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 2016  luglio 25 Lunedì calendario

APPUNTI SULLE OLIMPIADI PER IL FOGLIO ROSA – Due anni dopo aver ospitato i mondiali di calcio, il Brasile è di nuovo protagonista dello sport con le Olimpiadi, che si celebrano a Rio de Janeiro da venerdì al 21 agosto

APPUNTI SULLE OLIMPIADI PER IL FOGLIO ROSA – Due anni dopo aver ospitato i mondiali di calcio, il Brasile è di nuovo protagonista dello sport con le Olimpiadi, che si celebrano a Rio de Janeiro da venerdì al 21 agosto. Questa è la 31° edizione delle Olimpiadi moderne, la prima volta in Sud America. Dai primi Giochi ad Atene, 120 anni fa, sono cambiate molte cose: gli sport ammessi alla manifestazione erano solo 9 e oggi sono diventati 42, con 10.500 atleti coinvolti provenienti da 206 Paesi. Le cerimonie d’apertura e chiusura si svolgeranno al Maracanã. In realtà le prime gare si svolgeranno già nei due giorni che precedono la cerimonia d’apertura: saranno tutte partite dei tornei di calcio, maschile e femminile. La prima vera giornata di gare a Rio 2016 inizierà sabato 6 agosto alle 13 (ore italiane) e l’ultima gara sarà domenica 21 (segnaliamo soltanto che la finale dei 100 metri, quella che non vuole perdersi nessuno, si correrà alle 3.25 di lunedì 15 agosto) [il Post 29/7]. *** PIERO MEI, IL MESSAGGERO 30/7 – Busquese un fontanero, si cerca un idraulico: era l’appello di un sito spagnolo dopo una prima ispezione alla Vila Olimpica, il villaggio per gli atleti di Rio 2016. Un idraulico, ma non solo: anche un elettricista e un muratore, stante che 19 edifici su 31 erano malmessi, tra fili scoperti, water intasati senza ancora esser stati messi alla prova, e tubature in perdita quasi quanto il budget. Il quale risulta, al momento, avere in entrata soltanto la caparra per 240 su 3.604 appartamenti da vendere: il più, oltre che incompleto, è anche invenduto, complice pure la recessione che ha colpito il Brasile. Busquese anche qualche altra cosa, oggetto o animale, vivente o virtuale che sia. Il sindaco di Rio, Eduardo Paes, per esempio è alla ricerca di un canguro con il quale, ha fatto la battuta, vuol mettere a loro agio gli infuriati australiani che si sono rifiutati di occupare l’edificio loro destinato, causa le carenze. Il sindaco cerca anche i Pokemon: ha fatto appello alla Nintendo perché lanci in anticipo il gioco Pokemon Go, al momento out in Brasile. E’ solo l’inizio dei Giochi digitali: è stato calcolato che Rio 2016 sarà l’Olimpiade nella quale la copertura digitale sorpasserà quella televisiva che pure prevede settemila ore in alta definizione, cento volte le 70 ore che furono la pioniera tv che ritrasmetteva nei teatri e al Reich di Berlino ’36. Busquese anche un po’ d’acqua pulita: non ai chioschi, ma là dove si gareggia; test effettuati sulle acque della baia di Guanabara, del lago Rodrigo de Freitas o di Copacabana, hanno evidenziato concentrazioni di virus e batteri più di mille volte a quelli che farebbero issare il divieto di balneazione negli Usa. Nuotate a bocca chiusa e non respirate è il consiglio: 10 chilometri in apnea sarà piuttosto difficoltoso. PEZZO D’UOMO Attenti, comunque, anche ai resti umani: è abitudine dei regolatori di conti gettare a mare i corpi degli appena regolati. Brandelli d’uomo piaggiati erano a Copacabana a pochi metri dall’impianto destinato alla bellezza del beach volley. Quel che non dovrebbe essere difficile reperire, invece, per gli atleti è un preservativo: e se dovranno vedersela con due giornalisti a testa (un po’ più: 25 mila giornalisti accreditati per 10.500 atleti russi compresi), gli sportivi avranno a disposizione 450 mila condoms, 350 mila dei quali destinati ai maschi. E’ stato calcolato 42 a testa. Il numero totale è triplicato rispetto a Londra: a Seul, dove comparvero per la prima volta, furono 8.500; poi ci fu un’impennata a Barcellona (ovvio) con 90 mila, mentre i puritani di Atlanta scesero a 15 mila. Pechino è un numero misterioso. Non solo sesso sicuro (d’altra parte il tasso di testosterone tra gli atleti sembra essere molto al di sopra della media, almeno dall’antidoping) ma anche una botta di green economy: è un uso responsabile delle risorse naturali dicono gli organizzatori di Rio, giacché si tratta di utilizzo del lattice dell’Amazzonia. Non si dica che i Giochi non tutelano l’ambiente. Altra cosa di facile ricerca è il prodotto contraffatto: il gadget pirata tira. Tanto che perfino bustine di cocaina sono state commercializzate con il logo di Rio 2016 e i cinque cerchi. Meno facile la ricerca del terrorista: ne hanno catturati alcuni sospetti, pure nella foresta amazzonica. Si spera che catturino, se ce n’è, anche quelli più pericolosi dell’indio. Piero Mei *** GIUSEPPE DE BELLIS, RIVISTA UNDICI 28/7 – Questo è un numero speciale di Undici. Uguale per molti versi, diverso per altri. Lo vedete dalla copertina e dalle pagine che seguiranno. Un numero olimpico. Il nostro modo di raccontare i Giochi di Rio 2016. Le Olimpiadi sono il fringe benefit della vita. Lo prendi, lo incassi, te lo godi. Possono essere la cosa più passeggera che ci sia: tre settimane, poi ci rivediamo tra quattro anni. Oppure possono restare praticamente per sempre. Sono anche il brodo di qualunque lamentela, le Olimpiadi. Ci si lamenta di come sono state assegnate, del perché sono state assegnate, del chi le ha assegnate e di chi se le è fatte assegnare. Poi dei lavori, delle città che sono sempre inadeguate a ospitarle. Poi dei soldi spesi, che sono sempre più di quanti dovrebbero. Molte di queste lamentele sono giuste, spesso sono anche motivate. È vero, hanno peccato di gigantismo in diverse occasioni. Sono state la vetrina di dittature o di governi solo apparentemente democratici. Sono stato sempre scettico sull’idea che a una città possa in qualche modo convenire ospitare le Olimpiadi: costano tanto e spesso portano meno delle previsioni, quindi molto meno di quanto dovrebbero. Poi mi sono convinto del contrario. Cioè che esiste un modo di organizzare le Olimpiadi tenendo conto del bilancio, quindi del conto economico, ma al tempo stesso di che cosa lasciano alla città che le organizza. E adesso penso che ogni obiezione, ogni critica, ogni contestazione sia fondata. Ma ciascuna o tutte insieme, comprese le lamentele di cui sopra, non riescono a fermare la forza del più importante e imponente evento globale. Vuol dire che Roma 2024 potrebbe essere una benedizione per l’Italia. L’Olimpiade è la dimostrazione della forza dell’uomo, della sua intelligenza, della sua tensione verso un risultato, sia sportivo, sia sociale, sia architettonico, sia culturale. Le Olimpiadi scandiscono l’evoluzione dell’umanità, le ricerche tecnologiche, i cambiamenti dell’anatomia umana. Organizzarle è una responsabilità, viverle è un onore, guardarle è un privilegio. *** PAOLO MANZO, IL GIORNALE 29/7 – Non fosse per il numero dei morti 15 che insanguinano ogni giorno le strade di Rio, ci sarebbe da ridere e da ribattezzare «Giochi di Fantozzi» le prime storiche Olimpiadi sudamericane che si inaugureranno tra una settimana esatta. Non ce ne vogliano gli amici brasiliani simpatici a tal punto che sono loro stessi a ironizzare sulla catastrofe organizzativa ma il riferimento al ragioniere di casa nostra è strameritato. Limitandoci alla giornata di ieri, infatti, in appena 24 ore prima un’orda di professori – furenti perché da mesi non ricevono gli stipendi – ha spento la torcia olimpica ormai prossima a Rio. Poi, a stretto giro di posta, si è scoperto che il fastoso Main Press Center del Parco Olimpico che ospiterà 1200 giornalisti da mezzo mondo è dotato di appena 4 wc, un invito per il quotidiano O Globo a titolare «Vai dar m...». Tradotto eufemisticamente in italiano significa «Andrà male» anche se, in realtà, la «m» seguita dai puntini è proprio l’oggetto di un reportage da Pulitzer pubblicato sempre ieri dal New York Times. Già perché dopo una serie di pezzi elogiativi nei confronti della presidente «sospesa» Dilma Rousseff (più impegnata a difendersi in sede giudiziaria che a godersi i Giochi) ieri la «Pravda on the Hudson» – così chiamano i conservatori statunitensi il quotidiano di New York – ha sguinzagliato i suoi migliori giornalisti per giungere alla seguente, clamorosa, conclusione: nella baia di Guanabara che ospiterà le gare di vela, nuoto di fondo e windsurf, è bene «che gli atleti tengano la bocca chiusa» visto che le acque sono così inquinate che berne anche solo un sorso potrebbe essere fatale. Circa un mese fa Il Giornale aveva raccontato (e da allora nulla è cambiato) che ogni giorno, nella baia di Guanabara vengono riversati gli scarichi organici di mezza Rio de Janeiro, tutti non depurati e capaci di riempire la bellezza di 92 piscine olimpioniche di m... al giorno. Unica novità rispetto alla «scoperta» del New York Times è che ieri nelle acque degli sport olimpici di Rio fluttuava, oltre agli escrementi d’ordinanza, anche un cadavere. La cosa, sia chiaro, non ha stupito nessuno visto che solo qualche settimana fa, sulla spiaggia di Copacabana che ospiterà il beach volley, la marea aveva trasportato una gamba mozzata. Si ride per non piangere a Rio dove peggio della sala stampa – con i giornalisti dalla vescica facile costretti a portarsi oltre al notebook anche il pappagallo (se si fa la pipì in strada le multe qui sono salatissime) – è riuscito però a fare il Villaggio Olimpico, presentato alla vigilia come «il più bello di tutti i tempi» dal marketing verde-oro. Peccato che le stanze destinate agli atleti – a causa di fili elettrici esposti un po’ ovunque, tubi gocciolanti, docce secche, water intasati oltre a un puzzo spesso vomitevole abbiano costretto numerose delegazioni a optare all’ultimo momento per hotel e resort. A cominciare il fuggi fuggi sono stati gli australiani