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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

Due immagini di volti affiancati: una è la foto di una persona in carne e ossa, l’altra il suo aspetto generato al computer a partire solo dalle informazioni contenute nel suo Dna

Due immagini di volti affiancati: una è la foto di una persona in carne e ossa, l’altra il suo aspetto generato al computer a partire solo dalle informazioni contenute nel suo Dna. Non sono identiche, ma si somigliano tantissimo. Una ricostruzione resa possibile dai dati contenuti in una sola goccia di sangue. Craig Venter, il poliedrico scienziato e imprenditore che con la sua squadra si mise in concorrenza con i grandi consorzi americani e inglesi per sequenziare i tre miliardi di lettere del genoma umano, dice che è già possibile farlo: è uno dei primi risultati presentati pubblicamente dalla sua nuova compagnia, la Human Longevity Inc. Nel fisico. I dettagli su come questo identikit genomico sia stato realizzato non sono ancora disponibili (l’articolo è in corso di pubblicazione), ma Riccardo Sabatini, uno scienziato italiano che lavora alla Human Longevity, spiega che il modello si basa su un grande database di circa 30mila genomi abbinati alle caratteristiche fisiche (i cosiddetti “dati fenotipici”) dei rispettivi proprietari: età, peso, altezza, indice di massa corporea, ai quali è stata affiancata l’immagine tridimensionale delle facce. Imparando dagli abbinamenti disponibili per i casi noti, l’algoritmo ora genera volti a partire dai dati del genoma. A questi tentativi di ricostruzione del volto basati sul Dna stanno lavorando diverse altre aziende e centri di ricerca. Finora gli studi si sono dimostrati promettenti, ma non ancora molto affidabili. Perfino il colore degli occhi, uno dei tratti più facilmente analizzabili, è prevedibile con una probabilità non superiore all’80 per cento. Dedurre il colore della pelle dal Dna è invece abbastanza facile, determinare la statura meno. Mentre dire qual è la forma del viso, della bocca o del naso, o la distanza tra gli occhi è possibile solo con molta approssimazione. Non è la prima volta che Venter enfatizza i suoi risultati, facendo intendere che applicazioni di là da venire siano già cosa fatta. Ma spesso le sue visioni hanno tracciato la strada, e quel che a uno sguardo attento sembrava esagerazione nel momento dell’annuncio è poi divenuto realtà. In ogni caso l’identikit sembra più che altro una dimostrazione di principio delle possibilità offerte dall’analisi su larga scala e “in parallelo” del Dna. SONO A RISCHIO? La sfida colossale a cui si lavora è maneggiare la complessità del genoma, il cui studio finora ha portato importanti conoscenze teoriche ma poche informazioni di utilità pratica per i malati. Per esempio, far emergere previsioni dettagliate sulla salute e il destino genetico di una persona. Oppure ottenere informazioni che possano dire chi, possedendo un certo gene “rischioso”, davvero svilupperà il cancro e chi non lo avrà perché è protetto da altri fattori (magari sequenze genetiche oggi sconosciute) contenuti nel suo patrimonio. Riuscire a schivare potenziali malattie, ovviamente quelle per cui la prevenzione funziona, teoricamente aumenterebbe la possibilità di campare fino a tarda età. Mentre finora si procedeva associando un gene alla volta al suo potenziale effetto, oggi la sfida è diventata far emergere le interconnessioni - cioè il modo in cui le istruzioni contenute nei geni si intrecciano tra loro - e la miriade di altri comandi nascosti nel Dna. «Venter ha avuto l’intuizione di andare a cercare non nella parte codificante del genoma, che costituisce non più dell’1,5% dell’intero patrimonio genetico, ma nell’80% di Dna che una volta veniva chiamato “Dna spazzatura” e che, ora si sa, svolge funzioni importantissime, anche se ancora in gran parte da decifrare», spiega Massimo Delledonne, docente di genetica all’Università di Verona. Tutto ciò è diventato possibile perché solo da pochissimo tempo sono disponibili macchine che fanno il lavoro di sequenziamento a grande velocità e a prezzi contenuti. Per leggere il primo genoma ci sono voluti due anni e 100 milioni di dollari. Oggi ne bastano meno di mille, e un quarto d’ora. Di queste macchine, grandi all’incirca come un frigorifero, Venter ne ha ammassate 24 nei laboratori della Human Longevity a La Jolla, in California: sequenziano 650-700 genomi a settimana, e 