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 2016  luglio 27 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO L’ATTACCO ALLA CHIESA DI ROUEN REPUBBLICA.IT PARIGI - Ventenne, Abdel Malik P

APPUNTI PER GAZZETTA - DOPO L’ATTACCO ALLA CHIESA DI ROUEN REPUBBLICA.IT PARIGI - Ventenne, Abdel Malik P., schedato dalle autorità francesi come Adel Kermish. Sarebbe questo il primo profilo del secondo attentatore della chiesa di Saint-Etienne-de-Rouvay secondo Le Point, che cita fonti vicine all’inchiesta. Abdel Malik P. risulterebbe segnalato con la sigla "S", a indicare persona a rischio radicalizzazione. Si attende la conferma dal test del dna. Durante una delle due perquisizioni fatte a Rouen poche ore dopo la sanguinosa presa di ostaggi, quella nell’abitazione di famiglia di Kermiche, sarebbe stata trovata, secondo Le Figaro, una "carta d’identità" e "parecchi elementi inducono a ritenere che si tratti" di un documento appartenente "al secondo aggressore", hanno spiegato le fonti. Con il passare delle ore emergono dettagli anche sul primo attentatore identificato: secondo Le Monde, Adel Kermiche soffriva di disturbi psichici fin dall’infanzia, tanto da essere stato costantemente seguito da psicologi fin dall’età di 6 anni. A 12 anni fu espulso da scuola per "disturbi comportamentali": nella sua scheda fu riportato che si trattava di un "soggetto iper-attivo". Francia, identificato uno degli assalitori di Rouen: ha 19 anni Navigazione per la galleria fotografica 1 di 6 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () Imam Al-Azhar: "Attacco contro valori Islam". Una dura condanna all’attacco di Rouen arriva da Ahmad Al-Tayyib, il grande imam di Al-Azhar, la massima istituzione dell’Islam sunnita con sede al Cairo: "Gli autori di questo attacco barbaro si sono spogliati dei valori dell’umanità e dei principi tolleranti dell’Islam che predica la pace e ordina di non uccidere gli innocenti". "L’Islam ordina il rispetto di tutti i luoghi di culto dei non musulmani", ha aggiunto rinnovando l’appello a unirsi per far fronte al "cancro del terrorismo". No al carcere preventivo. Il giorno dopo l’uccisione di padre Jacques Hamel in una chiesa normanna, che ha di nuovo gettato la Francia nel terrore, la tensione resta altissima. I rappresentanti delle diverse religioni in Francia chiedono "sicurezza rafforzata" per i luoghi di culto dopo l’attacco nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray e oggi hanno incontrato il presidente Francois Hollande, a cui sono arrivate oggi le condoglianze della cancelliera tedesca, Angela Merkel. Intanto il governo francese esclude che ci possa essere il carcare preventivo per i sospettati di legami terroristici: l’ipotesi di una detenzione preventiva per gli individui schedati in Francia con la lettera ’S’ - vale a dire quelli potenzialmente radicalizzati che rischiano di passare all’azione - "è anticostituzionale, ma soprattutto inefficace", ha detto il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve ai microfoni di radio Europe 1. Schedato con la lettera ’S’ era anche uno dei due giovani attentatori che ieri hanno sgozzato padre Hamel. Attacco in chiesa a Rouen: le prime pagine dei quotidiani francesi Navigazione per la galleria fotografica 1 di 30 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () Più sicurezza. Alla riunione all’Eliseo, ha riferito il rettore della grande moschea di Parigi Dalil Boubakeur, hanno partecipato rappresentanti cristiani, dell’ebraismo, dell’Islam. "Abbiamo profondamente auspicato che i nostri luoghi di culto siano oggetto di una attenzione rafforzata, perché anche il più umile dei luoghi di culto è bersaglio di un’aggressione", ha detto Dalil Boubakeur. "C’è una contraddizione di valori. Abbiamo sperato nell’avvenire, sarebbe tempo per i musulmani di assumere la consapevolezza di ciò che non funziona in questa visione mondiale dell’Islam e che i musulmani di Francia prendano l’iniziativa, l’iniziativa