che hanno definito «inabitabili» le stanze per i loro standard anglosassoni, oltre che «pericolose» perché a rischio corto circuito. Immediata la reazione piccata del sindaco di Rio, Eduardo Paes, «per mettere a più agio gli australiani domattina faro loro trovare in stanza un canguro». Voleva essere una battuta ma non ha fatto ridere nessuno visto che dopo gli Aussie anche le delegazioni di Italia, Olanda e Stati Uniti sono state costrette a cercare tubisti ed elettricisti per rendere «abitabili» le stanze loro assegnate mentre, a quanto è dato sapere, cinque fondisti keniani da tre giorni non riescono ad usare il water intasato al pari di molti campioni giapponesi, letteralmente «infuriati» per l’assenza di «bagni funzionanti». E così, mentre ieri tre membri della delegazione cinese venivano derubati in pieno giorno di ogni cosa – hanno fatto la denuncia in mutande – da banditi veri dopo che un atleta neozelandese di arti marziali era stato rapinato da banditi travestiti da agenti (o dalla polizia locale, vai a sapere), persino i bielorussi sono esplosi definendo «penoso» e «insalubre» il Villaggio Olimpico «più bello di tutti i tempi». E se la Guardia Nazionale (che dovrebbe garantire la sicurezza) ha minacciato di andarsene da Rio se i suoi 4mila uomini non avranno letti degni su cui dormire e cibo commestibile da mangiare, in tempi di Isis non tranquillizza proprio che in una simulazione anti-terrorismo davanti alla baia di Rio l’altroieri si siano scontrati due jet della Marina verde-oro. Nulla da ridere perché uno dei piloti è ancora disperso, mentre ricordano invece la coppia Fantozzi-Filini i filmati degli agenti dell’antiterrorismo brasiliano che impazzano su Youtube, con teste di cuoio che inciampano su gradini di 5 cm, poliziotti che scivolano sul pavé e ambulanze che perdono le barelle con sopra le vittime di presunti attentati. Paolo Manzo, il Giornale 29/7/2016 *** LA GAZZETTA DELLO SPORT 29/7 – Ancora un arresto preventivo per presunto terrorismo in Brasile, a 7 giorni dai Giochi. Chaer Kalaoun, brasiliano di origine libanese, è finito in manette mercoledì scorso a Nova Iguacu, alla periferia nord ovest di Rio. Il giovane, monitorato da Cia e Fbi, collocava su Internet messaggi di sostegno allo Stato Islamico. Secondo la polizia, era pagato da Isis per reclutare adepti. Kalaoun avrebbe cominciato a simpatizzare con i gruppi terroristi nel 2013, quando visitò la nonna in Libano. Nell’occasione, pubblicò sul web sue foto con un fucilee video in cui mostrava come azionare un detonatore. Durante i Mondiali di calcio 2014 venne arrestato dalla polizia. Il suo è il 13° arresto compiuto in Brasile dalla settimana scorsa, nell’ambito dell’operazione «Hashtag» in cui veniva ipotizzato un attentato terroristico durante i Giochi». Agenti stanno cercando di scoprire se un iraniano,sospettato di terrorismo e per questo monitorato dal 15 luglio, si trovi ancora in Brasile. Infine, esercitazione antiterrorismo ieri nello stadio Itaquerao di San Paolo, dove si disputeranno dieci partite del torneo olimpico di calcio. Reparti speciali dell’esercito hanno simulato due tipi di attacco terroristico con una bomba chimica e con una presa di ostaggi. Saranno circa 3000 i militari mobilitati a San Paolo ad affiancare la polizia. *** GIANFRANCESCO TURANO, L’ESPRESSO 29/7 – Le Olimpiadi sono la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Il barone de Coubertin proverebbe amarezza. Se il rivoltarsi nella tomba fosse una disciplina ammessa dal Cio, l’aristocratico francese sarebbe medaglia d’oro ogni quattro anni. A Rio però lo scontro politico internazionale batterà ogni record precedente. Dopo i boicottaggi incrociati Usa-Urss del 1980 (Mosca) e del 1984 (Los Angeles), nella città fluminense si è andati a un passo dall’espulsione in massa degli atleti russi sulla base del principio della responsabilità collettiva. La tesi era che sotto Vladimir Putin si pratica il doping di Stato. Ergo, ogni russo è dopato. Domenica 24 luglio il Comitato olimpico internazionale (Cio) presieduto dal tedesco filorusso Thomas Bach ha attenuato l’impostazione massimalista. L’ostracismo colpirà l’atletica leggera ma anche lì la federazione internazionale potrà decidere caso per caso. È stata esclusa a sorpresa la mezzofondista Julija Stepanova, che è stata la gola profonda delle rivelazioni sul doping modello Cremlino. Di sicuro parteciperà la divina Darija Klishina, saltatrice in lungo che vive in Florida ed è controllata dall’agenzia antidoping statunitense, un marchio di garanzia che funziona a intermittenza. Alta velocità. È la gara simbolo dei Giochi. I 100 metri piani di atletica sono il momento chiave di ogni Olimpiade. Il favorito, tempi stagionali alla mano, non è il fulmine giamaicano Usain Bolt, reduce da un infortunio, ma Justin Gatlin newyorkese di Brooklyn. Nel 2016 Gatlin ha i primi due tempi più veloci sui 100. Nel 2015, l’anno della sua rinascita, addirittura aveva il suo nome accanto ai primi cinque tempi più veloci. Il caso dovrebbe richiamare l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Gatlin è stato trovato positivo all’antidoping due volte e sospeso dalle competizioni per complessivi cinque anni. Ha perso le medaglie vinte e il record mondiale. Prima della sospensione e dopo la sospensione fa gli stessi tempi. Delle due l’una. O ha smesso di drogarsi e ha così dimostrato ai medici di tutto il mondo che il doping non serve. Oppure continua, con metodi privati e non statali come i russi, ma nessuno se ne accorge. Naturalmente bisogna tifare per la prima ipotesi. Se il doping non serve, si estinguerà perché è inutile, oltre che nocivo. Una situazione simile a quella di Gatlin l’ha vissuta il marciatore altoatesino olimpionico privato di medaglia dopo la sua positività. Scontata la squalifica, Schwazer si è ripresentato in gara vincente come prima. Purtroppo il suo caso sembra rientrare nella seconda ipotesi. Ha continuato a doparsi ed è stato beccato di nuovo. L’atleta azzurro ha contestato, insieme al suo allenatore Sandro Donati, i risultati dei test. È stato prima escluso poi iscritto con riserva. La giustizia sportiva deciderà il 4 agosto e anche la magistratura ordinaria si occuperà di un eventuale complotto ai suoi danni. Niente complotto per Nesta Carter, compagno di squadra di Bolt nella staffetta 4x100 a Pechino 2008. Si dopava e la squadra della Giamaica, Bolt incluso, ha dovuto riconsegnare la medaglia. Squali a Carpi. In una selezione azzurra in cui il nuoto rischia di superare la scherma per numero di medaglie conquistate, e sarebbe solo la seconda volta dal 1984, Gregorio Paltrinieri da Carpi (Modena) è l’erede della lunga epopea di Federica Pellegrini, portabandiera dell’Italia in Brasile. L’avversario principale del ventunenne Greg è il fenomeno cinese Sun Yang. Il primatista mondiale dei 1500 metri stile libero è stato squalificato per uno stimolante nel 2014. Tariffa popolare: tre mesi. L’anno scorso ai Mondiali di Kazan, dopo avere ottenuto il miglior tempo nelle qualificazioni, non si è presentato alla finale lasciando la corsia vuota e la vittoria a Paltrinieri. Soltanto a gara conclusa si è saputo che Sun aveva avuto un mancamento. Nel 2008 la Cina ha vinto le Olimpiadi a Pechino dopo un’egemonia fra Usa e Urss che durava da Berlino 1936. Doping di Stato in Cina? Ma va. La leggenda nera di Ma Junren, l’allenatore che ha portato le atlete cinesi a vincere tutto a fine Novanta a colpi di doping, appartiene al passato. O così pare fino a prova contraria. A Pechino 2008 si drogavano, come è emerso dalle liste di positività pubblicate dal Cio grazie ai nuovi test su vecchi prelievi a ridosso della cerimonia inaugurale del 5 agosto. Tutti, tranne i cinesi. A Rio ci sarà anche, ed è la sua quinta volta, Mike Phelps. Il nuotatore di Baltimora, recordman assoluto di medaglie olimpiche (22), è considerato il più grande del suo sport, oltre che un esempio di sport pulito. Eppure nel 2009 fu abbandonato dagli sponsor per una foto in cui impugnava un attrezzo per fumare marijuana. Rifugiati e olimpionici. Secondo le ultime stime dell’Unhcr, i rifugiati sfiorano i 60 milioni di persone nel mondo, più o meno la popolazione italiana. Oltre a Klishina e Stepanova sotto la bandiera del Comitato olimpico internazionale sfileranno i dieci partecipanti dell’Internazionale Profughi, presenti per la prima volta ai Giochi. Sono due nuotatori di origine siriana, due judoka congolesi, cinque atleti del mezzofondo scappati dal Sudan meridionale e un maratoneta etiope. Fra gli atleti più attesi della rappresentativa c’è Yusra Mardini, che vedremo nei 200 stile libero, la gara preferita di Federica Pellegrini. Yusra ha 18 anni e la sua gara più difficile finora è stata spingere a nuoto una zattera di profughi che stava naufragando a largo delle coste greche. In un’Olimpiade messa a rischio, oltre che dal doping, dall’epidemia di Zika e dalla delinquenza (un morto ammazzato ogni due ore nel fine settimana del 2-3 luglio con 27 omicidi in 48 ore), il team targato Unhcr è una scommessa vinta in partenza. L’uomo dietro le quinte dell’operazione si chiama Filippo Grandi, è di Milano, ha 59 anni e dal gennaio del 2016 è alto commissario dell’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati. Darija, Libania e i neoitaliani. È bionda anche lei come Klishina. Anche lei salta, anche se la sua specialità è il triplo. Si chiama Darija Derkach, è nata in Ucraina da genitori atleti. Allenata dal padre, è stata tesserata dall’Atletica Vis Nova Salerno e oggi vive poco distante, a Pagani. È una dei venti atleti azzurri che non sono nati in Italia. Quelli di origine cubana sono la maggioranza relativa con cinque rappresentanti, tutti fortissimi. Spiccano il lottatore Frank Chamizo, il pallavolista Osmany Juantorena, nipote dell’immenso