il Fatto Quotidiano 27/7/2016, 27 luglio 2016
IL VENETO E LE NUVOLE INCANTATE DI PARISE
È stato ripubblicato da Minerva, in occasione dei trent’anni dalla morte dello scrittore, il libro che il fotografo Lorenzo Capellini ha dedicato all’amico Goffredo Parise. Oltre alle bellissime immagini di Capellini si trovano gli scritti di Raffaele La Capria, Alberto Moravia, Guido Vergani, Giovanni Comisso. E quattro racconti di Parise: qui sotto un estratto da “Il mio Veneto”.
Il Veneto è la mia Patria. Do alla parola Patria lo stesso significato che si dava durante la Prima guerra mondiale all’Italia: ma l’Italia non è la mia Patria e sono profondamente convinto che la parola e il sentimento di Patria è rappresentato fisicamente dalla terra, dalla regione dove uno è nato. Sebbene esista una Repubblica italiana (?) questa espressione astratta non è la mia Patria e non lo è per nessuno degli italiani che sono invece veneti, toscani, liguri e via dicendo. (…) Sono nato a Vicenza, una città di pietra grigiastra dalle colonne spropositate, che in molti punti sembra finta, fatta di magnifiche “quinte” teatrali che si riassumono infatti meravigliosamente nel teatro Olimpico di Andrea Palladio, che però è di legno ed è un teatro. Anche Vicenza lo è, e non è mai stata per me una città ma appunto un teatro senza nome, in tutte le sue vie, grandi e piccole, grigie, umide e leggermente muschiose. In questo teatro ho ambientato cinque miei romanzi, senza mai far riconoscere direttamente la città perché appunto la vedevo e la ricordo come un teatro in cui si può cambiare commedia ma non scenografia. È fatta di scorci, di angoli, di improvvise colonne bianco-grigie, lievemente funerarie e grosse come alberi tropicali, non è gentile, graziosa e fantastica come Venezia ma sempre fitta e alle volte solenne appunto come le foreste tropicali. Il resto, la parte per così dire umile, è invece campagnola.
Sono nato, cresciuto e vissuto a Vicenza fino ai diciotto anni e poi a Venezia e poi a Milano, e poi a Roma e poi nel mondo. Mi è bastato poco per eleggere nel mio animo Venezia a capitale del Veneto, ed è di quella città che mi sento figlio, ma non interamente. A Venezia l’acqua si accosta alla terra in lagune e se dovessi dire quale è veramente il centro della mia terra direi che è quella parte di terraferma che non è né terra, né acque ed è tutte e due insieme e sente sempre comunque il sapore della laguna e vede il colore del cielo che non è né soltanto di terra (come intorno a Ferrara) né soltanto di mare come a Capri. Sono i colori del cielo di Francesco Guardi e di Tiepolo. Lo notammo insieme a Giovanni Comisso, un giorno, sui ghiaioni del Piave ed egli mi disse: “Queste sono le nuvole del nostro cielo”. Tuttavia ho girato il mondo fino a quando mi ha sorretto la gioventù e lo spirito di curiosità e di ansia esistenziale che, oltre a Comisso, doveva avere certamente per primo Marco Polo. Con lo stesso candore e incoscienza noi veneti abbiamo girato il mondo: ma la nostra Patria, quella per cui se ci fosse da combattere combatteremmo è soltanto il Veneto. Con il ricordo dei suoi odori di polenta che uscivano un tempo dai fumaioli delle case durante l’inverno uggioso, nebbioso e nordico, gli odori di paglia, di letame, di grano e di fieno durante l’estate.
Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave: “Fiume Sacro della Patria” mi commuovo ma non perché penso all’Italia bensì perché penso al Veneto. (…) Non ho mai combattuto come altri possono aver fatto questo sentimento perché è veramente il più forte, né amo particolarmente i veneti per il solo fatto di essere veneti. Ci sono i buoni e i cattivi, per lo più sono piuttosto ignoranti, non mi sono particolarmente simpatici, trovo più simpatici altri di altre regioni, ho pochissimi amici veneti. Ma il Veneto resta la mia Patria perché vi sono nato: semplicemente. Il mio sentimento è lo stesso di un contadino che è sempre rimasto lì e ha la sua terra e la sua falce preferita che gode ad arrotare cavandone suono brillante. So distinguere le campane del Veneto da ogni altro suono di campane, specialmente quelle della Basilica di Monte Berico a Vicenza, non le ho mai dimenticate e se ne risento il suono nell’immaginazione mi prende la stessa allegria del mattino di domenica quando, da ragazzo, mi svegliavo al loro suono. Non mi sono mai interessato di politica, né nazionale (?) né internazionale perché è politica che riguarda solo marginalmente la mia Patria. E tuttavia detto tutto questo non sono più veneto da molti anni e se la mia regione ha ormai spazi internazionali il mio sentimento è piccolissimo e fortissimo ed è tutto racchiuso nel Veneto specie sulle immense ghiaie infuocate del Piave durante l’estate e l’azzurro torrente che vi scorre in mille rivoli e pozze gelide. Del Veneto amo Venezia, Treviso, e Cortina d’Ampezzo, i luoghi da me più frequentati. Ritengo che le Tofane e le grandi e scintillanti distese di neve su tutta la Conca Ampezzana ma anche al di là verso la provincia di Bolzano, quella cresta a punta che si chiama monte Lagazuoi, in vetta al passo del Falzarego siano la mia Patria. Che quella qualità di neve, invernale o primaverile su cui gli sci scricchiolano appena durante l’inverno e scivolano durante la primavera, siano più di ogni altro elemento quello distintivo della mia Patria.
La neve della mia Patria è sempre stata l’elemento primo della mia vita non soltanto sportiva, anzi lo sport non c’entra niente. L’ho baciata, mangiata, leccata, carezzata molte volte. Venezia, il sogno di tutti i sogni, l’ho conosciuta da solo senza guide, d’inverno girando per le calli e perdendomi in continuazione e scoprendo la sua bellezza stranamente lagunare e non marina (il mare sta nel sud dell’Italia oppure a nord, in Liguria) che odora di alghe e anche un poco di merda. (…) La mia Patria è Ponte di Piave, un paesetto vicino un chilometro, con una fontana di acqua ferruginosa, ma sto qui, abito a Roma, all’estero. Perché? Perché così è la vita.
il Fatto Quotidiano 27/7/2016