Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 27/7/2016, 27 luglio 2016
EXOR CHE VA IN OLANDA E ALTRE STORIE ESTERE DELLA FAMIGLIA AGNELLI
La celebre massima di Gianni Agnelli («ciò che va bene per Fiat, va bene per l’Italia») – anche declinata in una versione successiva («quel che è male per Torino è male per l’Italia») – andrà aggiornata. Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, quella attraverso la quale controlla le sue aziende, oggi guidata da John Elkann, lascia l’Italia così come Fca e Ferrari prima di lei. Emigra in Olanda: quel che va bene per Amsterdam, va bene per gli Agnelli. Torino e l’Italia dovranno farsene una ragione dopo aver dato ad azienda e famiglia tanta attenzione, moltissimo sudore e un bel po’ di soldi. Il capofamiglia l’ha messa così: «I nostri principali investimenti hanno già riorganizzato le strutture societarie per riflettere meglio la loro attività globale, è quindi naturale che Exor si allinei».
Il signor Elkann sostiene che – come la legge gli consente e il regime di completa libertà di movimento dei capitali lo invita in buona sostanza a fare – lui e la famiglia Agnelli hanno già spostato sede legale e fiscale delle loro attività dove più gli conveniva e ora ci portano anche la cassaforte: i dividendi con cui mette assieme pranzo e cena tutta la tribù – anche quella che ha un rapporto, per così dire, non strettissimo con la parola lavoro – avranno in Olanda un regime fiscale straordinariamente favorevole. Di fatto, quasi non pagheranno tasse. Quanti non volessero emigrare con Exor saranno rimborsati a un prezzo più basso di quello di Borsa fino a 400 milioni: 100 ce li metterà la famiglia (attraverso la Giovanni Agnelli & C, che ha oltre il 50% di Exor), il resto un pool di investitori internazionali molto cool (Bill Gates, Jacob Rothschild e Nassef Sawiris), ma poco sabaudi.
In realtà, Exor italiana lo è stata per poco e cioè da quando gli Agnelli hanno unificato le ex Ifil e Ifi, con cui hanno gestito le loro partecipazioni fino al 2009, infilando nel nuovo contenitore unico anche Exor Group, la holding lussemburghese della famiglia nata dalla fusione della finanziaria estera Ifint (fondata nel 1966) e della francese Exor, comprata nel 1991. Il tutto si è chiamato Exor Spa. Insomma, se ne vanno le finanziarie che sono sempre state in Italia, inglobate dentro la nuova società per azioni, ma il nome Exor è quello delle operazioni estere, un simbolo di certe pratiche non proprio commendevoli di quella che un tempo definivano «la famiglia reale italiana».
La prima risale agli anni Novanta e la conosciamo grazie a un litigio per l’eredità innescato da Margherita Agnelli, figlia dell’Avvocato e madre di John e Lapo Elkann. Va così. Dal 100% degli anni ‘60 la quota di Giovanni Agnelli & C e Ifi nel salvadanaio lussemburghese era scesa attorno al 20% nei Novanta: in quel momento il 60% delle azioni risultavano in mano a soci anonimi. A fine 1998 – proprio dopo che Exor ha venduto diversi asset e annunciato un dividendo da un miliardo e mezzo di dollari dell’epoca – una società ponte degli Agnelli lancia un’offerta di acquisto sulle azioni “anonime”: si fa prestare 1,3 miliardi dalla Chase Manhattan Bank (controllata da David Rockefeller, buon amico di Gianni Agnelli) e compra; poi ripaga la banca con i soldi del maxi-dividendo. Risultato: la famiglia torna all’80% di Exor e i soci anonimi se ne vanno via con un miliardo e mezzo di euro ai valori attuali. Ora, la tesi di Margherita Agnelli è che quei soci anonimi servissero in realtà a nascondere lo stesso Gianni Agnelli, che avrebbe così fatto sparire dai radar una cifra compresa tra 1,5 e 2,5 miliardi di euro attuali. «L’opa pour rire», un’opa per scherzo la definirono i consulenti della rampolla dell’Avvocato, che – alla fine di un lungo iter giudiziario – si è accordata con la famiglia, quanto a conti e trust all’estero indicati nel vortice delle accuse come “casseforti” della famiglia, nessun Paese ha collaborato. L’unica cosa certa è che, anche per questo, l’Agenzia delle Entrate ha multato per 50 milioni la sola Giovanni Agnelli & C.
L’altro momento magico della Exor è il 2005, l’anno del “convertendo”. Si tratta di un prestito da 3 miliardi preso da Fiat nel 2002 da otto banche e da restituire entro settembre 2005 pena la sua trasformazione in azioni con diluizione della quota degli Agnelli (il 30,5% tra “società accomandita” e Ifil ai cui vertici, in quel momento, sono Gabetti e l’avvocato Grande Stevens) sotto quella delle banche creditrici. La soluzione è creativa perché la famiglia non può scendere sotto quota 30% e poi risalire, altrimenti per legge sarebbe costretta a un’Opa su tutto il capitale: bisogna acquistare contestualmente al “convertendo”. Problema: i titoli delle banche creditrici hanno un prezzo già fissato a 10,2 euro ad azione contro i 7,7 dei corsi di Borsa di settembre.
Mesi prima – dimostrerà un’inchiesta – viene dunque predisposto un piano: il 15 settembre 2005 gli Agnelli acquistano le azioni che gli servono da Exor (cioè da loro stessi) al prezzo di 6,5 euro l’una; la cassaforte lussemburghese della famiglia le aveva acquistate quello stesso giorno da Merryll Linch grazie a un equity swap. Gabetti e Grande Stevens finiranno condannati in appello (e poi prescritti) per aver mentito al mercato in due comunicati in cui affermavano che Ifil non stava comprando azioni sul mercato. Consob multerà società e manager per 16 milioni. Storie passate, ora Exor Spa porta in Olanda sede legale e fiscale: con lei se ne vanno le quote in Fca e Ferrari, la Juventus, il 45% dell’Economist e il colosso immobiliare Partner Re. Come si sarà capito, però, una certa tendenza all’espatrio c’era già prima.
Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 27/7/2016