di una formazione molto più attenta dei nostri religiosi e anche la sensazione che si debba mettere in agenda anche una certa riforma delle nostre istituzioni". Consiglio di Difesa all’Eliseo. Dopo aver ricevuto i responsabili dei culti, il presidente francese, che ha rimandato per la seconda volta il suo viaggio in Repubblica Ceca, già posticipato dopo la strage di Nizza del 14 luglio, ha presieduto un Consiglio nazionale di Sicurezza e Difesa per fare il punto della situazione. Nel corso della riunione è stato annunciato che la Francia ha deciso una "ripartizione più importante delle forze militari dell’operazione Sentinelle in provincia", ha riferito il ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian. "Quest’estate ci sono 56 eventi da mettere in sicurezza" in Francia, ha precisato Cazeneuve, aggiungendo che per questo ha chiesto ai prefetti di mettersi in contatto con i sindaci dei Comuni interessati. Il ministro dell’Interno ha aggiunto che il numero di militari mobilitati per protegger i luoghi sensibili sul territorio salirà a 10mila, come era già stato annunciato dopo l’attacco del 14 luglio a Nizza e ha annunciato che dopo l’appello a unirsi ai riservisti dell’esercito, "2.500 francesi hanno manifestato il loro interesse a impegnarsi". Indagini a tutto campo. Proseguono, intanto, le indagini: secondo i primi elementi sull’attentato, il minore di 16 anni fermato ieri dalla polizia francese "non ha legami" con l’attacco, ha riferito Cazeneuve. Interrogato su un eventuale sostegno logistico ai due assalitori, Cazeneuve ha risposto: "Pare di no, ma ancora una volta devo essere molto prudente (...) lo sapremo nelle prossime ore". Rivista sicurezza in chiese della Gran Bretagna. L’ultimo attacco in Francia ha fatto alzare il livello di allerta nei luoghi di culto anche in Gran Bretagna, dove è stata rivista la sicurezza delle chiese nel timore che anche qui possano colpire dei simpatizzanti dell’Is. Secondo il sito del Guardian, la polizia ha diffuso un comunicato in cui invita religiosi e fedeli a una maggiore attenzione e a denunciare ogni comportamento sospetto sebbene non siano emerse minacce dirette. Intanto l’Home Office ha messo a disposizione 2,4 milioni di sterline (2,9 milioni di euro) per rendere più sicuri i luoghi di preghiera nel Paese. Abu Mazen a Papa: "Condanniamo attacco". "Siamo sconvolti dall’attacco barbaro alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray in cui abbiamo perso il parroco Jacques Hamel. A nome dello Stato di Palestina e del popolo palestinese, e a nome mio personale, condanno la vile e odiosa azione terroristica e qualsiasi giustificazione si osi dare in nome della religione a questi atti contro l’umanità", ha scritto a Papa Francesco, il presidente di Palestina Mahmud Abbas (Abu Mazen). Attacker Two: "Abdel Malik P" The second attacker is believed to be Abdel Malik P., a 19-year-old from Savoie, south-eastern France, a source close to the police investigation told the Telegraph it was "highly likely". An identity card belonging to Abdel Malik P. was found during a search of the home of Kermiche’s parents on Tuesday. Police also searched an address in Aix-les-Bains, a town in Savoie, as part of the investigation into the Normandy church attack, the regional newspaper Dauphiné Libéré reported. Abdel Malik P. was known to the security services as having been radicalised although he had no convictions. It is believed his fingerprints were on record. Abdel Malik P. is also believed to have tried to travel to Syria. Kermiche made two attempts but was arrested both times. KARIMA MOUAL SU FORMICHE La mano jihadista ha colpito ancora una volta il cuore dell’Europa e questa volta attraverso un altro simbolo per eccellenza: la chiesa e il cattolicesimo. E lo fa uccidendo selvaggiamente padre Jacques Hermel nella sua parrocchia, al momento della preghiera. Un uomo di 86 anni ammazzato – secondo l’identikit degli attentatori – da un