Alberto Juantorena, ex olimpionico degli 800 metri piani e poi ministro di Fidel Castro. Cubana di Santiago è la Panterita Libania Grenot, che ha stracciato le avversarie nei 400 metri piani agli ultimi europei di Amsterdam, tre settimane fa. Libania ha detto che vuole battere il mondo, dopo l’Europa. Non sarà facile per niente ma ci proverà. A Rio ci sarà anche un’italiana che gareggia per la Costa d’Avorio nel tiro con l’arco. È Carla Frangilli da Gallarate, sorella di Michele, oro a Londra non qualificato a Rio. Il padre Vittorio allena gli ivoriani e si è portata dietro la figlia che non è riuscita a trovare posto nell’Aeronautica militare. Fioretti, fucili e mazze da golf. La rappresentativa italiana si aspetta il solito buon raccolto dagli sport che, nei quattro anni precedenti i Giochi, nessuno considera. Nel tiro a volo si rivedrà Jessica Rossi, oro a Londra. Nella scherma ci sarà il solito squadrone di fiorettiste con Elisa Di Francisca, campione uscente, e Arianna Errigo, argento a Londra ma oro agli Europei in Polonia di fine giugno. Fra le discipline al debutto si vedrà il golf con il veneto Matteo Manassero. Debutta anche il rugby, lo sport di squadra più maltrattato nella storia dei Giochi, accolto nella versione ridotta, il rugby a sette.Niente Italia nella palla ovale. Ma nemmeno nella palla a spicchi (basket) dove la presunta nazionale più forte di sempre non è riuscita a qualificarsi pur giocando la partita decisiva in casa (Torino) con 15 mila tifosi in tribuna. E nemmeno il pallone più amato vedrà maglie azzurre essendo il calcio olimpico lo sport a squadre più maltrattato in Italia con lo straccio di un solo bronzo ad Atene nel 2004. Sarà un problema di atleti o di dirigenti? Come sempre, se ne parlerà dopo i Giochi.Gianfrancesco Turano *** STEFANO ARCOBELLI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 28/7 – Terrore sul cielo di Rio, ieri. Per via di due aerei da combattimento (AF-1B) dell’Aeronautica brasiliana scontratisi in volo durante un addestramento militare proprio in vista dei dei Giochi. La collisione si è verificata all’altezza del litorale di Saquarema: un velivolo è caduto nell’oceano, a circa 100 km dalle coste della città olimpica, nel Lake District, fronte nord. Il pilota, primo dello schianto del mezzo, si sarebbe lanciato col paracadute, dall’A-4KU-Skyhawk azionando il meccanismo di auto-espulsione, ma non è ancora stato trovato dai soccorritori in acqua. Non si sa se sia sopravvissuto all’incidente: resta ufficialmente ancora disperso anche se le ricerche in mare continuano. Il secondo velivolo, nonostante i danni subiti, è riuscito ad atterrare alla Naval Air Station di São Pedro da Aldeia, dalla cui base i velivoli dipendono e decollano. Proprio i due aerei in addestramento avrebbero dovuto far parte della pattuglia di 12 aerei chiamata a controllare lo spazio aereo durante i Giochi, soprattutto per la cerimonia inaugurale del 5 agosto allo stadio Maracanà, dove sono attesi parecchi capi di Stato e di Governo. L’allerta è in aumento, infatti. Durante l’esercitazione militare, i caccia avrebbero dovuto disporsi secondo una nuova linea di attacco in aria, ma qualcosa non ha funzionato, soprattutto nei dialoghi tra piloti e base, e l’impatto non è stato evitato. La simulazione dell’esercitazione aveva come strategia quella di reagire ad un attacco terroristico da fronteggiare via cielo-mare, e dunque con l’ausilio di una fregata d’appoggio. La marina sudamericana è sempre più pronta ad intervenire e reagire, soprattutto dopo i recenti 10 arresti per terrorismo. E’ il secondo incidente che si verifica a Rio, in meno di un mese: ai primi di luglio, un biposto F-5 Tiger dell’Aeronautica era caduto alla periferia di Santa Cruz Air Force Base. In quel caso i due piloti erano riusciti a innescare il dispositivo di espulsione e salvarsi. I combattenti AF-1B sono stati progettati per l’US Air Force negli anni 50 e vent’anni dopo è stato costruito un modello per la Marina. Nel 1998, il Brasile ha acquistato 23 di questi aerei da combattimento dalle forze armate del Kuwait. Oltre al Brasile, anche l’Air Force Argentina e Israele hanno in dotazione questo tipo di aerei. La dotazione sarebbe stata recentemente ammodernata dal produttore Embraer con interventi tecnologici per rendere più sofisticata la pattuglia aerea che dovrà sorvegliare il cielo di Rio dal 5 al 21 agosto. A 8 giorni dall’apertura, il ministro della Difesa brasiliano, Raul Jungmann, conferma che il Brasile «non è invulnerabile» ad eventuali attacchi terroristici, «ma nessuno oggi al mondo può considerarsi invulnerabile». Jungmann ha comunque rassicurato che il Brasile è preparato ai massimi livelli per tentare di minimizzare il rischio di attentati durante i Giochi, ma ha anche sostenuto la necessità di creare un agenzia specifica per la lotta contro il terrorismo. A Rio sono attesi altri 2 mila soldati che si aggiungeranno ai 20 mila già schierati e ad altri 3 mila saranno pronti ad intervenire in situazioni di emergenza. *** ROBERTO DA RIN, IL SOLE 24 ORE 23/7 – È (quasi) tutto pronto per la grande festa, quella delle Olimpiadi di Rio de Janeiro. « La nostra cultura – scrive Ferreira Gullar, un grande della letteratura contemporanea del Brasile – non nasce né dalla mitologia né dalla divinità. E quando le adotta lo fa in funzione della festa, non del rito». A guastarla, la festa, potrebbe essere l’Isis. Lo temono i servizi segreti brasiliani che hanno elevato l’allarme a livello 4, in una scala da 1 a 5. L’ultima retata, quella di due giorni fa, non pare sia indicativa del pericolo reale di attentati. La stampa brasiliana ritiene che le misure adottate per i 10 brasiliani arrestati siano persino eccessive, se rapportate alle prove raccolte. Eppure il pericolo di attentati, durante le Olimpiadi, è rilevante: le pagine “postate” in rete dall’Isis, in portoghese, l’allarme dell’agenzia di intelligence Abin, le dichiarazioni del ministero della Difesa brasiliano, sono fattori che dimostrano l’entità del rischio. Pensare che i brasiliani, e soprattutto i carioca, ovvero gli abitanti di Rio, rappresentano un esempio di integrazione perfetta. Il samba è l’eterna colonna sonora della città, di Rio naturalmente. Harold Trinkunas, analista di Brookings Institution di Washington, ricorda che « il melting pot brasiliano ha giocato un ruolo chiave nell’integrazione, soprattutto di quella comunità di origine mediorientale perfettamente inserita nel tessuto sociale brasiliano». Non solo, queste comunità di immigrati hanno rafforzato l’identità brasiliana e i conflitti mediorientali sono sempre stati percepiti come lontani. Tuttavia ciò non è sufficiente a tranquillizzare polizia ed esercito. André Luis Woloszyn, esperto di controterrorismo che ha lavorato in Brasile, ricorda che 100 individui potenzialmente pericolosi in Brasile sono pochissimi, se rapportati ai 200 milioni di abitanti. «Ma sufficienti a raccogliere il messaggio dell’Isis, il cui obiettivo è lo show. L’azione spettacolare, visiva e televisiva. La neutralità del Paese non riduce la disponibilità di qualche kamikaze a commettere stragi». Un’altra questione riguarda le armi, non facilmente acquistabili come invece accade negli Stati Uniti. Comunque reperibili in Paesi confinanti, come il Paraguay o l’Argentina. Un altro elemento di preoccupazione riguarda l’utilizzo delle armi a disposizione delle forze speciali brasiliane in questa situazione emergenziale. La grave crisi economico-sociale che attraversa il Brasile provoca spesso proteste e manifestazioni. La crisi che vive il Brasile è triplice: politica, economico-sociale e giudiziaria. Un intreccio di problemi che ha provocato una disaffezione progressiva dell’elettorato verso la politica e la classe dirigente. Gli scandali e la corruzione che hanno travolto la presidenta Dilma Rousseff e l’intero Pt (Partito dei lavoratori) hanno determinato uno scollamento tra popolazione e politica. Il consenso superiore all’80% - raggiunto dall’ex presidente Inacio Lula da Silva, alla fine del suo mandato, nel gennaio 2011 - non è stato solamente un record assoluto mai eguagliato da nessun Paese democratico. È stato soprattutto la rappresentazione più chiara di una coesione sociale scaturita dal combinato disposto di due fattori: l’ingresso trionfale di 35 milioni di poveri nella classe media e la stabilità delle variabili macrofinanziarie. Ora è cambiato tutto. La depressione congiunturale e lo tsunami giudiziario hanno disgregato quel prezioso patrimonio di governabilità. Acceso una conflittualità sociale mai registrata negli ultimi 60 anni. Il colosso energetico Petrobras è stato al centro delle polemiche, negli ultimi 18 mesi. Da lì, un fiume di denaro affluiva alle casse dei partiti politici e nei gangli della corruzione. La prima buona notizia in arrivo da Petrobras, dopo anni di discredito, è arrivata due giorni fa: secondo Rio Times, il giugno 2016 passerà alla storia della Petrobras per l’aumento record nella produzione di petrolio e gas naturale. Il petrolio ha raggiunto il picco dei 2,9 milioni barili al giorno. Una nota positiva che mitiga poco il clima avvelenato che vive la società brasiliana. Roberto Da Rin *** GIULIA ZONCA, LA STAMPA 26/7 – L’assoluta parità è dietro l’angolo, ma si tratta solo di un numero da raggiungere perché le donne hanno già superato la battaglia tra i sessi ai Giochi. A Rio ci sarà il contingente femminile più numeroso che le Olimpiadi abbiano mai visto: le americane sono 292 su un totale di 555 convocati. Il precedente record era delle cinesi, 289 nell’edizione del 2008, ma allora si gareggiava a Pechino, stavano in casa mentre gli Usa esportano primato e bandiera: «È la prova che da noi l’accesso allo sport è equo. Investiamo sulle ragazze che si fanno notare». A Londra 2012 avevano superato