20mila sono stati già archiviati, ma l’obiettivo è arrivare a un milione entro il 2020. BIG DATA. Da questa mole enorme di dati devono poi essere estratte le informazioni significative e quelle utili. Per farlo, Venter ha messo insieme una squadra costituita di persone con competenze diverse: genetisti, bioinformatici, ingegneri, medici, esperti di scienze forensi e data scientist (esperti nell’analisi di dati). È in questa veste per esempio che Sabatini si è trovato a lavorare con lui. «I dati maneggiati appartengono a due mondi diversi, quello della sequenza dei genomi, e quello delle informazioni sulle persone, il loro aspetto fisico, la loro salute», spiega. «Per metterle in relazione si usa il machine learning, una tecnica che permette a un computer di scoprire il codice di traduzione tra questi due mondi, dal genoma al fenotipo, cioè a come una persona “è fatta”». Una volta che il modello è messo a punto, si può predire un particolare fenotipo - che sia il colore della pelle o la possibilità di ammalarsi di un certo cancro o di Alzheimer - solo a partire dai dati genetici. PROBLEMI DI INTERPRETAZIONE. Ma non è detto che la previsione sia semplice, e neppure immediata. Ne sa qualcosa Delledonne, che come Craig Venter ha sequenziato il suo intero genoma “per prova” nel 2011, al momento di mettere in piedi la Personal Genomics, prima azienda italiana a offrire direttamente ai consumatori test genetici. Tra molte altre informazioni rassicuranti ha trovato la brutta notizia di avere un gene raro associato alla morte improvvisa. Il suo elettrocardiogramma aveva inizialmente confermato le anomalie del ritmo tipicamente legate a un alto rischio di arresto cardiaco, che la lettura di un cardiologo più attento ha invece poi, tre anni dopo, escluso. Un caso tipico in cui alla variante genetica ritenuta “pericolosa” non corrisponde il fenotipo atteso (in questo caso la malattia). Di recente, uno studio che ha analizzato il genoma di quasi 600mila persone ha evidenziato che perfino per le malattie, come la fibrosi cistica, in cui si riteneva altri centri in varie parti del mondo. La compagnia, per esempio, ha appena realizzato un accordo con la multinazionale farmaceutica AstraZeneca, che le ha messo a disposizione i dati genetici di 500mila partecipanti agli studi clinici sui farmaci, e che a sua volta potrà accedere ai database di Venter. PREVENZIONE PER VIP. Per far emergere dalla complessità del genoma informazioni utili non basta però avere i dati sul Dna: sono essenziali le descrizioni dettagliate della salute delle persone cui quel Dna appartiene, cartelle e dati clinici. Proprio quello che è più difficile ottenere, motivo per cui aziende che nel corso del tempo hanno accumulato dati genetici, abbinati a informazioni cliniche, li rivendono a caro prezzo. Esistono però anche iniziative pubbliche, senza scopi commerciali, come il “100.000 Genomes Project” portato avanti dal sistema sanitario inglese, che si propone di sequenziare il genoma di 100mila persone malate di cancro o con malattie rare, o quello americano che dovrebbe fare lo stesso con un milione di pazienti, per mettere poi a disposizione pubblicamente i dati. C’è anche chi è disposto a pagare salato (25mila dollari) nella speranza di essere tra i primi a beneficiare di tutto questo sforzo. Sono i sottoscrittori (atleti, imprenditori, manager) dell’Health Nucleus, il programma di prevenzione di alto livello proposto da Human Longevity. Oltre al sequenziamento del Dna, chi entra nel programma viene sottoposto a risonanza magnetica del corpo e del cervello, ecocardiogramma, minuziose analisi del sangue (2.400 sostanze chimiche misurate). Tutte le informazioni acquisite da questo check-up accurato, insieme al sequenziamento del Dna, rese anonime, vanno a finire anch’esse nel database. Servono come controllo, per vedere se a certe istruzioni genetiche corrispondono un certo aspetto fisico o un certo grado di salute. E a dare consigli e cure personalizzate per la prevenzione ai partecipanti al programma. Che cosa ha a che fare tutto questo con la longevità? Poco in concreto. Molto in prospettiva. Chi arriva alla vecchiaia avanzata potrebbe avere geni che semplicemente gli consentono di non morire dei malanni che si portano via la maggior parte degli altri. Trovare quelli sarebbe come trovate la chiave per intervenire per tempo sul destino genetico, e quindi prolungare la vita, di tutti noi. © Chiara Palmerini