giovane poco più che diciannovenne e un altro ancora minorenne. Uno di loro, Adel Kermiche, aveva 19 anni. Nato in Francia da una famiglia algerina senza problemi economici e un padre professore, era già stato arrestato per aver tentato di andare due volte in Siria. Durante l’attacco indossava un braccialetto elettronico. Si è radicalizzato negli ultimi 18 mesi, affascinato dall’attacco contro Charlie Hebdo. Il suo nome si inserisce ad altri nella lista dei nuovi jihadisti, figli dell’occidente lontani dall’essere ravvicinati per storia e quotidianità alla causa jihadista, ma che invece in breve tempo vengono divorati dal messaggio in un percorso di radicalizzazione ancora da approfondire. Adel Kermiche si aggiunge a Mohamed Bouhlel che ha colpito Nizza e che tutti ricordano come tutt’altro che un buon musulmano: beveva alcol, mangiava carne di maiale, consumava droghe, non digiunava nel Ramadan e non frequentava le moschee ma, anzi, preferiva le sale da ballo, soprattutto di salsa. Aveva, poi, una vita sessuale doppia e non intesa come poligama ma bisessuale. Bouhlel in sintesi, viveva nel haram, nell’illecito secondo la tradizione musulmana classica. La sua condotta quotidiana è sufficiente per identificare il jihadista di Nizza come un giovane lontano dal ritratto di un pio musulmano. Lo era anche Adel dal racconto della madre. Quanto basta perché i musulmani possano tirare un sospiro di sollievo e rinnegarlo: “Lo vedete? Non è un uno di noi. Era solo un depresso ecco perché si è trasformato in terrorista. Basta etichettare l’Islam con il jihadismo quando poi si scopre che gli attentatori non condividono nulla con l’islam plurale e tradizionale”. Come conclusione non fa una piega e farebbe tirare un lungo sospiro di sollievo – non solo ai musulmani – se non fosse che il ritratto di Bouhlel o di Adel si aggiunge ormai alla lista di un vero esercito di perversi in ombra, che si richiamano all’Islam, che nascono e crescono nel grembo anche dell’Occidente. Noi abbiamo imparato a conoscerlo contando le vittime, spulciando a posteriori la loro vita privata, per scoprire oggi che questo esercito jihadista ha molti tratti comuni, nuovi e inaspettati. Basti pensare, per esempio, a Salah Abdessalam, Abdelhamid Abaaoud, Mohammed Merah e Amedy Coulibaly. Giovani con la fedina penale sporca, ma anche la fede torbida e blasfema. Una fede che, però, a un tratto della loro vita viene ricostruita in breve tempo, trovando la propria culla naturale nell’ideologia jihadista. Delinquenti ribelli in casa islamica, frustrati che paradossalmente attraverso il haram, (uccidere innocenti) e il loro halal (il martirio) trovano la loro immaginaria purificazione. È difficile accettare la mostruosità di questi giovani terroristi, ma provare come musulmani a girare le spalle a questo mostro ripetendo come un disco rotto che questi individui non sono musulmani, non aiuta a capire e sconfiggere le cause che hanno portato ragazzi, comunque di cultura musulmana seppur non praticanti, nati e cresciuti in Occidente, a risolvere i propri conflitti abbracciando il messaggio del terrore. Bisogna pur iniziare a chiedersi il perché la maggioranza dei musulmani oggi viene combattuta da una minoranza violenta, che anch’essa dice di fare riferimento agli stessi testi sacri. Rinnegare i jihadisti dalla casa dell’islam significa consegnare il proprio futuro a un suicidio lento ma feroce, quanto lo sono le stragi che stiamo vivendo. Iniziano infatti ad emergere nuovi tasselli per ricostruire il successo dell’IS nel reclutare alla causa jihadista nuove leve, insospettabili ai servizi perché lontani dal profilo islamico. La via anche questa volta sono le fonti classiche e non qualcosa di nuovo. Fonti che raccontano di un Islam di pace e plurale, ma anche il suo contrario. Fonti complesse e difficili da maneggiare, ma oggi nell’epoca di internet, facilmente manipolabili a interpretazioni fuorvianti e alla portata di tutti, non solo dei