Wanda Marra, il Fatto Quotidiano 22/7/2016, 22 luglio 2016
GRASSO SMONTA IL REFERENDUM: “NON È IL GIUDIZIO UNIVERSALE”
Non esiste solo la domenica del referendum, ma anche il lunedì. Il presidente del Senato Pietro Grasso ce l’ha chiarissimo quando, durante la cerimonia del Ventaglio – il saluto alla stampa parlamentare prima della pausa estiva – fa un discorso durissimo. Il destinatario è il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, anche se non lo nomina mai: “La rappresentazione del prossimo referendum come il giudizio universale è inopportuna, irrealistica e fuorviante, tanto quando si vuole dimostrare che questa riforma sarà la panacea di tutti i mali, così come quando si prospetta la fine della democrazia se la riforma verrà approvata o la catastrofe se verrà respinta”.
Grasso si presenta come l’uomo delle istituzioni, pronto a pensare al Paese. Tanto è vero che nel suo discorso già parla degli scenari del dopo. Se vince il Sì, dice, all’indomani il Senato si dovrà occupare sia della legge per eleggere i futuri senatori, sia dei regolamenti parlamentari per la configurazione dei gruppi. Perché, se questi dovranno essere a vocazione territoriale, bisognerà cambiare le regole, visto che ora sono su base partitica.
Ma c’è anche la possibilità che vinca il No. E chissà che a quel punto le istituzioni non possa servirle in altro modo, da Palazzo Chigi: se si dovesse arrivare a un governo di scopo solo per fare la legge elettorale, il presidente del Senato è il candidato in pole position. Perché è la seconda carica dello Stato, e dunque lo è in maniera naturale. E perché per Matteo Renzi (che comunque vada resterà segretario del Pd) Grasso sarebbe il modo migliore per scongiurare un governo “politico” di più lunga durata, magari guidato dal ministro Pier Carlo Padoan e sostenuto dalla “cordata” che fa capo a Dario Franceschini.
Il Colle legge i movimenti di Grasso anche come un’autocandidatura. Ma nello stesso tempo pensa che il presidente del Senato possa avere il profilo adatto per un governo di scopo. Scenari futuribili. Per quelli attuali, Grasso dice la sua dopo mesi di silenzio. Tanto è vero che l’ultima intervista l’ha fatta a gennaio, a La Stampa, già evidenziando i rischi di personalizzare la consultazione.
Perché questo lungo silenzio? Lo stesso Grasso, nella parte più informale della conversazione, lo motiva così: “Se fossi un parlamentare puro, potrei parlare…”. Una frase che lascia intendere che la critica alla riforma del Senato è più radicale di quanto dica esplicitamente. Tanto è vero che tra i referendum citati nel suo discorso, c’è anche quello del 2013 in Irlanda, che ha respinto la proposta di abolizione del Senato. E poi, concludendo, non a caso parla del bilancio di Palazzo Madama: “Per la prima volta le spese sono scese sotto i 500 milioni di euro; in questa legislatura abbiamo risparmiato 152 milioni di euro”.
Ma soprattutto, “l’incidenza del costo del Senato sul totale della spesa statale è scesa allo 0,06% del totale”. Come dire, altro che i proclami di Renzi&C. sugli importantissimi risparmi che il ridimensionamento della Camera alta consentirebbe. Il dissenso suona radicale. E d’altra parte, prima ancora che il testo venisse presentato, il presidente del Senato aveva criticato il progetto di riforma in itinere: “Con un ampio premio di maggioranza e una sola Camera politica, il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta”, diceva in un’intervista a Repubblica il 21 marzo 2014 (uscita in contemporanea con una sull’Unità).
Affermazioni che mandarono su tutte le furie Renzi. Tanto è vero che i rapporti tra i due sono stati estremamente conflittuali per tutto il cammino parlamentare della riforma, nonostante alla fine il presidente del Senato non sia riuscito ad arginare i diktat del premier, a cominciare dai canguri taglia emendamenti.
Le critiche di Grasso non si limitano alla gestione del referendum. “Su molti disegni di legge si lamenta un ritardo indiscutibile, che però non va imputato esclusivamente al sistema bicamerale: nella maggior parte dei casi a rallentare l’iter legislativo è la mancanza degli accordi politici necessari per poter approvare le leggi”, dice Grasso facendo esplicito riferimento alla prescrizione e alle intercettazioni, che sono ferme in Senato da oltre un anno.
La riforma della giustizia penale, secondo Grasso, è necessaria. “Per questo considererei una colpa grave della politica non riuscire a chiudere in Senato entro la pausa estiva i lavori sul testo”, chiarisce. Palazzo Madama chiude per ferie il 5 agosto. Tra l’altro, è proprio di questa settimana lo stop – per mancati accordi – alla legge sul reato di tortura. A proposito di colpe della politica.
di Wanda Marra, il Fatto Quotidiano 22/7/2016