Ettore Boffano, il Fatto Quotidiano 27/7/2016, 27 luglio 2016
BOCCA, PANSA E QUELLA RISSA SULLE BR: «NON DIRE BALLE»
Ma non raccontiamoci balle, Giorgio. Come fai a dire che Gian Carlo Caselli ha mandato Renato Curcio nella ridicola prigione di Casale Monferrato apposta per farlo fuggire?…”. “Giampaolo, io non ho la carta bollata con le firme di Caselli e del generale Carlo Alberto dalla Chiesa per provare che volessero la fuga di Curcio. All’inizio, però, il terrorismo rosso non fu colpito perché si voleva alimentare la politica degli opposti estremismi…”.
Che pomeriggio quello di quel marzo del 1980, in piazza Indipendenza a Roma. Repubblica è già diventata un grande giornale: incalza e sta per sorpassare il Corriere della Sera, umiliato e offeso dallo scandalo P2 e troppo démodé per reggere la concorrenza. La sede del quotidiano di Eugenio Scalfari, però, è ancora “povera” e basica, nel palazzo tutto putrelle-vetro-e-cemento del Corriere dello Sport: al primo piano, l’ufficio di Barbapapà è un box, la stanza dei capiredattori altrettanto, e box sono anche le altre. In una, dietro una scrivania bianca, c’è un redattore giovane e con gli occhi chiari: prende appunti con la penna stilografica. C’è anche un registratore acceso. Lui è Lucio Caracciolo e, qualche anno più tardi, inventerà Limes, la rivista che racconta da decenni la geopolitica agli italiani.
Davanti, non proprio vicinissimi, ci sono due fuoriclasse del giornalismo italiano, i due cavalli di razza della scuderia Scalfari. Piemontesi entrambi, e dunque cocciuti, determinati e instancabili lavoratori della Olivetti “Lettera 22”. Giorgio Bocca, da Cuneo, ha 60 anni, indossa un maglione da montagna: è stato fascista da ragazzo e poi comandante partigiano. Ha cominciato nel giornale di Giustizia e Libertà, poi la Gazzetta del Popolo, Epoca, Il Giorno. Non è mai stato comunista, ha scritto una biografia dissacrante di Togliatti, le sue simpatie sono per i socialisti, ma senza compromissioni. Ha spiegato la provincia italiana cominciando da Vigevano: “Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi…”. Giampaolo Pansa, da Casale Monferrato, ha 45 anni, porta una giacca scura di velluto a coste: troppo giovane per aver vissuto in prima persona gli anni della Resistenza, gli ha dedicato però la tesi di laurea. I suoi “posti” sono stati La Stampa, Il Corriere, Il Messaggero, Il Giorno; anche lui non è comunista, viene da una famiglia socialista, ma ora è soprattutto uno “scettico blu”. Alla modernizzazione dei nostri giornali ha regalato un attacco immortale, quello della cronaca della tragedia del Vajont: “Scrivo da un paese che non esiste più…”.
Da anni sono su due sponde diverse, sul fronte che sta angosciando l’Italia e attaccando “il cuore dello Stato”, dragando la democrazia. Dalla strage di Piazza Fontana in poi, non l’hanno mai più pensata allo stesso modo. La morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, il ruolo del commissario Luigi Calabresi e infine la sua uccisione, soprattutto poi le Brigate Rosse e Prima Linea, i morti ammazzati, i ritardi nelle indagini all’alba del terrorismo rosso, Aldo Moro, la “geometrica potenza” di via Fani, il caso 7 Aprile, l’arresto di Toni Negri.
Bocca è giornalista, ma è stato partigiano ed è rimasto antifascista. La sua lettura è quella di chi non riesce a credere che dietro le Br e Pl non ci sia qualcosa di “storto”, di deviato, come troppe volte la gracile storia dell’Italia repubblicana aveva già rivelato. Anche quel pomeriggio, l’ex comandante delle divisioni di Gl non si tira indietro: “La nascita del terrorismo è stata tenuta a bagnomaria…”. E qualche mese prima, raccontando il processo al nucleo storico delle Br, aveva addirittura fatto arrabbiare Gianni Agnelli: “Telefonava a Lietta Tornabuoni e le diceva: ma per quel Bocca sono tutti bravi ragazzi, da rimandare alle loro mamme!…”. Pansa non ci sta, conosce alla perfezione le idee del rivale e sa che le loro tesi opposte sono le stesse che stanno dividendo la sinistra italiana: il Pci di Enrico Berlinguer da una parte e i “movimenti” della sinistra extraparlamentare dall’altra, con in mezzo Rossana Rossanda che, sul Manifesto, parla dell’“album di famiglia” della lotta armata. Nel pomeriggio romano di marzo replica così: “Dimentichi il calendario, caro Bocca. Il terrorismo rosso non è nato nel 1977, ma nel 1971. E non si è mai limitato alla predicazione violenta, ma in quei sei anni ci sono stati morti e feriti…”.
Ad ascoltare le risposte e a fare domande c’è lui, Scalfari, il loro direttore e fondatore di Repubblica. Ha capito che quello scontro tra i suoi due grandi giornalisti, che spacca l’Italia e suscita polemiche da settimane, è una “notizia” e che, nello stesso tempo, è suo dovere esorcizzarlo. Una di quelle “nuove notizie” che hanno fatto la fortuna della sua giovane testata (non solo fatti e personaggi, ma anche opinioni e conflitti di idee). Così ha convinto Bocca e soprattutto Pansa (“Mi raccomandò: Bocca dirà cose che ti faranno rovesciare le budella…”), li ha messi uno di fronte all’altro e, il giorno dopo, quel lungo dialogo occuperà una doppia pagina del giornale. Sono passati 36 anni da allora, il terrorismo è finito ma la sua storia continua a nascondere più di un mistero. Bocca e Pansa non diventarono mai amici, anche se quella ferita continuò a mantenersi nei margini della civiltà tra giornalisti. Andò molto peggio, invece, quando Pansa cominciò a scrivere i suoi libri sulla lotta di Liberazione e sulla Repubblica di Salò, attirandosi accuse feroci, a cominciare proprio da quei mondi della sinistra che avevano condiviso le sue posizioni sulla lotta armata. Bocca, in un’intervista a La Stampa, definì il collega-rivale “Un pazzo, un mascalzone, un falsario, un mentitore…”.
Da allora, si sono sempre parlati soltanto attraverso le citazioni nei rispettivi libri, senza mai mandarsele a dire a vicenda. Bocca è morto a 91 anni nel 2011, Pansa di anni ne ha compiuti 80 lo scorso ottobre. Forse però, se lo si potesse ancora fare, è probabile che Scalfari (che di anni ne ha 92) riuscirebbe di nuovo a metterli di fronte. Magari riprendendo quel dialogo con la battuta che, ai tempi della lite sul terrorismo, spopolava nel cinismo delle redazioni: “Né con Bocca, né con Pansa, ma con l’Ansa…”.
di Ettore Boffano, il Fatto Quotidiano 27/7/2016