Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 25/7/2016, 25 luglio 2016
CHE NOIA LA STORIA DELLA PRIVACY, PER CAPIRE BISOGNA SAPERE TUTTO
Parliamoci chiaro: il motivo per cui leggiamo biografie è la speranza di trovarvi gli aspetti imbarazzanti o disgustosi delle vite dei grandi personaggi. Io voglio sapere che Napoleone (secondo Hippolyte Taine) era un egolatra narcisista che non faceva che lamentarsi per il caldo e rivolgeva parole spiacevoli alle signore durante i ricevimenti; che Paolo Uccello lasciò morire d’inedia una fanciulla in casa sua preferendole linee e curve; che Pontormo mangiava centinaia di uova e restava ore seduto a fissare un muro. Perché dovremmo stare attenti alla privacy, allora, davanti alla rivelazione di dettagli su ossessioni e abitudini sessuali di mostri sacri della storia del cinema? Di fronte all’uscita prevista per ottobre della biografia di Alfred Hitchcock firmata da Peter Ackroyd e anticipata dal Daily Mail, si stanno levando stucchevoli reprimende per occultare il cuore di tenebra del regista.
Ci si domanda se sia lesivo della sua immagine rivelare il dato sensibile che Hitchcock (e chi l’avrebbe mai detto) fosse sessualmente ossessionato dalle sue attrici, alle quali bisbigliava parole oscene sul set e delle quali pretendeva di controllare la vita erotica.
Un caso di coscienza a Hollywood si sollevò nel 2012 quando uscì libro Full Service: My Adventures in Hollywood and the Secret Sex Lives of the Stars, in cui Scotty Bowers, un ex marine poi benzinaio negli anni ’50, raccontava i vizi dei divi del cinema, nella cui cerchia si era intrufolato come procacciatore di servizi personalizzati. Dalla passione di Katharine Hepburn per le ragazze (150 fornite da Bowers), al debole di Charlie Chaplin per le minorenni, al masochismo di Mary Nolan e alla bisessualità di Marlene Dietrich: un mondo di squallori, delitti, scandali, in cui organi sessuali lacerati finiscono in vasetti che il governo cerca di occultare e le orge nelle stanze d’hotel di San Francisco sono un caso politico. È giusto, ci si domandò, entrare tra le lenzuola di chi non può smentire?
Sebbene sia indubbia una certa pruderie in queste operazioni, quell’imbarazzato sentimento di effrazione, quel brivido di pericolo e segreta emozione che proviamo è inestimabile.
Sapere che Hitler non aveva rapporti sessuali con Eva Braun, aveva disturbi alimentari e si faceva curare il meteorismo con iniezioni di derivati del letame, è imprescindibile per comprendere la sua personalità psicopatologica.
Ma che succede quando ad essere rivelati sono particolari scabrosi su qualcuno che idolatriamo?
Avremmo preferito non sapere che Nieztsche, come disse all’amico Paul Deussen, si trovò suo malgrado in un bordello di Colonia da cui scappò terrorizzato (mentre secondo una versione successiva di Nietzsche, riportata nella cartella clinica di Jena, vi contrasse la sifilide)? Meglio non sapere che anche solo a leggere La metamorfosi si compie una violazione della privacy di Kafka, che aveva intimato all’amico Max Brod di bruciare ogni pagina, lettera o biglietto che recasse la sua firma? Non so rispondere. Ma se Brod gli avesse dato retta, non avremmo Il processo né proveremmo il conturbante disagio che si ha quando K. parla nel Diario dell’attrazione per le gambe lisce di giovani bagnanti svedesi, o quando scrive, nel passo poi censurato da Brod: “Piccolo B., in tutta la sua innocenza un po’ offuscata dai miei fantasmi, [specialmente la sua gamba distesa con il calzino grigio arrotolato]… verso sera voleva andare a casa con me”.
È grazie alla mappa dei dati destinati al fuoco che il biografo Saul Friedländer può scrivere: “Le questioni sessuali furono la preoccupazione più ossessiva nella vita di Kafka”, e questo non è un dato sensibile, ma un’enorme rivelazione.
E dovremmo rinunciarvi per la privacy? Una legge (da noi, la n. 675 del ’96) che schiaccia la possibilità di gettare uno sguardo nelle cavità abissali della psiche degli esseri umani più complessi della Storia? K. non lo avrebbe approvato.
DANIELA RANIERI, il Fatto Quotidiano 25/7/2016