, lavarsi, sbarbarsi, profumarsi, vestirsi di tutto punto e paracadutarsi in Viale Mazzini per il briefing notturno. Che teoricamente può protrarsi fino alle prime luci dell’alba. Il che, per un pensionato d’oro è una bella seccatura. Altro che 240 mila euro l’anno: ma li dessero alle donne delle pulizie. Cos’è questo braccino corto? Basta con questo pauperismo. E l’indennità di missione? E il fondo rischi? E il forfait straordinari? Senza contare il risarcimento d’immagine, doveroso per una penna acuminata adusa a denunciare gli sperperi in casa Rai. Ancora due anni fa, 1° giugno 2014, Merlo tuonava su Repubblica con quanto fiato aveva in becco contro “i mirabolanti sprechi”, ma soprattutto i dipendenti in sciopero (peraltro finto) contro il governo Renzi che aveva appena rapinato 150 milioni all’azienda.
Cosa che lui, impegnato in memorabili soffietti a Renzi, Boschi e Napolitano, non poteva tollerare: “Va in scena, anzi in onda, la sedizione del mezzobusto che rivuole un padrone, il Vespro della casta catodica, la sommossa del ‘panino’” di “13.000 dipendenti, 21 sedi regionali, 1700 giornalisti, 3000 collaboratori, 110 parrucchieri, 70 camerinisti, 61 falegnami e poi meccanici, consulenti musicali, arredatori, costumisti… mille segreterie più affollate dei ministeri, aiuto registi, programmisti, 48 direttori e 70 vicedirettori, tecnici…”. Mancavano, alla lista, solo i pensionati consulenti a 240 mila euro l’anno, ma solo perché lui non lo era ancora. E così giù botte (lette oggi, un filino autobiografiche) all’“informazione servile più pagata e pletorica d’Europa”, al “pozzo dove si annida da sempre il potere italiano”, alla “madre di tutte le raccomandazioni”, alla “torta per eccellenza di tutte le spartizioni”. Ce l’aveva, Merlo, anche coi “giornalisti dei Tg lottizzati, gli artisti e le orgogliose maestranze”, senza sospettare che presto avrebbe raggiunto in allegra brigata. “Tutti lo sanno”, sferzava: “È con ‘l’esame Rai’ che si misura ogni nuovo governo, tutti si aspettano lo spoils system, il cambio di stagione della simonia. La Rai è sempre stata gestita da funzionari di Palazzo Chigi, emissari governativi travestiti da giornalisti”. Tipo lui oggi, per dire. E si lanciava in un oracolo: “Renzi… non ha mai voluto incontrare nessuno… e ha rivendicato questa sua ‘distanza’ da tutto l’universo Rai”, visto che “per gli italiani non c’è nulla di più esecrabile della Rai, con tutto il suo cortile, il suo odiatissimo canone, i dibattiti addomesticati, i pollai, i varietà di bambini e padelle”. Senza contare “le spese pazze e i supercontratti furbi delle star dell’informazione lottizzata che hanno i benefici del libero professionista ma con la clausola del rientro, del paracadute: lavoratori autonomi con la garanzia del posto sicuro”. Un autoritratto perfetto, a posteriori. Ma chi glielo doveva dire, a Merlo, che di lì a poco l’amato Matteo avrebbe perpetuato la stagione della simonia e sistemato fra il cortile e il pollaio l’amichetto Campo Dall’Orto, che vi avrebbe piazzato a sua volta gli amichetti degli amichetti, giù giù fino a Merlo col suo supercontratto furbo da 240 mila euro. Sennò avrebbe evitato di scrivere che “Mamma Rai è morta”. Per evitare che ora qualcuno gli domandi: “E che ci fai tu a bordo del caro estinto? Organizzi le esequie? Però, caruccia questa impresa di pompe funebri: con quella dei Casamonica si risparmiava”. Perciò colui che due anni fa sbraitava contro “il bunker del potere malandrino” e “il comitato centrale dell’Arcitalia”, ora che è salito sul carro va adeguatamente risarcito. Mettete che incontri per strada uno dei 2.400 abbonati che pagano l’odiatissimo canone (in bolletta) per assicurargli lo stipendio: le cose potrebbero mettersi male. Si provveda dunque immantinente a raddoppiargli (almeno) lo stipendio, oltre a munirlo di auto blindata, scorta d’ordinanza e tutto quanto si conviene a un vero giornalista-stratega-supporto parastatale
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 28/7/2016