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 2016  luglio 25 Lunedì calendario

LA FESTA È FINITA, I COMPAGNI SE NE VANNO

“Le feste dell’Unità erano bellissime”. Lucio Dalla suonava spesso sui palchi montati dai compagni in giro per l’Italia: “Cantarci voleva dire stare in mezzo alla gente. Si respirava una grande libertà, in tutti i sensi: c’era la passione per la musica ma soprattutto per la società”. Nell’ultimo Pd renziano la passione per la società si è un po’ raffreddata, le feste dell’Unità sono diventate un pensiero marginale. Quella di Roma è scomparsa del tutto, per la prima volta da decenni. Un vuoto storico. Aveva resistito alla fine del Pci, alla fine del Pds, alla fine dei Ds e alla nascita del Pd; alla vittoria di Alemanno e persino a Mafia Capitale. Non è sopravvissuta, invece, all’ultimo rovescio elettorale. Potrebbe esserci – dice il commissario del partito Matteo Orfini – una kermesse a settembre. In tono minore, dalla durata ridotta, per lanciare la volata alla campagna per il sì al referendum costituzionale. Si vedrà. Di certo, per ora, c’è un buco grande così nel luglio romano.
LA LUNGA TRADIZIONE DI FALCE E TORTELLO
La liturgia di massa di Pci e eredi è un ricordo lontano ma non lontanissimo: tra il 1990 e il 2003 le presenze alle feste nazionali oscillavano tra i 2 e i 3 milioni di persone (il record furono i 3,5 milioni di Modena nel 1994), gli incassi attorno ai 10 miliardi di lire (addirittura 14 miliardi per la kermesse di Bologna nel 1998), gli utili erano a nove zeri. Una storia raccontata nel bel saggio di Anna Tonelli, Falce e tortello (Editori Laterza, 2012). Si apre con una citazione di Moravia: “I Festival de l’Unità hanno il vantaggio di combinare in sé tre idee base: quella della festa cattolica, quella del Soviet e quella del mercato”. Altri tempi, decisamente. In origine fu “la scampagnata di Mariano Comense” dal 1 al 3 settembre 1945, nella prima estate dell’Italia libera. Fu salutata dai titoli trionfali del giornale fondato da Gramsci: “il sereno bivacco” di 200 mila uomini e donne comuni. Poi iniziarono i grandi comizi: Palmiro Togliatti nel ‘48 al Foro Italico, due mesi dopo l’attentato di Pallante (sull’Unità a raccontarlo non c’era Rondolino, ma Gianni Rodari e Italo Calvino); Enrico Berlinguer al Villaggio Olimpico di Roma nel 1972. Anche nel primo anno senza Pci – Bologna 1991 – ad accogliere Achille Occhetto ci fu una folla oceanica e una manifestazione oversize: 116 stand, 23 ristoranti, 8.500 posti, 31 bar e punti ristoro, 15 spazi dibattito, aree tematiche per giovani, femministe, arcigay; un teatro di strada, cinema, biliardo, balera e discoteca.
Decenni di storia d’Italia da raccontare in un montaggio serrato: lasagne, fettuccine al cinghiale e porchetta; grandi concerti (da Vasco agli U2) e discussioni infinite; tombole e balli di gruppo.
L’ultima istantanea, almeno a Roma, è una partita di calcio balilla e quattro camicie bianche con le maniche arrotolate.
“SIAMO TUTTI COMMISSARIATI”
Quella sfida a biliardino la giocarono Renzi, Lotti, Orfini e Luciano Nobili (che poi è diventato il responsabile della non indimenticabile campagna elettorale di Roberto Giachetti). Per la cronaca, vinsero Renzi e Lotti. Era il 27 luglio 2015. Si stava per chiudere un’edizione malinconica, segnata dalle polemiche tra il premier e Ignazio Marino (silurato poco più tardi) e dalla bassa partecipazione. Condizionata pure dalla location insolitamente periferica, il Parco delle Valli sulla Nomentana.