dotti e sapienti islamici. Fonti diventate armi taglienti nel momento in cui non si ha avuto il coraggio intellettuale di anticipare il tempo e portare avanti un lavoro di “pulizia” prima ancora della “riforma”, eliminando la violenza contenutasi senza contraddizioni e compromessi. L’ingrediente che accomuna questi giovani jihadisti è una vita segnata dalla sregolatezza e fuori dai dettami classici musulmani, che diventa fonte principale di reclutamento e riscossa, attingendo proprio alle fonti islamiche. Questa la chiave di lettura ricordata da Mohammed Louizi, franco marocchino, autore dell’ultimo libro “Perché ho lasciato i Fratelli musulmani”. Louizi mette in guardia chi si affretta ad analizzare il profilo dell’ultimo attentatore come lontano dall’essere reclutato dalla rete jihadista perché conduce una vita fuori dai dettami islamici: “È totalmente falso – precisa – che il profilo del jihadista debba essere per forza quello di una persona pia ed eticamente ineccepibile”. La letteratura jihadista pullula di racconti quasi mitici, uno dei più accreditati è quello sulla figura di Abu Mihjan al-Thaqafi, vissuto all’epoca del secondo Califfo Omar Ibn Al Khattab. La sua storia circola su siti in lingua araba e inglese, non solo jihadisti, dove si racconta come fosse stato sì un alcolizzato, ma anche impareggiabile nelle guerre di conquista. Una delle più importanti: la battaglia di Al Qadisiyyah contro i persiani. Alternava prigione, flagellazione e jihad. Grazie proprio a lui la battaglia fu vinta e per questo fu graziato dallo stesso Emiro. Un racconto che trasuda eroismo, facendo emergere come la sregolatezza e la ribellione non possano essere fattori di esclusione, ma quasi un passo avanti verso la purificazione completa attraverso il jihad. Quanto basta nella nostra epoca per mobilitare nuovi giovani candidati, frustrati, egocentrici e in conflitto con le loro identità liquide. Il terrore diventa un atto finale, la prova più grande per dimostrare al mondo ma soprattutto alla propria comunità – che per prima li rinnega per la loro vita fuori dagli schemi islamici – che invece loro sono ancora più meritevoli, pagando il prezzo del martirio. Il jihadismo 2.0 conosce molto bene i nervi scoperti di un Islam che non ha saputo con i propri sapienti dotarsi di anticorpi adeguati per far fronte a questa minaccia sanguinaria. In Marocco, che è un’eccezione nell’area, solo da quest’anno si è deciso di mettere mano ai testi scolastici religiosi per fare pulizia, eliminando i riferimenti di violenza e jihad. Gli altri Paesi dormono mentre il jihadismo no, perché ha dimostrato di conoscere molto bene i giovani e le loro frustrazioni ma, soprattutto, conosce molto bene anche i nostri giovani di cultura musulmana che vivono in Occidentale. Sa quanto la sfida, qui, sia più ardua e quanto metta alla prova, rispetto al altri contesti, la costruzione di una identità pacificata con se stessa e con la pluralità religiosa. Il primo video dell’IS aveva come protagonista una seconda generazione che parlava in inglese. Il suo obbiettivo era chiaro fin dall’inizio: il futuro, attraverso le seconde generazioni che vivono in Occidente. Che, infine, vivono al di fuori dei dettami islamici, ancora meglio se delinquenti e rinnegati dalla comunità perché lontani da essa. Il vero pericolo, la sfida dell’Islam, è anche questo. Combattere se stesso accettando al suo interno la diversità, togliendo dalla gogna la parola “infedele” meritevole di inferno e morte terrena secondo la lettura classica. Una diversità amplificata vivendo da musulmani in un contesto occidentale. Le seconde generazioni che risiedono in Occidente non possono essere condannate o all’ortodossia o all’essere incriminate per le loro scelte di vita fuori dagli schemi tradizionali, come rinnegati, traditori e infedeli con tutto ciò che ne consegue psicologicamente. E che può avere come atto estremo l’abbraccio del jihad. È la chiave della casa offerta