i maschi di poco, ora li hanno sorpassati anche se qualche residuo arcaico resta: le calciatrici hanno minacciato lo sciopero perché non sono trattate e pagate come la squadra maschile. E loro vincono di più. Ma il pallone non è esattamente uno sport olimpico e resta un mondo a parte. In costante aumento La tendenza è chiara, la strada segnata, in Brasile non ci sarà il maggior numero di donne mai registrato, ma la minor disparità tra maschi e femmine. Anche la percentuale, rozzamente calcolata tra i continui cambi per squalifiche e infortuni, punta dritto su un 45 per cento e oltre. In viaggio verso la metà perfetta come dimostra pure l’Italia con le sue 142 atlete, un primato azzurro. E non rosa. Non erano mai state tante e sono un pezzo di squadra, il 47,81%: non certo una quota. Ai tempi del club esclusivo Ora sembra tutto quasi scontato, ma solo nel 2012 ogni nazione ha schierato almeno una donna e i cinque cerchi sono partiti come uno di quei club anglosassoni che non ammettono signore. Le prime si sono intrufolate all’inizio dello scorso secolo senza essere nemmeno menzionate nel programma ufficiale. Ammesse, di straforo, sui campi da golf e da tennis perché lì potevano tenersi gonne alle caviglie e camicie accollate. Siamo partiti da lontano, da un universo esclusivo convinto che solo gli uomini potessero allenare i muscoli, reggere la fatica e non era nemmeno una questione fisica, ma proprio la convinzione che in un tripudio di medaglie e gloria non ci fosse posto per le donne. Discriminazione pura, lo sport rifiutava di applaudire donne straordinarie perché era chiaro che vederle vincere avrebbe cambiato la percezione. Accelerato l’emancipazione. Hanno espugnato una disciplina alla volta, arrotondando numeri risicati, rimpolpando nazionali monotematiche e nel 2012 è caduto l’ultimo tabù: la boxe al femminile. Ora manca solo la 50 km di marcia, riservata a un unico sesso alle Olimpiadi, ma aperta per la prima volta a tutti nella Coppa del Mondo di Roma, proprio quest’anno. In realtà adesso bisogna correggere il programma nella direzione opposta: gli uomini sono tutt’ora esclusi dal nuoto sincronizzato. Per la parità vera serve l’equilibrio assoluto. *** ROCCO COTRONEO, CORRIERE DELLA SERA 26/7 – Eccoli, i primi eroi dell’Olimpiade brasiliana. Maglietta e pantaloni blu, borsone a tracolla e sorriso al fotografo per l’improvvisa popolarità planetaria. Sono gli elettricisti e gli idraulici che da ieri — giorno e notte a turni continui — cercheranno di far dimenticare la prima figuraccia di Rio 2016: i problemi di abitabilità nel villaggio olimpico. La prima squadra, ovviamente, è stata mandata nella palazzina dell’Australia, il team che ha sollevato il caso dei fili scoperti e delle infiltrazioni, facendo spostare i propri atleti in un albergo per questioni di sicurezza. Saranno in cinquanta ad alternarsi al lavoro e giurano che prima di venerdì le cose andranno a posto. In tutto sono 500 gli operai che sono stati schierati dall’organizzazione in fretta e furia per rimediare ai problemi e ultimare le rifiniture. Senza contare quelli che sono stati chiamati dalle singole federazioni. Come ha fatto il Coni per i problemi nelle stanze degli azzurri, e senza sollevare il polverone degli australiani. Il vertice di Rio 2016 minimizza, il sindaco di Rio se la cava con una battuta sui canguri, ma gli intoppi last minute sono in prima pagina su tutti i giornali brasiliani e fanno la festa della satira su Internet. «Persino il canguro è falso, non ha il marsupio, il sindaco ha mandato un cane», scherza il sito Sensacionalista . Seccati, gli australiani hanno risposto al primo cittadino, «ci basterebbe un idraulico, grazie!». E così è stato: gli uomini in tuta blu sono arrivati alla Ilha Pura, la città degli atleti, all’alba di ieri. Secondo Rio 2016 soltanto il cinque per cento dei 3.604 appartamenti consegnati ad atleti e funzionari ha problemi di rifiniture. Qualcuno sospetta che i problemi nelle reti elettriche e idrauliche possano essere dovuti a furti avvenuti tra la consegna ufficiale da parte dell’impresa e questi giorni. Ma non tutti l’hanno presa così male, tra gli atleti delle novanta delegazioni che sono già arrivate a Rio. Un canoista neozelandese, appena aperta la finestra, ha postato una foto della vista su Instagram, e minimizzato i problemi: «Quando arrivi il primo giorno non puoi pensare che tutto sia perfetto», ha scritto Mahe Drysdale. I carioca ringraziano. Ha voluto minimizzare anche il presidente del Coni, Giovanni Malagò, a margine dell’incontro con gli atleti romani in Campidoglio: «Sono problemi risolvibili, una questione di giorni se non di ore. Noi italiani siamo abituati ad arrangiarci, comunque, e faremo una bella figura con i nostri atleti, perché abbiamo una squadra all’opera per lasciare tutto pronto per quando arriveranno». Anche gli americani, gli olandesi e persino i brasiliani hanno dovuto chiamare operai in proprio per risolvere gli ultimi problemi. E da oggi cominciano i test sul traffico in città. Rocco Cotroneo *** ROCCO COTRONEO, CORRIERE DELLA SERA 25/7 –  Rio de Janeiro Fili elettrici che penzolano dal soffitto, infiltrazioni d’acqua e persino gabinetti non collegati allo scarico. Alla delegazione australiana – la prima a sbarcare a Rio 2016 per affrontare un fuso orario di dieci ore – non hanno spiegato che arrivare in anticipo in Brasile, e spesso anche in orario, è fonte quasi certa di problemi. Quando i 400 aussies si sono presentati nelle stanze del villaggio olimpico loro assegnate, giovedì scorso, è stato fatto loro notare che all’apertura ufficiale mancavano tre giorni, e all’inizio delle Olimpiadi addirittura un paio di settimane. Un’eternità nella filosofia dell’ultimo minuto, quella che muove il Paese. Gli australiani non l’hanno presa per niente bene, però, e il comunicato diramato dalla loro federazione è piuttosto secco: «Per motivi di sicurezza i nostri atleti non potranno occupare le loro stanze e resteranno in albergo fino a che i lavori saranno conclusi». Il sindaco di Rio Eduardo Paes non ha perso l’occasione per la battuta, infelice: «Porteremo là un canguro per farli sentire a loro agio». Se la preparazione delle Olimpiadi, dal punto di vista logistico, è filata abbastanza liscia in confronto ai Mondiali del 2014 (dove i ritardi erano assai più evidenti), è innegabile che Rio de Janeiro sia ancora un cantiere a cielo aperto a una manciata di giorni dall’apertura, il 5 agosto. Il villaggio olimpico era stato dichiarato ufficialmente pronto mesi fa, anche perché la selva di condomini bianchi sulle sponde della laguna di Jacarepaguà è soprattutto un grande business immobiliare. A fine Giochi gli appartamenti del complesso «Ilha Pura» verranno messi in vendita, target una classe media emergente desiderosa di vivere in un pezzo della città che ha fatto storia. Ma è il concetto di «pronto» che si presta a interpretazioni discordanti, dipendendo soprattutto da quale palazzina è stata assegnata a chi. Se la Gran Bretagna minimizza («problemi minori»), il nostro Coni è dovuto intervenire. «Tra le zone incomplete ci sono anche alcuni appartamenti destinati all’Italia. Abbiamo appaltato con urgenza elettricisti, idraulici e muratori – spiega il capomissione Carlo Mornati – e chiediamo alle atlete e agli atleti la massima comprensione». Gli azzurri arriveranno a scaglioni nei prossimi giorni. Il pessimismo sui grandi eventi è una litania che si ripete, e Rio de Janeiro (che ne ha ospitati tanti negli ultimi anni) non sfugge alla regola. È vero però che troppo era stato promesso, soprattutto in chiave locale, per raccogliere consenso attorno ai costi giganteschi, e alla bolletta che rischia di trascinarsi per anni. Conclusi gli impianti, sulla mobilità e le infrastrutture da lasciare alla città si corre davvero fino all’ultimo giorno. Basti pensare che una nuova linea di metrò verrà aperta soltanto la settimana prossima, con due stazioni appena funzionanti e potrà usarla solo chi va ad assistere alle Olimpiadi. Poi si richiude tutto per mesi, per finire davvero i lavori. Lo stesso con alcune linee leggere di superficie. Lungo le strade delle città, operai tuttora dipingono, marcano le corsie preferenziali, montano le indicazioni. La decisione di raddoppiare poliziotti e soldati (ben 85.000 uomini, il doppio di Londra 2012) dopo gli ultimi attentati terroristici ha anch’essa creato ingorghi imprevisti. Ma quel che conta di più per l’immagine di Rio nel mondo pare a posto. Ieri, domenica di pieno inverno, c’era il sole, 28 gradi e le spiagge affollate. Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 25/7/2016 *** STEFANO ARCOBELLI, GIANLUCA PASINI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 26/7 – Il sindaco di Rio, Eduardo Paes, per provare a contenere la rabbia degli australiani, scappati dal caos nel Villaggi ha offerto un canguro in vista del rientro di domani: «Un modo per sentirvi a casa». L’Argentina che considera gli alloggi inabitabili pensa «ad affittare appartamenti esterni». Giovanni Malagò, presidente del Coni, si professa ottimista, a proposito dei ritardi olimpici: «Noi italiani siamo abituati ad arrangiarci, faremo una bella figura: abbiamo una squadra all’opera per permettere agli atleti che stanno arrivando in Brasile alla spicciolata di vivere al meglio l’esperienza olimpica. I ritardi ci sono, non voglio essere falso, sapete benissimo che questo compete al comitato organizzatore. Mi sembra che le prime 15 palazzine siano praticamente completate, noi siamo alla numero 20. È un problema però penso risolvibile: se non è questione di ore, al massimo di giorni». Il capo delegazione azzurra, Carlo Mornati, ieri è rimasto tutto il giorno in costante contatto con Anna Riccardi, e gli addetti alla spedizione già da giorni a Rio, dove ieri sera è arrivato il primo contingente di atleti con i tiratori a volo, Jessica Rossi e Giovanni Pellielo. E’ realista il vice segretario generale, quando analizza la situazione: «Non siamo allarmati ma ce lo aspettavamo: perché è ancora tutto approssimativo e sono ancora in pochi dentro la struttura. Proviamo ad immaginare tutto questo con 11.000 persone. Noi speravamo di entrare con le opere già concluse, ma qui ancora si corre a concludere i lavori mentre le delegazioni necessitano di entrare nelle palazzine ultimate». Ecco, come sono le palazzine azzurre? «Non sono ancora funzionali, proviamo a renderle tali. Domenica abbiamo perso una giornata soltanto per far accreditare le maestranze che avrebbero dovuto occuparsi dell’allestimento. La sicurezza complica tutto. Noi avevamo un contratto in loco con una società di servizi per Casa Italia e abbiamo dovuto chiedere personale per il Villaggio. C’è necessità di avere squadre di pulizie, elettricisti, c’è da mettere a posto tanto, ma il comitato organizzatore fa fatica, non ha messo a posto le stampanti, i tubi dei rubinetti sono rotti, c’è sporcizia. Sì, la situazione è molto difficile ma non è un caso che da anni si sparlava di ritardi nei lavori. I brasiliani corrono, però...». Serve tempo, serve l’incanto di una magia per sperare che in pochi giorni tutto venga normalizzato e razionalizzato? «E’ chiaro — fa Mornati — che quando cominceranno le gare tutto dovrà girare, per ora le difficoltà sono per tutti: vedo certi comitati olimpici un po’ disorientati sulla questione logistica». La prima esperienza sudamericana, insomma, non merita per ora voti alti: «Posso dare solo un voto di stima. Le differenze tra un’Olimpiade e l’altra ci sono sempre state: se ricordo Atlanta con i pullman che si perdevano e Sydney, il confronto è forte». Ma come si può ovviare ai ritardi, accelerare le procedure? «I brasiliani devono farsi aiutare a questo punto, con un po’ di flessibilità le nostre squadre possono aiutare a risolvere i problemi. Basta dire dateci una mano e le complicazioni diminuirebbero. Invece sono tutti molto rigidi per le procedure anch se l’Italia è tra le avanguardie più organizzate. Ci sono Paesi che provano ad arrangiarsi, ognuno fa come può, ma c’è gente che non sa dove mettere le mani. Pensavamo di entrare in un Villaggio completato ed invece non sappiamo come raccapezzarci. Sì, più che mai serve flessibilità. E’ il momento di rimboccarsi davvero le manchei: possono vederlo pure i funzionari del Cio». Libenzio Conti general manager delle Nazionali di volley è stato uno dei primi ad entrare nel Villaggio: «Qualche problema si è riscontrato, però al momento direi ancora poche cose. Un quadro più chiaro lo avremo quando le delegazioni avranno occupato tutte le palazzine. Quello che ho visto ieri è che lo scarico di una doccia non collegato ha allagato l’ufficio sottostante. A quello che ci hanno raccontato: negli ultimi mesi gli operai non hanno percepito tutti gli stipendi e qualcuno o per dispetto, o per fretta ha completato l’opera in maniera provvisoria. La speranza ovviamente è che il tipo di inconveniente riscontrato nei primi giorni sia su un numero limitato di abitazioni, che per il resto mi sono sembrate belle e confortevoli». Il blackout della corrente è infine un altro dei problemi al Villaggio: in soccorso sono stati fatti arrivare mega generatori. *** IL POST 26/7 – Dopo i problemi con le forniture elettriche, con la qualità delle acque nelle sedi delle gare olimpiche in mare e con il ritardo dei lavori delle strutture del parco olimpico, il comitato organizzatore delle Olimpiadi di Rio, che inizieranno il 5 agosto, sta cercando di risolvere in questi giorni alcuni problemi con le palazzine del villaggio olimpico, quelle in cui alloggeranno gli atleti, che hanno iniziato ad arrivare in Brasile da qualche giorno. Gli edifici non sono ancora tutti completati e 19 palazzine su 31 devono ancora passare i controlli sulla sicurezza; la delegazione australiana, tra le prime ad arrivare a Rio, ha deciso di ricollocare i propri atleti in alcuni alberghi della città, dopo che nei palazzi assegnati a loro erano stati trovati fili scoperti nelle camere e nei corridoi, bagni intasati, piccoli allagamenti e tubature che perdevano. Il villaggio olimpico di Rio, il cui progetto è noto anche con il nome Ilha Pura, è costato quasi un miliardo di dollari ed è stato realizzato da due grosse società brasiliane, la Carvalho Hosken e l’Odebrecht. Inizialmente, le due società avevano previsto di recuperare i soldi investiti vendendo gli appartamenti una volta terminati i giochi. A causa della crisi del mercato immobiliare brasiliano però, fino ad ora sono stati venduti solo 240 dei 3.604 appartamenti e i giornali brasiliani ritengono che questo abbia causato un problema di liquidità alle due società, che quindi potrebbero aver deciso di tagliare le spese durante la parte finale dei lavori. Il Brasile, che ospiterà le prime Olimpiadi organizzate da un paese sudamericano, si trova nel mezzo di un periodo di grave recessione e di forte instabilità politica. La presidente Dilma Rousseff è stata sospesa in attesa della fine del suo processo per impeachment e il mese scorso lo stato di Rio non ha rispettato la scadenza per ripagare i suoi debiti e ha posticipato il pagamento degli stipendi nel settore pubblico dopo il forte calo del prezzo del petrolio, una delle sue principali fonti di entrate. I lavori di almeno sei aziende che avevano ottenuto commesse per la realizzazione di progetti e infrastrutture per le Olimpiadi, inoltre, sono stati bloccati dopo che le società sono state accusate di aver pagato tangenti per aggiudicarsi delle commesse pubbliche profittevoli. Fra queste c’è anche la Odebrecht, il cui presidente Marcelo Odebrecht a marzo è stato condannato a 19 anni di carcere per corruzione. Il portavoce della squadra australiana ha detto che per ora la situazione dell’edificio 23, quello assegnato all’Australia, non è sicura ma spera di rientrare nel villaggio olimpico entro giovedì. Il primo gruppo di atleti australiani entrati nell’edificio ha dovuto testare il funzionamento dell’impianto idraulico dell’edificio tirando lo sciacquone dei water e aprendo i rubinetti nello stesso momento, cosa che ha causato la fuoriuscita di acqua dalle pareti e dal soffitto di alcune stanze. Anche gli atleti di Regno Unito, Olanda e Nuova Zelanda hanno avuto simili problemi nei loro alloggi. Al momento, nel villaggio olimpico sono arrivati solo il dieci per cento degli atleti che dovranno raggiungere Rio de Janeiro per l’inizio delle Olimpiadi. Gli organizzatori e il governo dello stato di Rio hanno dichiarato che tutte le strutture verranno completate entro l’inizio dei giochi. Il Capo Missione del Coni, Carlo Mornati, che è arrivato a Rio la scorsa settimana, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport ha spiegato che anche nella palazzina dove alloggeranno gli atleti italiani ci sono diversi problemi, e che il CONI – come altri comitati olimpici nazionali – ha appaltato indipendentemente dei lavori per la loro sistemazione: “Tra le zone incomplete del Villaggio Olimpico di Rio ci sono anche alcuni appartamenti della palazzina 20, quella destinata all’Italia, che da alcuni giorni vedono al lavoro squadre di operai, elettricisti, idraulici e muratori. Lavori appaltati con urgenza dal Coni in loco per far sì che le condizioni di alloggio degli atleti azzurri possano essere messe al più presto nella normalità”. *** ALFREDO SPALLA, SPORTWEEK 23/7 – «Benvenuti all’inferno». Durante un recente sciopero, la polizia di Rio de Janeiro ha accolto i turisti all’aeroporto con questo striscione inequivocabile. Numero di morti da guerra civile, stipendi non pagati e proteste in diversi settori deH’amministrazione pubblica. Inutile nasconderlo: le Olimpiadi stanno avendo un alto costo sociale per i cariocas, anche se al momento la priorità è mettere a punto il piano di sicurezza per atleti e turisti. Il timore dei cittadini, però, è che l’attenzione internazionale venga meno dopo la cerimonia di chiusura, come accaduto dopo i Mondiali del 2014. Le statistiche non lasciano spazio ai dubbi. A Rio nel 2015 sono state assassinate 1.202 persone: una media di 18,6 ogni centomila abitanti. Sono numeri che non tengono conto delle scomparse e delle morti in seguito a confronti con le forze dell’ordine. La media nazionale italiana del 2014 (dati Istat) è di 0,75% omicidi per 100.000 individui, a Roma è dello 0,90. Ma non si può pretendere che Rio si trasformi nel giro di due settimane: «Storicamente Rio de Janeiro è così. Abbiamo già avuto indici maggiori. Se però schieriamo più poliziotti nelle strade e rafforziamo l’intelligence, possiamo ridurre il fenomeno», ha spiegato José Mariano Beltrame, segretario del dipartimento di Sicurezza Pubblica, nel corso di una conferenza stampa. Sorveglianza e prevenzione dei Giochi saranno nelle mani dello Stato di Rio, che a metà giugno ha dichiarato lo stato di «calamità pubblica» ricevendo fondi da Brasilia per superare la crisi economica. Eduardo Paes, sindaco carioca, in un’intervista alla Cnn ha definito «terribile» il lavoro della sicurezza statale. Secondo i dati ufficiali saranno utilizzate 85.000 unità, di cui 47.000 provenienti dalla difesa civile e 38.000 dalle forze armate. Il doppio del contingente di Londra 2012. La quantità, però, non sembra procedere di pari passo con la qualità, dato che alcuni membri dell’esercito hanno già minacciato di abbandonare le Olimpiadi. «Dormiamo su materassi gonfiabili comprati da noi. Viviamo nel mezzo di una favela, ci manca l’acqua per la doccia e non abbiamo il gas per cucinare. Una sola divisa e nemmeno uno stendino per asciugarla. Questo senza contare le giornate non pagate», si è sfogato un agente su Facebook, pubblicando le