Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 25/7/2016, 25 luglio 2016
1976, LA SUPERCAZZOLA DIVORO’ LO SQUALO DI SPIELBERG
Il 2 giugno 1976, di mercoledì, la pagina spettacoli della cronaca fiorentina dell’Unità è densa di notizie e locandine di cinema. In una colonnina di piombo è riassunta una svolta rivoluzionaria nel costume italico: “Da oggi non si fuma al cinema”. Ancora: “Da oggi entra in vigore la legge che prescrive il divieto di fumo ‘nelle sale chiuse di spettacolo cinematografico’. Essa è stata approvata a maggioranza, con una larga opposizione nel Parlamento e nel Paese”. A proposito di costume, la pellicola Il comune senso del pudore viene propagandata così: “Il sesso, fino a oggi, è stato rappresentato in maniera morbosa e drammatica. Oggi Alberto Sordi (scritto a caratteri cubitali nella locandina, ndr) ci consente di riderci sopra”.
Ma nelle sale italiane è un altro il titolo che fa registrare storici record d’incasso. Un film che inizialmente doveva essere diretto dall’ideatore del soggetto, Pietro Germi, che però si ammala e muore. Al posto di Germi, la regia viene affidata a Mario Monicelli. Sulle locandine c’è gloria per entrambi: “La Cineriz, certa di fare cosa gradita agli spettatori che per primi hanno decretato il successo di Amici Miei, ha deciso di ripresentare, a Firenze, il capolavoro di Pietro Germi, diretto da Mario Monicelli, con l’aggiunta di alcune scene che, per ragioni tecniche, non erano state incluse nella prima edizione del film”. Il film ha anche superati gli occhiuti controlli dello Stato etico in senso democristiano. I produttori sono felici di spiegare che “la commissione di censura, che ha revisionato Amici Miei, ha stabilito all’unanimità che, in considerazione dell’alto valore artistico, il film è per tutti”.
Amici Miei è il film che ha consegnato a una imperitura memoria, diciamo pure eternità, concetti fondamentali quali la supercazzola e le zingarate. I primi Amici Miei sono cinque: il conte Mascetti (Ugo Tognazzi), l’architetto Melandri (Gaetano Moschini), il barista Necchi (Duilio Del Prete), il giornalista Perozzi (Philippe Noiret), infine il professore primario Sassaroli (Adolfo Celi). Il 25 giugno 1976 segna un primato clamoroso in materia di incassi: “Lo squalo battuto da Amici Miei”. Dalla cronaca de La Stampa: “Mario Monicelli con Amici Miei è il regista campione d’incasso della stagione 1975-’76. Il suo film ha battuto Lo squalo, il campionissimo del box-office americano”. Gli incassi vengono calcolati su sedici città definite “capozona”: Ancona, Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia. Amici Miei sfiora i tre miliardi di lire, con oltre 2 miliardi e 850mila lire. Lo squalo si ferma a 2 miliardi e 679 milioni. Il film di Monicelli supera i record già fissati dal Padrino e dall’Esorcista. Il 9 agosto il primato viene confermato e Amici Miei è anche la prima delle 228 pellicole italiane in circolazione. Tra queste ultime c’è Todo Modo di Elio Petri, che si prende una denuncia a Milano per il reato di vilipendio al capo del governo. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, ambientato in un monastero, dove si tengono gli esercizi spirituali per politici democristiani: “Secondo l’accusa in un personaggio sarebbe riconoscibile l’on. Aldo Moro. Il film rimarrà in circolazione fino a quando il sostituto procuratore della Repubblica dott. Alessandrini, incaricato dell’indagine, non lo avrà visionato. Se riconoscerà gli estremi del reato, il magistrato disporrà il sequestro della pellicola”. Emilio Alessandrini verrà ammazzato dai terroristi di Prima Linea nel gennaio 1979, meno di un anno dopo il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro.
L’estate del 1976 è anche l’estate della paura del grandioso Squalo di Steven Spielberg, uscito un anno prima negli Stati Uniti. Quando a settembre arriva I sopravvissuti delle Ande, che racconta la feroce vicenda di alcuni superstiti di un disastro aereo che si mangiano tra di loro, l’opinione è che “Fa meno paura dello Squalo il nuovo film sul cannibalismo”. Lo squalo è la saga dello sceriffo di Amity Martin Brody (Roy Scheider) che comincia la sua battaglia infinita contro il mare e contro un bestione bianco: un film che è l’incipit di un filone inesauribile. Anche se viene dall’America, questo non frena l’entusiasmo comunista dell’Unità: “Lo squalo è vincente non perché pompato commercialmente, ma perché è un film realizzato magistralmente, dove la tensione psicologica non è costruita con gli effettacci dell’Esorcista, ma sa cogliere l’inconscio latente delle platee”.
Scandito da una colonna sonora leggendaria, Lo squalo di Spielberg scatena reazioni di paura e di panico in parecchi cinema. Si verificano anche degli svenimenti in sala. Le compagnie di assicurazioni sottoscrivono le prime polizze per eventuali aggressioni in mare. La Squalomania è adrenalina pura, destinata a fare storia ovunque. L’epico inseguimento finale dell’Orca di Quint, con a bordo Brody e l’oceanografo Hooper, è l’epilogo di un film che sarà tra i primi dieci più visti di sempre, con più di 128 milioni di spettatori.
Nell’estate del 1976, le tv degli italiani, non ancora a colori, si possono al massimo sintonizzare su cinque canali in tutto: Rete uno e Rete due della Rai, la Televisione svizzera, Tele-Montecarlo e Capodistria. Il 20 giugno si tengono le elezioni politiche e Dc e Pci insieme conquistano oltre il 70 per cento dei voti, preludio al compromesso storico. Lunedì 21 giugno, a partire dalle due del pomeriggio, orario di chiusura dei seggi, Rete Uno e Rete due cominciano una maratona elettorale in collaborazione tra di loro, intervallata dalla visione di due film e serie di cartoni animati. Gli spettatori previsti sono trenta milioni. Al cinema, nonostante il gran duello tra Amici Miei e Lo squalo, la crisi fa perdere un po’ di spettatori. Per gli esperti la colpa è soprattutto dell’alto numero di pellicole a contenuto erotico e porno. Altra cosa rispetto alla supercazzola prematurata, con scappellamento a destra.