dall’Isis per riconciliare queste anime ribelli. Se l’islam non affronterà questo tema – che è alla base del fondamentalismo e si nutre della rinnegazione dell’altro quando non è musulmano ma appartenente ad altre religioni; quando è apostata, e oggi anche quando è un giovane di seconda generazione che vive una quotidianità fuori dai dettami religiosi – si avvierà ben presto al suicidio, per mano di chi in nome del jihad vorrà dimostrare di essere più islamico dell’Islam. PAOLO GALLORI SU REP.IT 375 1,6mila Per molte ore, solo pochi elementi utili a tracciare il profilo dei due autori dell’orrore nella chiesa di Saint-Etienne-de-Rouvray, nei pressi di Rouen, Dipartimento di Seine-Maritime in Normandia. Eppure, quei pochi elementi concorrevano a formare un primo pesante giudizio. Non sui terroristi, ma sulle autorità francesi. Per la superficialità con cui hanno affrontato la bruciante minaccia jihadista che covava sotto la tiepida cenere della quotidianità anche in quell’angolo del profondo Nord solo in apparenza così lontano dall’epicentro del terrore. La stessa superficialità esibita a Nizza, nel vacanziero e spensierato Sud, la sera del 14 luglio, festa nazionale. I due "soldati" dello Stato Islamico, come vengono definiti nella tempestiva rivendicazione di Daesh, erano francesi e originari di Saint-Etienne-de-Rouvray, secondo quanto riferiscono fonti "bene informate" citate da BFM-TV. Sarebbero stati addirittura riconosciuti dalle vittime dell’attacco. L’attenzione è concentrata soprattutto su uno dei due, di cui solo in serata trapela il nome dopo la formale identificazione: Adel Kermiche, 19 anni, nato il 25 marzo 1997 a Mont-Saint-Aignan, sempre nel Dipartimento di Seine-Maritime. Adel Kermiche viveva a Saint-Etienne-du-Rouvray, a casa dei genitori. Ed era ben noto alle forze dell’ordine, perché costretto a portare il braccialetto elettronico a seguito di una vicenda per la quale avrebbe dovuto vivere sotto ben più stretta sorveglianza in un Paese come la Francia, da quasi due anni oppresso dalla cappa del terrorismo di matrice islamista. Vicenda che, ripercorsa passaggio per passaggio, è stata confermata anche dal capo della Procura antiterrorismo di Parigi, Francois Molins. Francia, identificato uno degli assalitori di Rouen: ha 19 anni Navigazione per la galleria fotografica 1 di 6 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () Adel Kermiche nel 2015 aveva cercato per due volte di raggiungere la Siria per unirsi allo Stato Islamico. Al secondo tentativo, il 13 maggio, era stato intercettato e respinto dalla Turchia, quindi arrestato all’aeroporto di Ginevra. Secondo il quotidiano svizzero La Tribune de Genève, Kermiche aveva trascorso qualche giorno in cella nel carcere ginevrino di Champ-Dollon, quindi estradato in Francia, dove intanto era stato spiccato un mandato di cattura internazionale a suo carico. Accusato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo, Adel Kermiche era rimasto in stato di detenzione provvisoria fino al 22 marzo scorso, quando un giudice istruttore aveva disposto la sua scarcerazione e la contestuale libertà vigilata con applicazione del braccialetto elettronico. Contro il provvedimento, sottolinea in conferenza stampa Molins evitando emblematicamente di aggiungere alcun commento, la sua Procura aveva fatto ricorso, senza successo. Assieme al segnalatore applicato alla caviglia, il 19enne doveva osservare una serie di obblighi: risiedere presso la famiglia, non allontanarsi dal Dipartimento, consegnare il passaporto. Poteva però disporre di libertà di movimento per quattro ore dal lunedì al sabato, dalle 8.30 alle 12.30, la domenica fino alle 14. Una "finestra" temporale che Adel Kermiche ha sfruttato per portare a compimento l’attacco costato la vita a un parroco e il ferimento grave di un’altra persona, scattato con l’irruzione nella chiesa intorno alle 9.30. Ad aggravare il quadro, le dichiarazioni rese ai media da due giovani musulmani