foto delle condizioni precarie in cui sono costretti a lavorare. Il Ministero della Giustizia non è parso preoccupato dalle rivendicazioni. «Abbiamo 4.500 riservisti pronti per le Olimpiadi in caso di necessità», è stata la risposta. Durante questo tipo di missioni il pagamento previsto per gli agenti è di 220 reais al giorno (60 euro). La cifra avrebbe dovuto essere raddoppiata per i Giochi, ma secondo la stampa brasiliana le autorità non starebbero rispettando gli accordi. Un ulteriore problema sarà la disposizione delle forze dell’ordine nelle favelas. Molte prove olimpiche si terranno a Deodoro, complesso della Zona Nord, storicamente la più complicata dal punto di vista sociale. Il rischio è che si possano violare i diritti umani dei residenti. Secondo l’Ong Human Rights Watch la polizia fluminense è la più violenta del Brasile: 8.000 omicidi negli ultimi 10 anni. Il disagio accompagna la vita di tanti impiegati pubblici, oltre a studenti e professori: «Siamo in sciopero a oltranza. Ci devono pagare ancora gli arretrati, ma discutiamo di Olimpiadi. Comprendiamo di non essere una priorità per lo Stato», spiega a SportWeek Marcelo Sant’Anna, coordinatore generale del Sepe, il sindacato statale dei professionisti dell’Educazione di Rio. *** MAURICIO CANNONE, SPORTWEEK 23/7 – Rio dei 451 anni di esistenza. Rio dei due Mondiali di calcio. Rio della prima Olimpiade in Sudamerica. Rio antica e Rio moderna, (anche) grazie ai grandi avvenimenti. Tra promesse mantenute, incompiute e rinviate. Ci sono ancora cantieri in tanti angoli della città, appesantiti da scioperi e pagamenti in ritardo. E i poliziotti che protestano. In- somma, se va bene, si parla di lavori che saranno ultimati agli sgoccioli. Ma è andato tutto male? Mica tanto. Un esempio, in pieno centro città, è la nuova zona del porto, area cupa fino a poco tempo fa e oggi diventata uno dei motivi d’orgoglio della metropoli. Il progetto ha rivitalizzato un’area di 5 milioni di metri quadri: sono stati realizzati 70 chilometri di strade e quattro tunnel. La ristrutturazione ha restituito tesori archeologici come il Molo dell’Imperatrice e il Giardino Sospeso del Valongo, oltre alla nuova Piazza Mauà. Ma ci sono anche il Museo d’Arte di Rio e quello del Domani. Ecco come lo sport sta “trascinando" la cultura. In cima alla lista dei problemi di Rio, invece, ci sono gli spostamenti verso il cuore dei Giochi: Barra da Tijuca. Perché il quartiere è sì servito da più di un’autostrada e, se tutto va bene, l’I agosto (solo quattro giorni prima della Cerimonia d’apertura...) dovrebbe essere aperta al pubblico la linea 4 della metropolita, ma questa inaugurazione servirà a diminuire, non a cancellare, i disagi. I treni non porteranno direttamente al Parco Olimpico (una delle stazioni nel quartiere Gàvea, per capire, inizierà ad operare solo nel 2018...): per raggiungerlo ci vorranno ancora 14 chilometri in autobus. Ovvero, se il traffico non sarà caotico, serviranno almeno 50 minuti di mezzi. Un consiglio ai turisti olimpici, dunque; muovetevi sempre con il dovuto anticipo. Nel periodo dei Giochi, tra l’altro, la linea 4 potrà essere utilizzata esclusivamente da chi dovrà assistere alle gare. A tentare di rendere più agevole la situazione del traffico ci saranno poi la metropolitana leggera di superficie (Vlt) e la TransOlimpica, autostrada che collega la Barra a Deodoro, altra zona clou di Rio 2016. Non si può però dimenticare la Baia di Guanabara, teatro delle gare di vela e di... molte proteste per la qualità delle acque. Le stesse autorità dello Stato di Rio, responsabili dell’area che va oltre i confini della città omonima, hanno d’altronde ammesso che non sarà possibile raggiungere l’obiettivo iniziale di riduzione dell’80% dell’inquinamento. Anche per questo gli Usa, ma non solo loro, avrebbero voluto spostare le gare a Buzios, altra città del litorale dove, oltre al minor inquinamento, ci sarebbero state - a detta loro - condizioni medie di vento e di mare più favorevoli. Richiesta andata a vuoto. Nei giorni delle regate, però, un team di tecnici guiderà una flotta di dieci ecobarche – monitorate via satellite – incaricate di raccogliere rifiuti galleggianti. È stato stimato che l’intera flotta sia in grado di rimuovere una media di 40 tonnellate di spazzatura al mese. Quanto ai campi di gara, sono stati scelti dove si riscontra il maggior rinnovamento delle acque tra oceano e baia. In più, nel corso dell’Olimpiade, salirà da 5 a 17 il numero delle cosiddette ecobarriere, destinate a bloccare i residui alla foce di fiumi e canali e prima che questi arrivino alla baia. In generale, ma questa è una sfida che andrà temporalmente molto al di là del periodo dei Giochi, l’arrivo dell’Olimpiade ha – perora – attivato un’opera di risanamento e la presentazione di progetti ad hoc affinché la Baia di Guanabara diventi finalmente un luogo migliore. E più salubre. Sempre guardando al dopo-Giochi, più di un impianto a cinque cerchi verrà riconvertito. Le strutture dell’Arena del Futuro (teatro ad agosto del torneo di pallamano) verranno per esempio smontate e trasformate in quattro scuole comunali. *** ALFREDO SPALLA, SPORTWEEK 23/7 – Pericolo reale o psicosi? L’entità del virus Zika continua a far discutere a livello internazionale. L’argomento torna d’attualità nel periodo pre-olimpico, essendo il Brasile il Paese più colpito al mondo. Non sarebbe lo Zika in sé a preoccupare, ma le possibili conseguenze, fra cui la microcefalia. L’Oms descrive i sintomi «simili a quelli della dengue, con febbre, eruzioni cutanee, congiuntivite, malessere e cefalea» per un periodo «fra i 2 e i 7 giorni», mentre il tempo d’incubazione non è stato ancora definito ma sarebbe di pochi giorni. Esiste quindi il rischio che gli atleti siano infettati durante le prove, ma soprattutto che i numerosi stranieri possano contribuire alla diffusione del fenomeno. Non tutti, però, la pensano così. Secondo Andrew Parsons, presidente del Comitato Paralimpico brasiliano e vicepresidente del Comitato Paralimpico internazionale, esiste una distorsione: «Su alcune questioni si tende a esagerare e penso che lo Zika sia una di queste. Lo percepiamo nei nostri viaggi all’estero. Si è registrata una diminuzione dei casi, non saremo in estate, e non penso che lo Zika possa minacciare l’organizzazione delle Olimpiadi e nemmeno che a partire da queste possa esserci un boom di casi all’estero. Le persone non torneranno disseminando Zika, anche perché c’è bisogno di un vettore come il mosquito (Aedes aegypti, ndr)», ha dichiarato a SportWeek. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute, «Zika è un virus emergente trasmesso dalle zanzare e identificato per la prima volta in Uganda nel 1947 fra gli animali e nel 1952 fra gli esseri umani». L’Aedes aegypti, oltre allo Zika, trasmette dengue e chikungunya, malattie infettive da non sottovalutare. Il Ministero brasiliano della Salute “combatte” su due fronti: prevenzione e comunicazione. Sì, perché le defezioni degli atleti per Zika stanno “macchiando” l’immagine dei Giochi e da tempo la questione si è trasformata da sanitaria in politica. Gli ultimi dati, diffusi il 13 luglio, lasciano spazio all’ottimismo. Fino al 28 maggio si sono registrati 161.241 casi probabili in tutti gli stati brasiliani, un’incidenza di 78,5 ogni 100.000 abitanti. «Quest’anno il picco è stato nella terza settimana di febbraio, con 16.059 casi. Nell’ultima di maggio, ne sono stati registrati solo 12. Un crollo del 99,9%», secondo Brasilia. Le cifre sono diverse quando si parla dei casi di microcefalia, numerosi soprattutto nel Nord-Est del Paese. Degli 8.451 casi sospetti, ne sono stati confermati 1.687, mentre 3.622 sono stati classificati come «normali». Altri 3.142 sono ancora sotto esame. L’ultima rinuncia è stata quella del golfista Francesco Molinari. Una decisione dettata da altre ragioni, anche se «zika non ha aiutato». Le indicazioni delle autorità rimangono le stesse: spray contro le zanzare e magliette a maniche lunghe, nei limiti del caldo carioca. La stagione invernale aiuterà a mitigare la presenza degli insetti, così come le aree olimpiche dove non è stata rilevata una presenza considerevole del mosquito. Ma quando bisogna stare attenti? «Soprattutto di giorno», ci spiega Helena Maria Carneiro Leào, presidente dell’AMPE (Assoçiao Medica de Pernambuco) e dirigente per le perizie mediche dello Stato. Perfino la dottoressa fatica a inquadrare definitivamente la presenza dello Zika virus in Brasile, anche se di una cosa sembra certa: «Si è diffuso dopo la Coppa del Mondo». E quindi verrebbe dall’esterno, non dall’interno del Paese. L’unto tacciato di essere l’untore, una “condanna” ricorrente nella storia brasiliana. *** MARIO DEAGLIO, ORIGAMI 28/7 – 9 luglio 2014, campionati mondiali di calcio: Germania batte Brasile 7 a 1., A Rio, le ragazze piangono in piazza davanti ai teleschermi. In economia, apparentemente, le cose non vanno meglio: nel 2015 la crescita del prodotto lordo brasiliano si colloca a -3,8 per cento, quella tedesca, pur è brillantissima, mette a segno un solido +1,5 per cento è al 153esimo posto nella classifica mondiale. Anche in economia Germania batte Brasile? Il “campionato dello sviluppo” ha tempi molto più lunghi e la partita è ancora molto lontana dalla fine. Nel periodo 2003-13 - dominato dalla crisi in quasi tutti i paesi avanzati – il Brasile ha vinto su tutti i paesi avanzati. Fatto pari a 100 il reddito per abitante della Germania, quello del Brasile è salito da 12,5 nel 2003 a circa 25 nel 2013. Poi c’è stata la brutta caduta del 2014-15. Ma ora la marcia dovrebbe tornare gradualmente in positivo. Ancora più impressionante è il confronto con l’Italia. Nel 2003 l’economia brasiliana, misurata con i soliti criteri del prodotto lordo, valeva all’incirca un quinto della nostra; nel 2013, il Brasile aveva, sia pure di poco, “soffiato” all’Italia il settimo posto nella classifica mondiale delle economie. Dietro quest’avanzamento c’è un’economia che si basa su molto di più di caffè e Carnevale. Il Brasile vanta eccellenze mondiali in campo petrolifero e aeronautico, buone industrie farmaceutiche, meccaniche, automobilistiche (l’Italia è qui largamente presente da tempo), e tante altre ancora. Tra le prime 500 imprese mondiali per capitalizzazione di mercato, secondo il Financial Times, pur con variazioni annuali il numero delle società brasiliane è all’incirca simile a quello delle società italiane. 