Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 26/7/2016, 26 luglio 2016
SIGONELLA, I SEAL DI REAGAN CONTRO I CARABINIERI DI CRAXI
Sbiadito il ricordo delle caramelle e dei cingolati dei liberatori – dopo decenni di aiuti economici e cambiali estinte con interferenze di discutibile liceità –, il sequestro della Achille Lauro mise l’Italia nell’inedita posizione dell’alleato ribelle agli amici di sempre. Alle 13:07 del 7 ottobre 1985, al largo di Port Said, in Egitto, Bassam al-Askar, Ahmad Maruf al-Asadi, Yusuf Majid al-Mulqi e Abd al-Latif Ibrahim Fata, quattro palestinesi affiliati all’Olp saliti a Genova con i proiettili in valigia e l’intenzione di attentare a una base israeliana nel porto di Ashdod, dirottarono la nave italiana. Non sarebbe dovuto accadere, ma un cameriere portoghese vide i passeggeri armeggiare con i kalashnikov in cabina, urlò ed Enrico Mentana, nei panni di un giovane Enrico Mentana, apparve grave nel Tg1 delle 13 e 30: “Buonasera, apriamo il Tg con una drammatica notizia, il sequestro di una nave italiana con oltre 450 persone a bordo”. Oggi, con la sua carenatura azzurra annerita dall’incendio che la devastò, l’Achille Lauro, affondata giace a 5000 metri di profondità al largo della Somalia.
In superficie è rimasto l’aeroporto intitolato all’aviatore salentino Cosimo Di Palma, per tutti da allora soltanto Sigonella, la base siracusana del 1959 che ospita militari italiani e membri della marina Usa e che fu teatro di una delle crisi più gravi del dopoguerra tra Italia e Stati Uniti. Fu lì, a Sigonella, che dopo aver tentato inutilmente di attraccare in Siria, trattato per due giorni, minacciato di uccidere tutti i presenti e aver fatto ritorno a Port Said con la promessa di un salvacondotto per un paese arabo in buoni rapporti con i palestinesi, terroristi e mediatori palestinesi inviati da un Arafat dichiaratosi estraneo alla vicenda, atterrarono con un aereo civile dell’EgyptAir inizialmente diretto in Tunisia. A Port Said si erano arresi liberando nave e passeggeri e omettendo che uno di loro, Leon Klinghoffer, un paraplegico di 69 anni con passaporto americano e di religione ebraica era stato da loro barbaramente gettato in mare.
Quando Reagan seppe cosa era davvero accaduto a bordo dell’Achille Lauro e scoprì che Mubarak gli aveva mentito, fece affiancare dai Phantom americani il volo messo a disposizione dal presidente egiziano. Contestualmente, all’aereo venne negato l’atterraggio ovunque e tra le manovre aggressive dei caccia Usa e la mancanza di carburante, il pilota fu costretto ad atterrare a Sigonella.
In pista, i terroristi dell’Achille Lauro e i mediatori dell’Olp, tra cui Abu Abbas, trovarono due eserciti. Quello italiano rinforzato dai Cc accerchiò l’aereo. Poco dopo, elementi della Navy Seals accerchiarono a loro volta gli italiani. Con le armi in pugno pretesero la consegna degli uomini a bordo, ma Bettino Craxi, presidente del Consiglio, diede ordine ai carabinieri arrivati da Catania di circondare a loro volta gli americani ad armi spianate. Il fotogramma di allora, con gli uomini in divisa schierati marzialmente, non restituisce il clima di tensione e il tono delle telefonate che intercorsero il 10 ottobre tra il leader del Psi e l’ex attore diventato presidente.
Reagan aveva parlato alla nazione: “Ai terroristi dico che potete scappare, ma non potete nascondervi”. L’America, rassicurata dal comandante in capo si aspettava che i cattivi fossero riportati a casa. Attese invano. Craxi guardava alla politica filoaraba, già ampiamente esplorata dalla Dc, anche per tenere il Paese al riparo dal terrorismo con il quale – su tutti altri versanti e con motivazioni diverse, proprio dai tempi del sequestro di Moro – era più incline alla trattativa e alla riduzione del danno che al muro contro muro. Dal gesto umanitario alla geopolitica il passo era breve e in quella notte, alle convinzioni di fondo, si aggiunse l’idea che il vassallo di ieri potesse trasformarsi nel cigno di domani, imporre i propri diritti, discutere alla pari di sovranità nazionale dopo anni di depistaggi e atlantismo fitto di danni collaterali. Nel dire no a Reagan e trasformarsi in Spartaco magari in punta di diritto (senza una richiesta di estradizione non era consentito a nessuno di sottrarre alla giustizia italiana persone sospettate di aver compiuto un gesto criminale punibile dai tribunali di casa nostra) c’era il gigantismo effimero che accomuna Bruno Cortona e Giovanni Busacca.
Il governo si sfasciò, Spadolini sbatté la porta. Craxi che ricevette i complimenti postumi di Pansa (Hombre vertical) e quelli del poeta Roversi, alla metrica dei versi preferì la prosa. Il tentativo dannunziano. La puntata inattesa. Gli americani – abituati molto bene – rimasero impressionati. In un documento recentemente desecretato dal Dipartimento di Stato, Craxi è descritto come il vincitore politico di Sigonella e come l’alfiere di un Paese che vuole contare di più. Rimase poi deluso anche lui, perché l’illusione dell’immunità del suolo italiano (la stessa che con la scusa del passaporto diplomatico e della possibile crisi con l’Egitto venne concessa ad Abu Abbas libero di riparare in Jugoslavia e fuggire alle proprie responsabilità e all’ergastolo in contumacia per l’organizzazione dell’operazione Achille Lauro) fu smentita dall’attentato del 1985 a Fiumicino. “Il senso di tradimento dell’Italia da parte dei terroristi arabi, già alto dopo il dirottamento dell’Achille Lauro – scrive l’ambasciata Usa a Roma nell’87 – è diventato oltraggio con l’assalto all’aeroporto”.
Le relazioni tra Italia e Stati Uniti tornarono velocemente ottime (“Dear Bettino”, scrisse Ronald, che ottenne poi piena libertà d’azione in zona libica) e i rapporti di forza, dopo quella breve fiamma, immutati.
Anni dopo, fuggito quasi come Kappler dal Celio nel ‘77, Abu Abbas tornerà dove l’avrebbe voluto Reagan. Arrestato e poi morto nel 2004 mentre era in custodia americana. In una delle ultime interviste nel ’98, Abbas aveva messo in luce il paradosso che lo legava a Craxi: “Per la giustizia italiana siamo due ricercati”. Offriva un incontro. Rimase inascoltato.