di Saint-Etienne du Rouvray in forma anonima. Parole da prendere con la dovuta cautela, in attesa che le indagini evidenzino in esse un fondo di verità. "E’ un coglione - afferma uno degli intervistati riferendosi ad Adel Kermiche -. Ha tolto la vita a gente che non c’entrava niente con le sue storie. Era arrabbiato perché voleva andare in Siria e lo hanno fermato. Voleva vendicarsi per essere stato in prigione. Poteva vendicarsi in prigione invece di fare una cosa cosi nel quartiere". Il ragazzo prosegue, aggiungendo al racconto un altro inquietante elemento. L’esistenza di un fratello di Adel, attualmente in Siria con il Daesh. "Hanno provato ad andare in Siria, lui e il fratello. Hanno truccato i documenti, se li sono scambiati, una cosa del genere. Ma lui è stato fermato e rimandato indietro, era furioso. Il fratello però è passato, sta là adesso". "Sì, è lì e si addestra - gli fa eco il secondo giovane musulmano - dicono che manda anche foto dal campo in Siria". Anche l’emittente francese Rtl riporta la testimonianza di "due amici" di Adel Kermiche, forse gli stessi, incastrando un’altra tessera nel puzzle dell’orrore che, mai come in questo caso, poteva essere evitato. Uno dichiara: "Mi disse: sul Corano e sulla Mecca, attaccherò una chiesa. Me lo disse due mesi fa uscendo dalla moschea. Sulla vita di mia madre, non gli ho creduto. Ma non mi sono stupito, me ne parlava tutto il tempo. Parlava dell’Islam, che avrebbe fatto cose del genere". Passano le ore ed ecco saltare fuori un’intervista rilasciata dalla madre di Adel un anno fa a La Tribune de Geneve, all’epoca dell’arresto. La donna indicava nella strage della redazione di Charlie Hebdo il "detonatore" della radicalizzazione di suo figlio. "A partire da gennaio 2015 (mese dell’attacco al giornale satirico), da che era un ragazzo allegro, gentile, amante della musica e delle uscite con gli amici, ha iniziato a frequentare assiduamente la moschea". In meno di tre mesi e, secondo la donna, Adel era un’altra persona: "Diceva che in Francia non si poteva osservare tranquillamente la sua religione, parlava con espressioni che non gli appartenevano, era come stregato". Adel Kermiche era entrato in contatto su Facebook con altri soggetti radicalizzati e il 23 marzo aveva messo in atto per la prima volta il "Piano A": usare i documenti del fratello, prendere un treno per la Bulgaria, proseguire per la Turchia e passare in Siria per unirsi all’Is. Adel era stato bloccato e interrogato in Germania. Rispedito in Francia, il 28 marzo per Adel Kermiche era scattato il controllo giudiziario: divieto di lasciare il Dipartimento, con obbligo di firma in commissariato e di seguire un corso di formazione. Un fallimento anche la seconda prova di fuga in maggio, quando Adel, rivela il procuratore Molins, ci aveva provato con la carta d’identità del cugino. Ma esisteva un "Piano B", di cui la famiglia, gli amici, il "quartiere" sapevano. Oggi ne parla il mondo. Raccontando l’orrore di Saint-Etienne-de-Rouvray, c’è chi si è chiesto come sarebbe stato possibile immaginare e prevenire che il terrorismo colpisse nella piccola chiesa di una piccola cittadina alla periferia di Rouen. Probabilmente, sarebbe stato possibile. Questa volta è Le Parisien a ricordare come a fine novembre 2015, sulla scia degli attentati di Parigi, fosse stata tracciata una filiera jihadista esattamente nel Dipartimento della Seine-Maritime.Con giovani adepti dell’Islam radicale, aspiranti jihadisti desiderosi di raggiungere la Siria, soliti ritrovarsi in due moschee: una proprio a Saint-Etienne-du-Rouvray, l’altra a Saint-Pierre-lès-Elbeuf. I sospetti erano stati interrogati dalla Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI) ed era emerso come tutti orbitassero attorno alla moschea di tendenza salafita di Saint-Etienne-du-Rouvray. All’epoca, il procuratore di Rouen, Jean-François Bohnert, aveva dichiarato: "Abbiamo a che fare con gente giovane, che all’inizio si