varie, 25 luglio 2016
DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 25 LUGLIO 2016
Gisella Purpura, 41 anni. Qualche guaio giudiziario alle spalle, da tempo era seguita dai servizi sociali, i suoi due figli più grandi erano stati affidati a una comunità (per riaverli si era incatenata davanti al tribunale dei minori di Torino), il più piccolo stava dai nonni. S’era sposata con un tunisino di 28 anni e con lui abitava in una casa assegnata dal Comune. Le liti erano molto frequenti e che lui la picchiasse lo sapevano tutti, ma non voleva lasciarlo. Qualche giorno fa furono visti per strada, accanto alla stazione dei bus, già alterati e in piena litigata, con lui che camminava davanti e lei che lo inseguiva, come tante altre volte. Rientrarono in casa ma non si placarono, anzi l’uomo prese un coltello e glielo piantò nei polmoni. La Purpura scese in strada con le ultime forze per chiedere aiuto. Morì in una pozza di sangue sull’asfalto. Lui lo trovarono nell’appartamento e quando lo portarono via, nell’auto dei carabinieri, si mostrò sorridente.
Pomeriggio di venerdì 22 luglio, in corso Cavour a Novara.
Giulia Stavila, 4 mesi. Figlioletta di Mariana Golovataia, 30 anni, casalinga, e Ghenadie Stavila, 30 anni, ingegnere impiegato per una società del gruppo Eni. Un fratello di 5 anni. I genitori erano originari della Moldavia e abitavano ormai da anni in Italia. Per tutti i vicini erano una bella famiglia, stimata e integrata. Alla nascita di Giulia, però, Mariana Golovataia era caduta in depressione. Qualche giorno fa, mentre il marito era al lavoro, chiuse il figlio maschio in camera, prese Giulia e la annegò nella vasca, poi mandò giù una scatola di psicofarmaci con l’intento di uccidersi. Ghenadie Stavila, al ritorno dal lavoro, dovette sfondare la porta per entrare in casa, dove trovò la moglie svenuta ma ancora viva.
Pomeriggio di mercoledì 20 luglio, in un bell’appartamento al civico 85 di corso Giuseppe Garibaldi, Orte Scalo, provincia di Viterbo.
Loretta Gisotti, 54 anni. Estetista, esperta di trucco, sposata da più di dieci anni con Roberto Scapolo, 48 anni, rappresentante di commercio nel settore ottica, un uomo giudicato da tutti calmo e paziente. Non avevano figli e vivevano in una bella casa, con un grande giardino in cui si prendevano cura degli amati cani: un bastardino e un dobermann. La Gisotti nella coppia era quella che comandava: brava sul lavoro, determinata, mal sopportava che il marito fosse, a suo dire, sempre così disordinato. Una mattina presto si stavano preparando per partire per le vacanze. L’uomo finì di sistemare le valigie in macchina, ma la moglie s’innervosì per il modo in cui aveva posizionato i bagagli. Rientrati in soggiorno, lo accusò di essere, come al solito, impreciso. Come mai aveva fatto prima, Scapolo perse il lume della ragione: afferrò un martello e lo diede in testa alla moglie per tre volte, poi la prese per il collo e la strangolò. Quindi salì in macchina e andò a presentarsi alla caserma dei carabinieri, ai quali spiegò tutto, con calma.
Alle cinque e quarantacinque di sabato 16 luglio, in una casa di Laveno Mombello, provincia di Varese.
Maria Licari, 70 anni. Da anni si prendeva la quotidiana razione di botte che le somministrava il marito, Giovanni Baiada, 80 anni, meccanico in pensione. I motivi erano sempre diversi: una volta i soldi per la spesa, un’altra la pasta che non piaceva e così via. Anche l’altro giorno decise di percuoterla, chissà perché, con un soprammobile. Smise solo quando la vide morta, poi diede una pulita a tutte le tracce di sangue e uscì per andare al bar a prendere il caffè con gli amici. Al ritorno mise in scena la sorpresa: chiamò i carabinieri e disse che sua moglie era caduta e morta. Con un semplice controllo al luminol venne fuori la verità, confortata dalle parole dei figli che raccontarono per la prima volta la vita della loro madre fatta di botte.
Mattina di venerdì 15 luglio, a Carini (Palermo).
Giuseppe Del Prete, 52 anni. Operaio metalmeccanico nato in Sicilia ma cresciuto nel quartiere Vallette di Torino. Un po’ di sere fa si ritrovò tra amici a bere qualcosa. Tra uno scherzo e l’altro, cominciò a discutere con Michele Renda, 52 anni anche lui, ex guardia giurata. Con la birra ancora sul bancone, non si capisce bene cosa sia scattato tra i due che si conoscevano da una vita, fatto sta che presero a insultarsi. Poi Del Prete, con fare bonario, come era suo solito, gli diede un buffetto leggero sul viso, come segno di riavvicinamento. Davanti agli altri amici fecero la pace, si strinsero la mano, ma tutti notarono che il Renda era comunque rimasto male per le parole di prima. Forse non sopportando di essere stato offeso davanti a tutti i compagni del quartiere, andò a casa, prese la sua vecchia Beretta, tornò al bar e sparò all’amico. Un colpo solo, in pieno petto, da vicino. Quando arrivarono i carabinieri Renda non si era mosso da lì, con l’arma ancora in mano.
Poco prima delle 23 di venerdì 8 luglio, alla Bottiglieria Max di via Altessano 8, quartiere Lucento, Torino.