139 milioni di brasiliani, il 66,4 per cento della popolazione, ha accesso a Internet contro il 65,6 per cento della popolazione italiana. Il piano “bolsa Familia” avviato sotto la presidenza Lula, si basa su una strategia assolutamente nuova per combattere povertà e analfabetismo: paga le famiglie per mandare i figli a scuola e le presenze nei registri scolastici si traducono in assegni mensili. I risultati sono incoraggianti. Questa è la faccia smagliante del Brasile, allegro, sorridente, fiducioso in un futuro che si sta conquistando passo dopo passo. Esiste purtroppo, però, anche un’altra faccia. Un brasiliano su cinque vive nelle “favelas”, ossia quartieri degradati, spesso periferici, la diseguaglianza dei redditi è tra le maggiori del mondo. In Italia il tasso di omicidi è inferiore a 1 ogni 100.000 abitanti; il Brasile nel 2012 si collocava a quota 28,3 il che vuol dire oltre cinquantamila omicidi all’anno. E soprattutto anche in Brasile alligna quello che è forse il più tipico dei crimini moderni, la corruzione. L’“indice della corruzione percepita”, calcolato ogni anno da Transparency International colloca il Brasile a metà classifica, ossia al 76esimo posto (l’Italia non può sorridere, non è molto più su, al 61esimo) su una lista di 167 paesi. Le accuse di corruzione hanno caratterizzato la politica e l’economia brasiliana negli ultimi due anni. Anche di qui deriva la caduta del prodotto lordo degli ultimi due anni. Nel novembre scorso, l’amministratore delegato di un grande gruppo finanziario brasiliano è stato arrestato per corruzione. Nel maggio scorso, la Presidente Dilma Roussef è stata messa in stato d’accusa e sospesa per sei mesi dall’incarico per una lunga storia di possibile corruzione relativa a decisioni della sua amministrazione e a quella del suo predecessore, Ignacio Lula. In definitiva, abbiamo davanti un paese con alti e bassi, forse più della media che però ha un andamento di lungo periodo decisamente positivo. Un paese in cui, vittorie e sconfitte, crescita e crisi, tristezza e allegria si mescolano in maniera difficile da leggere per i non brasiliani. È “a tristeza que me faz sorrir”, la tristezza che mi fa sorridere, come dice una celebre canzone brasiliana. La speranza per il futuro, che tutti possiamo condividere, è che la tristezza sia poca e il sorriso sia molto. *** EMILIANO GUANELLA, LA STAMPA 6/7 – Due pupazzi macchiati di sangue gettati per terra, subito dietro un centinaio di poliziotti con un messaggio ben poco edificante: «Benvenuti all’inferno». A trenta giorni dalle Olimpiadi è questa l’accoglienza riservata ai turisti che arrivano all’aeroporto internazionale Tom Jobim di Rio. Come dire, già che siete qui vi diciamo subito quali sono i problemi che affronterete. Di fronti aperti nella «cidade maravilhosa» ce ne sono parecchi. In primis, la crisi economica, estesa a tutto il Brasile, ma che nello Stato di Rio è da bancarotta. Il governatore ha decretato la «calamità economica», bloccando il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, tra cui, appunto, i poliziotti. Rio batte cassa con il governo federale a Brasilia usando la «carta olimpica». Servono 200 milioni di euro per terminare la metropolitana che deve portare i visitatori a Barra de Tijuca, il cuore delle Olimpiadi, altri 600 per far ripartire scuole, ospedali e uffici comunali. Il sindaco Eduardo Paes, dello stesso partito che governa lo Stato, gioca allo scaricabarile, per lui il Municipio ha fatto la sua parte e assicura che, nonostante tutto, le Olimpiadi saranno un successo. Non la pensano così i suoi concittadini, estenuati dai cantieri infiniti, arrabbiati per gli sprechi e gli appalti dubbiosi, che sono già al vaglio degli inquirenti, come quelli per la ristrutturazione del Maracanà per i Mondiali di calcio o per la riqualifica della zona portuaria. Uno dei punti dolenti è il sistema dei trasporti, che sulla carta doveva essere il volano della rinascita della città. La metropolitana, in realtà una continuazione con 5 fermate della rete esistente, è costata 21 volte di più rispetto al budget iniziale, da 115 milioni a 2,4 miliardi di euro, e non è ancora finita. Il sistema BRT, autobus con stazioni e corsie preferenziali, collassa nelle ore di punta, il nuovo tram leggero è ancora in fase di sperimentazione, dopo che si è bloccato il giorno dell’inaugurazione. Una figuraccia dietro all’altra, con contorni a volte tragici, come nel caso della pista ciclabile sul mare, crollata per la forza delle onde causando due morti. Poco o nulla è stato fatto per pulire la sporchissima Baia di Guanabara, dove si terranno le gare di vela. Il COI ha «comprato» un piano di bonifica surreale, simile a quelli per i quali Banca Mondiale e Bid hanno bruciato in passato miliardi di dollari. La baia continua ad essere una gigantesca fogna dove si scaricano i rifiuti di una regione abitata da nove milioni di persone. I velisti che si allenano da tre anni hanno avuto già irritazioni e infezioni di ogni tipo; sperano di aver assimilato gli anticorpi necessari per sopravvivere alla settimana di gare in acqua. Forti interrogativi anche sul fronte della sicurezza. Lo Stato di Rio de Janeiro è uno dei più violenti del Brasile; nei primi quattro mesi dell’anno ci sono stati 1.700 omicidi, 12 al giorno, anche per il fallimento della politica di pacificazione delle favelas avviata sette anni fa. Gli scontri tra le fazioni rivali di narcotrafficanti e la violenza spesso eccessiva della polizia producono una scia di morti da Paese in guerra; per i Giochi si spera in una tregua, non foss’altro per l’impressionante schieramento di 85.000 uomini tra militari e corpi speciali della polizia, il doppio di quanto visto ai Mondiali. Rio sarà una città blindata con carri armati, tiratori scelti sui tetti degli hotel di Copacabana e Ipanema, posti di blocco e navi da guerra. I servizi segreti brasiliani hanno ammesso che non possono escludere attacchi terroristici ad opera di lupi solitari, i Paesi occidentali stanno monitorando con Brasilia alcuni soggetti potenzialmente pericolosi. Sono attesi poco più di trecentomila turisti, la metà dei quali brasiliani. Le previsioni iniziali erano più alte, ma sono calate per la paura, parzialmente rientrata, del virus Zica, per la crisi economica e la questione sicurezza. Chi vive a Rio, in ogni caso, si preoccupa già per il dopo Olimpiadi, quando la «normalità», fra crisi e violenza, prenderà di nuovo il sopravvento. Emiliano Guanella, La Stampa 6/7/2016 *** ALFREDO SPALLA, IL MESSAGGERO 22/7 – Il Brasile scopre il terrorismo. Dieci persone sono state arrestate dalla polizia federale perché sospettate di voler realizzare un attentato terrorista nel corso delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, in programma dal 5 al 21 agosto. L’operazione, ribattezzata «Hashtag» e iniziata ad aprile 2016, è stata condotta contro un gruppo autoproclamatosi I difensori della Sharia, che negli ultimi mesi è entrato in contatto con esponenti dello Stato Islamico, giurandogli fedeltà. LEGGE ANTITERRORISMO «Si tratta dell’unico caso in cui abbiamo potuto utilizzare la legge antiterrorismo, è la prima cellula terroristica individuata sul territorio nazionale. Questo caso – ha spiegato Alexandre de Moraes, ministro della Giustizia brasiliana – è differente dai precedenti perché sono stati riscontrati dei contatti effettivi con lo Stato Islamico». Nel corso di una conferenza stampa convocata per l’occasione, le autorità hanno spiegato i metodi e le intenzioni del gruppo. Alcuni membri sono stati battezzati dal gruppo terrorista, «attraverso la recitazione di un messaggio standard tramite chat internet». Le interazioni con l’ISIS si sono limitate al web, ma uno degli integranti aveva manifestato il desiderio di viaggiare all’estero per poter avere contatti personali con i responsabili. Il presunto terrorista avrebbe poi rinunciato per mancanza di disponibilità economica. La cellula, per stessa definizione del Ministro, «aveva un natura amatoriale» e «non possedeva alcun tipo di organizzazione». Nonostante ciò, i membri avevano cominciato a muoversi dal punto di vista pratico, consentendo così alla divisione antiterrorismo di poterli inquadrare nella legge entrata in vigore il 16 marzo scorso. L’ADDESTRAMENTO Il gruppo aveva iniziato una serie di addestramenti in arti marziali, oltre alla pratica con armi da fuoco. Uno dei messaggi che ha consentito l’arresto è relativo proprio al tentato acquisto di un fucile AK-47 presso un attività clandestina on line paraguaiana. I dieci partecipanti della cellula, secondo De Moraes, «non si conoscevano tra di loro, ma si tenevano in contatto tramite Telegram e What’s app». I recenti attacchi rivendicati dallo Stato Islamico – specialmente quello di Orlando, in cui sono state uccise 50 persone all’interno di un locale gay – sono stati celebrati dai presunti terroristi brasiliani. «Lo scambio di messaggi mostra il degrado morale e la preparazione per realizzare atti simili», ha confermato il Ministro. I servizi hanno tracciato i movimenti dell’organizzazione in dieci stati differenti del Brasile. L’identità dei sospetti – fermati con un mandato