frequentava via internet. Poi (in moschea) l’occasione di entrare in contatto, vedersi, arruolare nuovi membri e soprattutto distinguere gli uni dagli altri". Tre dei giovani interrogati, un ragazzo e due ragazze, erano stati arrestati a Saint-Pierre-lès-Elbeuf. Un quarto ricercato, un 22enne originario di Vernon (Eure, altro Dipartimento della Normandia), fu considerato già in Siria con lo Stato Islamico. Anche lui frequentava la moschea salafita di Saint-Etienne-du-Rouvray. Non era la prima volta che una filiera jihadista veniva alla luce in Normandia. Originario del villaggio di Bosc-Roger-en-Roumois, sempre nell’Eure, è anche Maxime Hauchard, 22 anni, riconosciuto in un video come uno dei macellai dell’Is che sgozzarono 18 ostaggi siriani. Hauchard è ritenuto essersi unito al Daesh dal 17 agosto del 2013 e figura sulla lista dei terroristi più ricercati dagli Stati Uniti. Nel suo "percorso formativo" al Jihad, Hauchard ha svolto anche il ruolo di reclutatore. In particolare, si era tirato dietro un amico del suo villaggio di cui è noto solo il nome, Jean, figlio di agricoltori e brillante studente. I due avevano lavorato nella stessa pizzeria "halal" di Bourg-Achard, a due passi da Bosc-Roger-en-Roumois, dove facevano consegne a domicilio. Dal 2012 Jean è in Arabia Saudita, ufficialmente per "studiare teologia". IL PAPA DICE CHE SIAMO IN GUERRA «Questa è guerra. Abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace». Sul volo AZ4000 che lo porta a Cracovia, Francesco saluta assorto i giornalisti e per la prima volta interviene direttamente sull’attentato alla chiesa di Rouen. Con un chiarimento fondamentale: «Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione. C’è guerra di interessi , c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli, questa è la guerra. Qualcuno può pensare “sta parlando di guerra di religione”: no, tutte le religioni vogliono la pace, la guerra la vogliono gli altri, capito?». Terza guerra mondiale Da tempo Francesco denuncia la «Terza guerra mondiale, combattuta a pezzi» in corso. Ora, mentre l’aereo sorvola l’Adriatico, ripete: «Una parola che si ripete tanto è insicurezza. Ma la vera parola è guerra. Da tempo diciamo che il mondo è in guerra a pezzi. Questa è guerra. C’è stata quella del ’14, poi l’altra grande Guerra mondiale, nel ’39-’45, e adesso questa. Non è tanto organica, forse - organizzata sì - ma è guerra». Il Papa ricorda padre Jacques Hamel: «Questo santo sacerdote che è morto propio nel momento in cui offriva le preghiere per tutta la Chiesa è uno, ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini… Pensiamo alla Nigeria, per esempio. “Ah Ma quella è l’Africa!”. È guerra». I giovani L’aereo di Francesco è atterrato poco prima delle 16, alla Giornata mondiale della Gioventù sono già arrivati 500 mila ragazzi. «La gioventù sempre ci dice speranza», aggiunge Francesco: «Speriamo che i giovani ci dicano qualcosa che ci dia un po’ più di speranza, in questo momento». Il Papa ha voluto ringraziare coloro che gli hanno fatto le condoglianze e «in modo speciale il presidente della Francia che ha voluto collegarsi con me telefonicamente come un fratello». I rifugiati La mattina, mentre usciva da Santa Marta diretto all’aeroporto, Papa Francesco era stato salutato da un gruppo di quindici giovani rifugiati, nove ragazzi e sei ragazze di varie nazionalità seguiti della Elemosineria del Papa, «giunti da poco in Italia e ancora privi di documenti che permettano di recarsi all’estero», ha spiegato la Santa Sede. «Hanno augurato al Papa un buon viaggio e una felice partecipazione alla Gmg, alla quale non possono partecipare ma cui si uniscono spiritualmente». CORRIERE.IT Emulazione è un termine neutro: può essere splendida o terribile. Si possono emulare gli eroi o gli assassini. Sono questi, purtroppo, a godere oggi di maggiore popolarità. Quello che sta accadendo in Europa è evidente: il male genera il male, il sangue chiama il