Il declino è iniziato nel 2013 con l’abbandono delle Terme di Caracalla, dove si erano svolte tante feste di successo. Alcuni numeri delle vecchie kermesse: 1500 volontari per 40 giorni, a ruotare in turni da 350 persone a sera. “Le chiamate nei municipi e nei circoli per dare una mano iniziavano mesi prima – ricorda uno dei dirigenti del Pd pre-commissariamento –. Si faceva tutto insieme. L’ex V municipio gestiva la bisteccheria, l’ex XII si occupava del ristorante biologico insieme alla cooperativa agricola. Le entrate economiche erano assicurate”. Perché ora si smette? “Prima c’erano un partito e una struttura; un gruppo dirigente che stava lì 40 giorni consecutivi, 24 ore su 24. Ogni anno col lavoro si perdevano 5 o 6 chili. Adesso a Roma c’è solo un commissario. Una festa di quelle dimensioni non è ripetibile. C’è un clima di rassegnazione e sconfitta. Si rischia un flop e si buttano soldi”.
Tra volontari e militanti l’umore è simile. Giulia Urso è la segretaria della sezione Giubbonari, appena eletta in primo municipio: “Ora non mi pare ci sia ‘la testa’ per organizzarla. A Roma siamo un po’ allo sfascio. Difficile chiedere ai militanti di mettersi al servizio. Forse è finita un’epoca. C’è molta stanchezza, magari se saltiamo un giro ci torna la voglia”. Possibile che Orfini la allestisca a settembre? “Mi pare difficile, noi non sappiamo nulla”.
Non sa nulla nemmeno Federico Spanicciati, segretario del circolo di Donna Olimpia (uno dei più critici col commissario): “Non c’è alcuna comunicazione, né formale né informale. Secondo me proveranno a farla lo stesso. Durerà un week end, al massimo una settimana. La faranno senza i militanti e prenderanno forza lavoro all’esterno, retribuita. Ci metteranno l’emblema del Pd e la spacceranno per festa dell’Unità, per dare forza alla campagna referendaria”. L’unica manifestazione del Pd a Roma si è svolta ad Ostia, il municipio sciolto per mafia. L’ha messa in piedi il giovane Giovanni Zannola (primo dei non eletti dem in Campidoglio). Due settimane, cento volontari e una reazione d’orgoglio al ceffone elettorale: “Da noi è andata bene, a Roma evidentemente non ci sono le risorse, né i tempi. Se tutto funziona, la festa dell’Unità porta soldi. Se va male, se ne perdono tanti”.
BOLOGNA, MILANO E LE ALTRE
La festa di Roma è “morta”, le altre non si sentono tanto bene. Da due anni lo storico organizzatore Lino Paganelli (che preferisce non parlarne più) è stato sostituito dalla responsabile eventi del Pd, Barbara Ceruleo. Le abbiamo chiesto le cifre di presenze e incassi del 2015, ma siamo stati indirizzati alla responsabile della Comunicazione, Alessia Rotta. La quale a sua volta ci rimanda al tesoriere, Francesco Bonifazi. Che non dice nulla, ma almeno è lapidario: “Impossibile avere numeri a livello nazionale”. Per farsi un’idea non resta che il lavoro d’archivio su giornali e siti.
Huffington Post, 29 agosto 2015: “Festa dell’Unità, quella nazionale di Milano è una delle più piccole di sempre”. “Più piccola – si legge – di molte festine di quartiere di Bologna”. Repubblica, 1 aprile 2016, “Bologna, fine di un’era: dopo 40 anni la Festa dell’Unità lascia il Parco Nord”, “il cambio per motivi economici: troppo oneroso il canone d’affitto”. Dopo un paio di settimane l’emergenza è rientrata: la società che gestisce l’area ha negoziato col Pd un prezzo più abbordabile.
L’Emilia resta comunque l’unica regione dove il partito conserva una certa vivacità sul territorio. Alberto Aitini è uno dei responsabili del Pd bolognese: “Qui facciamo ancora ottimi numeri, le feste da sole valgono il 60 per cento del bilancio provinciale. Certo, è una tradizione della città più che del partito: ci viene chiunque, anche lontano dalla sinistra. E abbiamo puntato su attrazioni diverse”. Alcune sono quelle raccontate da Repubblica il 2 settembre 2015: “Il Pd è senza soldi: ora alla Festa dell’Unità si paga anche la mazurka”, “Cene ‘deluxe’ da 45 euro, chef stellati, ticket per ballare il liscio, biglietti per il parcheggio e la ruota panoramica: la kermesse democratica al tempo della crisi”.
di Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 25/7/2016