Eduardo Di Blasi, il Fatto Quotidiano 22/7/2016, 22 luglio 2016
METRO C, C’È UN CASTRUM ROMANO NELLA STAZIONE
L’ultimo guaio della Metro C di Roma è affiorato nell’ottobre del 2015. Un muretto di epoca romana, poi datato all’era dell’imperatore Adriano. Un pezzetto di opus reticolatum tipico in città nei due secoli a cavallo della nascita di Cristo, sporgeva proprio nel perimetro dove si stava scavando la stazione di Amba Aradam, mediana tra San Giovanni e il Colosseo.
I saggi di scavo, condotti per l’intera tratta solo in questo posto e nell’area prossima all’Anfiteatro Flavio (circostanza che fece inorridire Raffaele Cantone che ne denunciò lo scandalo nella nota relazione Anac di condanna dell’intero appalto ferroviario), nulla avevano rilevato.
E neppure le ricerche bibliografiche avevano colto che là, tra il I e il II secolo, accanto a un corso d’acqua, c’era un acquartieramento di soldati romani, poi abbandonato quando, nel III secolo, con la costruzione delle Mura Aureliane, non parve conveniente lasciare ai nemici un castrum giusto fuori la città fortificata. Così furono portati via mosaici di pregio e fistole di bronzo. Furono rasati i muri. Con il materiale di risulta degli abbattimenti, infine, l’accampamento fu inabissato.
Fatto sta che nell’aprile del 2016, sotto la guida della Sovrintendenza dell’Area Archeologica di Roma, rappresentata nel cantiere dall’archeologa Rossella Rea, a nove metri di profondità, in quello che doveva essere l’atrio della stazione di Amba Aradam, ci sono 39 stanze di epoca romana. Il castrum, sopravvissuto alla storia, occupa metà della stazione.
E l’effetto è straniante: a sinistra c’è la struttura della metropolitana, a destra un pezzo di storia di un qualche sicuro valore. Il destino del castrum, spiega Rea, è quello di essere restaurato, quindi preso, spostato altrove e infine ricostruito pressoché nello stesso posto dove è stato trovato quando la stazione sarà terminata. Il soprintendente Francesco Prosperetti va anche più in là immaginando che chi entri in quella stazione dovrà trovare subito le incredibili vestigia, tanto che l’ingresso “andrebbe spostato di fronte”.
La questione, che non sfugge ai presenti, è che costi e tempo sono i due grandi nemici di Metro C. E certo bisogna dire che se 9 delle 41 varianti messe nel mirino da Cantone avevano motivazioni “archeologiche”, queste hanno pesato sulle casse per poco più di 8 milioni sui 315 complessivi.
Appaltata per 2,5 miliardi per ricucire la Capitale dalla periferia Sud-Est di Pantano al tribunale di piazzale Clodio, però, l’opera ha già bruciato per intero quella cifra per fare nel doppio del tempo poco più della metà del percorso. L’ingegner Andrea Sciotti, che per Roma Metropolitane, società del Campidoglio, è responsabile dell’appalto affidato alle aziende costruttrici (Astaldi, Vianini Lavori, Ansaldo STS, Cmb e Ccc), ci tiene a chiarire che quando si arriverà al Colosseo “saranno state fatte 24 fermate” e per allora il costo complessivo dell’opera “sarà di 3 miliardi”.
Quando ciò succederà saremo comunque nel 2021 (l’intera opera doveva essere completata quest’anno). Ma non è questo il problema. A quel punto, infatti, “resteranno 700 milioni per la tratta dal Colosseo a piazzale Clodio”. Che detto così potrebbe sembrare uno scherzo visto che è il percorso centrale, quello dentro la città consolidata, a nascondere maggiori insidie. È che proprio i soldi non ci sono. E allora il timore è quello che il Comune di Virginia Raggi decida che basti così. “Se la linea arrivasse al Colosseo – argomenta Sciotti – avrebbe un traffico decisamente minore dei 25 mila passeggeri/ora previsti all’inizio”. Fu proprio per sopportare quel traffico che fu immaginata questa “metropolitana pesante”, spiega. E pare un altro rimpianto.
di Eduardo Di Blasi, il Fatto Quotidiano 22/7/2016