provvisorio di 30 giorni, ma rinnovabile – non è stata comunicata, anche se è possibile tracciare un profilo comune: si tratta di maggiorenni brasiliani con un solo minorenne attivo nelle conversazioni. I dieci si sarebbero convertiti recentemente e, dopo essersi frustrati per il tono pacifico delle moschee brasiliane, avrebbero estremizzato le loro posizioni tramite il web. L’intenzione era quella di colpire durante le Olimpiadi per la presenza delle delegazioni straniere. La polizia ha inoltre informato che nelle indagini sarebbe coinvolta anche un’ONG che «lavora nell’area umanitaria ed educazionale». L’operazione è stata condotta dalla polizia di Curitiba, poiché il leader della cellula è un residente della città del sud del Paese. *** UGO TRAMBALLI, IL SOLE 24 ORE 22/7 – L’Unione Sovietica non aveva mai vinto una medaglia d’oro nel nuoto. Poi arrivò la ranista Galina Prozumenshchikova. La nuotatrice ai Giochi del 1964, del ’68 e del ’72 ne portò a casa cinque. Senza contare le vittorie a europei e mondiali. Galina è morta l’anno scorso a 66 anni “dopo lunga malattia”, aveva spiegato la Federazione russa di nuoto. Il corpo è stato cremato. Fu vera gloria la sua? La vicenda sportiva e umana della Prozumenshchikova, uguale a quella di centinaia di atleti russo-sovietici, spiega due cose dell’immoralità del doping nello sport: che rovina l’immagine e il ricordo di grandi campioni; che l’uso metodico della chimica per la gloria sportiva confusa con una forma malata di nazionalismo, non l’ha inventata la Russia di Vladimir Putin. È nella storia sportiva dell’Unione Sovietica. Anzi, lo era di tutto il blocco a Est del Muro di Berlino. Insieme a Mark Spitz, dal punto di vista tecnico il più grande nuotatore della storia fu Roland Matthes della Ddr, un Paese laboratorio quanto a chimica sportiva. Quattro ori, due argenti e due bronzi in tre Olimpiadi. Noi dorsisti del mondo occidentale guardavamo Matthes ammirati, tuttavia chiedendoci sempre se quel fenomenale galleggiamento fosse un dono di natura o una truffa. Sport e patriottismo sono uguali ovunque nel mondo. Quest’estate anche nella algida Islanda sono tutti impazziti per la nazionale di calcio. Nella storia delle Olimpiadi non c’era finale di basket e di hockey fra Usa e Urss che non si trasformasse in una tauromachia della Guerra fredda. I vincitori tornavano a casa celebrati come astronauti: cosmonauti se erano sovietici. E non c’è luogo al mondo nel quale degli atleti o i loro allenatori non continuino a provarci col doping. Un paio d’anni fa i Carabinieri hanno scoperto un giro impressionante di anabolizzanti nelle gare strapaesane di ciclismo. Ma in Urss e satelliti era una pratica di sistema. Sembrava che fosse finita con la fine della Guerra fredda. Poi il crollo di vittorie della nuova Russia. Alle Olimpiadi invernali di Vancouver, del 2010, il Paese degli eroi sportivi conquistò solo tre medaglie d’oro e 15 in totale. Undicesima: un’umiliazione. E tutto sembra essere ripreso come quando c’era Breznev che era pazzo per l’hockey. Quattro anni dopo, a Sochi, 13 ori e 33 medaglie in tutto: prima la Russia. Le squadre sono sempre spinte dal tifo di casa, è statistica olimpica. Ma il carniere di Sochi era così sospetto che le prove che fosse stato rimesso in piedi un sistema malato, sono state trovate. Ora però il problema è un altro: è giusto escludere una intera nazione di atleti, frutto di una grande tradizione sportiva? Ha senso un’Olimpiade senza la Russia che è una protagonista, e lo sarebbe anche se non si drogasse nessuno dei suoi atleti? Alle Olimpiadi di Mosca del 1980 non partecipò l’Occidente a causa dell’invasione sovietica dell’Afghanistan; a quelle di Los Angeles dell’84 non partecipò il blocco comunista per ritorsione. Le sole cose che ricordiamo di quei giochi fu l’oro di Pietro Mennea a Mosca (per l’Italia cattocomunista l’importante era partecipare, sempre) e l’uomo col razzo sulla schiena, atterrato sullo stadio olimpico di Los Angeles. A Monaco 1972 ci fu il massacro degli atleti israeliani. A Montreal ’76 boicottarono gli africani perché l’Occidente non boicottava abbastanza il Sudafrica dell’apartheid. E anche allora non fu vera festa. Chi afferma che lo sport debba essere tenuto separato dalla politica, è un qualunquista. Dai tempi di Atene il primo è sempre stato uno strumento della seconda: a volte perfino il contrario. La Maratona è il frutto di un atto di guerra e i mondali di calcio in Argentina del 1976 li vinse soprattutto il generale Videla. Per le satrapie dell’Azerbaigian e del Kazakistan o per l’emiro del Qatar, organizzare manifestazioni sportive è politica estera. Ma in un mondo difficile e incomprensibile come quello di oggi, le autorità sportive di Ginevra dovrebbero evitare di essere così salomoniche e raggiungere invece una giustizia creativa: curare il cancro del doping senza uccidere il paziente di Rio al quale teniamo tutti. Di guerre fredde ne abbiamo abbastanza. Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 22/7/2016 *** MICHELE AINIS, LA REPUBBLICA 29/7 – Q UALE lezione ci impartisce lo scandalo del doping di Stato praticato dalla Russia? Che ciascuno di noi soggiace a un doppio ordinamento, nazionale ed internazionale; e che le regole dell’uno contraddicono le regole dell’altro. Adesso ne abbiamo ottenuto una riprova, così come sappiamo che i nostri destini dipendono assai poco dai comportamenti individuali. Conta di più la patria che ti ha dato i natali, anche se non hai potuto sceglierla. Conta la bandiera che ti sventola sul capo, conta il governo che la rappresenta in giro per il mondo, anche se magari quel governo non ti rappresenta. E allora cominciamo dai fatti, anzi dai misfatti. La vicenda sembra uscita dalla penna di John le Carré: morti sospette, l’ex direttore d’un laboratorio russo che fugge negli Usa, denunziando da lì un sistema di falsificazione dei test antidoping sugli atleti, con scambi notturni di provette, e sotto la copertura dei servizi segreti. Denunzia ribadita da una sportiva russa, anch’essa in fuga dal Paese, anch’essa maledetta dallo Zar per il suo tradimento. SEGUE A PAGINA 33 Vladimir Putin e Elena Isinbaeva DA QUI l’indagine d’una commissione indipendente, da qui la mannaia dei numeri: 312 atleti elencati uno per uno nelle 97 pagine del Report, 577 casi di doping che s’estendono dai Giochi invernali di Vancouver nel 2010 ai Mondiali di nuoto di Kazan nel 2015. Sicché, dopo una giostra d’appelli e di rimpalli, la pubblica accusa (incarnata dalla Wada: World Anti-Doping Agency) chiede il massimo della pena per la Federazione russa: l’esclusione dalle Olimpiadi di Rio del 2016. Il Consiglio della Iaaf (International Association of Athletics Federations) caccia tutta l’atletica russa, senza distinguere fra colpevoli e innocenti, la corte d’arbitrato (Tas: Tribunal Arbitral du Sport) conferma la sentenza; il giudice supremo (Cio: Comité International Olympique) salva gli altri sport. Dispensando clausole che suonano come altrettanti manrovesci ai principi //Al principio che impone il recupero sociale dei condannati, per esempio, giacché nessuna pena può mai essere eterna, e quando l’hai espiata torni un cittadino come gli altri; viceversa Rio resta vietata agli atleti russi che espongano anche un solo precedente di doping (compresa Yulia Stepanova, la “pentita”), e anche se abbiano già scontato la squalifica. Al principio d’eguaglianza, dal momento che la discriminazione vale soltanto per l’atletica russa, non per i pugili o i tennisti. Ma soprattutto questa decisione confligge con il principio di responsabilità, che è sempre individuale, nel senso che ciascuno risponde della propria condotta, non delle azioni altrui. Invece il centometrista russo no, lui paga per le colpe del suo Stato. Può mai esserci giustizia in questo provvedimento di giustizia? Dipende dai punti di vista. Sul Guardian (19 luglio) un editoriale afferma che senza pene esemplari verrebbe meno la credibilità delle Olimpiadi; mentre Jeanette Kwakye (22 luglio) aggiunge che le vittime innocenti non sono gli atleti russi esclusi, bensì i loro colleghi che in passato vennero esclusi dal podio in gare truccate dalla Russia. Ma sta di fatto che la legge del taglione s’abbatte, per esempio, su Elena Isinbaeva: 28 primati mondiali nel salto con l’asta, 34 anni, mai dopata, questa per lei era l’ultima occasione. Non ne avrà un’altra. Ecco, qui s’apre un punto decisivo. Quando la Juventus, nel 2006, fu retrocessa in serie B per frodi sportive commesse dai propri dirigenti, ogni calciatore ne ricevette un danno, benché incolpevole; tuttavia Ibrahimovic evitò la retrocessione traslocando all’Inter, Cannavaro al Real Madrid, Thuram al Barcellona. Ma in questo caso no, non è possibile. Non puoi dimetterti da russo, così come nessun cubano ha mai potuto dimettersi da Cuba, durante i lunghi anni dell’embargo: deciso dagli Stati Uniti per castigare Fidel, punì giocoforza pure gli oppositori di Fidel. E la spiegazione sta nel fatto che nel diritto interno sono soggetti i cittadini, sicché la responsabilità è sempre personale; nel diritto internazionale la soggettività spetta agli Stati, dunque la responsabilità è sempre impersonale. Insomma, siamo un po’ tutti vittime del caso. È il caso che ti fa nascere in Nigeria, dove la durata media della vita è la metà rispetto a chi ha avuto la ventura di venire al mondo in Australia, in Europa, in Giappone; o che ti mette in tasca un passaporto dello Zimbabwe, il cui reddito pro capite è 428 volte più basso in confronto a quello del Qatar. Sennonché il diritto — e soprattutto il diritto internazionale — dovrebbe avere funzione di riparare le ingiustizie, di ripristinare l’eguaglianza; invece rende il mondo ancora più ingiusto e diseguale. Morale della favola? Almeno in questo caso, è una favola immorale.