sangue, l’imitazione dell’orrore genera altro orrore. La successione delle stragi — ieri è toccato a una chiesa nella Francia estiva di provincia — non lascia dubbi: ogni strage ne ispira un’altra, in una macabra progressione. I barbari religiosi trovano ispirazione, moventi e forza nelle nefandezze di chi la ha preceduti. La carneficina diventa un modello da imitare. Dobbiamo rassegnarci o possiamo impedirlo? Per rispondere, dobbiamo provare a capire. Per prima cosa, occorre ricordare che il fenomeno non è isolato e non è nuovo. La lingua inglese ha un vocabolo per questo genere di reato: copycat crime («un crimine che appare influenzato da un altro, celebre crimine»). Venne usato per la prima volta nel 1916, in seguito alla catena di omicidi ispirati da Jack the Ripper (Jack lo Squartatore). La traduzione italiana di copycat è «copione»: e si può plagiare anche l’orrore, purtroppo. La criminologia studia il fenomeno da tempo. Negli Anni 90 sono avvenuti centinaia di episodi violenti nelle scuole Usa, molto simili tra loro, con utilizzo di armi da fuoco. Nel film Copycat (1995), un personaggio ispira i propri delitti alle figure di serial killer realmente esistiti, tra cui Jeffrey Dahmer, «il mostro di Milwaukee». Altri film — Scream , Fight Club , Il cavaliere oscuro con Batman — sono serviti da matrice per crimini reali (esiste una pagina di Wikipedia intitolata «List of alleged “Natural Born Killers” copycat crimes», «Lista di crimini apparentemente ispirati a “Natural Born Killers”»). Anche la serie televisiva Breaking Bad è sospettata d’aver ispirato alcuni reati, dal 2010 al 2013, quando un insegnante è apparso in tribunale dopo aver rubato $10.000 necessari a pagarsi le cure mediche. La suggestione tragica ha le origini in letteratura. Ed è cominciata come autosuggestione. Il caso più celebre fu I dolori del giovane Werther di Goethe. Pubblicato nel 1774, prese un tema classico del romanticismo tedesco — lo struggimento per un amore impossibile, la morte scelta come fuga da un mondo ipocrita — e provocò un’epidemia di suicidi in tutta Europa. Alcuni Paesi, temendo la psicosi collettiva, decisero di vietarne la circolazione. L’«effetto Werther» tornò nel 1802, dopo la pubblicazione in Italia del romanzo Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, anche questo epistolare e dalla trama simile. La situazione, oggi, è molto diversa e incredibilmente più grave: non suicidi d’ispirazione letteraria, ma omicidi e stragi, spesso d’ispirazione religiosa. Gli amplificatori non sono più libri, o film, ma i media e i social media: il racconto e i commenti di una strage rischiano di ispirarne altre. Per impedirlo, la strada è una sola: compiere scelte precise e tempestive. Noi giornalisti, per esempio, dovremmo renderci conto: raccontare tutto ciò che sappiamo, e mostrare tutto ciò che possiamo, è sbagliato. Rischiamo di diventare l’ufficio-propaganda dei nuovi mostri e di fornire il «libretto d’istruzioni» ai futuri assassini. L’emulazione si nutre anche di descrizioni macabre e precise, di grafiche fin troppo istruttive, di biografie che diventano involontarie glorificazioni del martirio. Tutti — sui giornali, in televisione, sui siti e sui social — dobbiamo evitare di spettacolarizzare la morte. Dobbiamo astenerci dal fornire dettagli delle esecuzioni (a Rouen e a Dacca è stato fatto, purtroppo). E dobbiamo imparare a pesare le parole. Parlare di «successo di un attentato» è sbagliato (così com’è pericoloso raccontare del «fallimento di un suicidio»). Scrive Loren Coleman, un etologo americano, autore di The Copycat Effect : «I media devono abbandonare i cliché del “bravo ragazzo della porta accanto” e del “lupo solitario”. L’imitatore criminale non è misterioso, non è in salute, non ha ambizioni. Spesso possiede una combinazione fatale di arroganza, depressione e malattia mentale». Un ritratto accurato dei nuovi barbari, ai quali non dobbiamo fornire né spunti né occasioni. Beppe Severgnini