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 2016  luglio 20 Mercoledì calendario

L’ATTENTATO A NIZZA

Nizza (Francia), luglio
Paolo Occhipinti, storico direttore di Oggi, ha visto e vissuto tutto e non ha voglia di tornare sulla Promenade des Anglais. «Quel che ho visto mi è bastato», racconta. La sera del 14 luglio era con la moglie Paola nella sua casa sul lungomare di Nizza. «Abbiamo sentito forte il rumore di un botto», continua, «e in un primo momento abbiamo pensato a un incidente. Ma subito dopo sono arrivate le urla della gente. Doveva essere qualcosa di grosso, ma non capivamo cosa. E abbiamo deciso di scendere in strada a vedere». Siamo a circa 500 metri dal punto in cui Mohamed Lahouaiej Bouhlel ha lanciato il camion sulla Promenade. A questa altezza non ha ancora incontrato ostacoli e in una corsa folle ha potuto travolgere tutto e tutti, lasciando dietro di sé una scia di sangue. «Ci siamo trovati davanti a un massacro», riprende Occhipinti, «saranno stati sei, sette corpi maciullati, sangue dappertutto, gente che urlava, che piangeva, che scappava ovunque, cercava di infilarsi nelle case o nei locali. Intano la corsa del kamikaze si era fermata. Si sentivano degli spari. Sono arrivate le prime ambulanze. Gli infermieri correvano dappertutto, cercavano i feriti. I corpi davanti a noi erano così conciati che gli sono passati accanto senza nemmeno fermarsi. Non si capiva niente. C’era chi parlava di un pazzo su un camion. Chi di terrorismo. La polizia ci ha fatti rientrare a casa, ma è passato un po’ di tempo prima che tv e siti Internet spiegassero cos’era successo».
RIAPRE IL LUNGOMARE
I poliziotti tagliano i nastri e rimuovono le transenne. La Promenade des Anglais riapre alle 2 di notte di sabato 16 luglio. È un’infinita corsia di sangue. Ce n’è ovunque. È a gocce, a macchie, a pozze, a schizzi, s’irradia a forma di stella o è una scia scura che si allunga per decine di metri sull’asfalto. È un alfabeto di sangue in cui si riconoscono i corpi schiacciati, quelli trascinati via o il disperato tentativo dei feriti di allontanarsi e mettersi al sicuro. E là dove il sangue è troppo, i morti.
In una notte d’estate il silenzio degli uomini è una cappa che nemmeno il mare o il canto lamentoso dei gabbiani riescono a spezzare. La gente cammina, non stacca gli occhi dal suolo e non parla come se stesse ascoltando le voci che salgono da terra. Da quei segni ancora freschi che impressi su uno dei luoghi più ameni del mondo, sono già diventati la nostra Guernica. E come e più di un quadro, di un video o una foto, sono la rappresentazione dell’orrore di un’epoca.
La Promenade è come una colossale scena del delitto. Come Cogne, Garlasco o Perugia all’ennesima potenza, ma senza il mistero del giallo. La verità, nella sua assurda banalità, è scritta in una sequenza di fotogrammi mossi e sfuocati di giovedì 14 luglio, festa nazionale francese, ore 22.40. Un kamikaze, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, 31 anni, di origine tunisina. Un camion da 200 quintali lanciato a 90 all’ora tra la folla. Ottantaquattro morti e 205 feriti in meno di un minuto. Quasi due morti e cinque feriti al secondo. Trentamila persone nel panico. Migliaia di amici e familiari distrutti dal dolore. Centinaia di milioni, forse miliardi di persone, che da Parigi, a Bruxelles, da Dacca e a Nizza, scoprono ogni volta di essere sempre più indifese e insicure. Esposte alla minaccia con protezione zero.
TANTISSIMI ITALIANI
A Nizza gli italiani sono sempre tanti. Sul lungomare per i fuochi d’artificio del 14 luglio, erano tantissimi. Dopo 24 ore i connazionali dispersi erano 31. Dopo 48 ore sono scesi a cinque. Si teme che non scendano più. Tra i feriti gravi Andrea Avagnina, 53 anni, consigliere comunale di S.Michele di Mondovì (Cuneo), e Gaetano Moscato, pensionato di Ivrea in vacanza a Nizza, che ha salvato due nipoti spingendoli via ma è stato travolto dal camion bianco e ha dovuto subire l’amputazione della gamba. Sul fronte dei soccorsi, due italiani in prima linea: Antonio Iannelli, chirurgo del Centre Hospitalier Universitaire di Nizza e Federico Solla, chirurgo ortopedico all’ospedale pediatrico Fondation Lenval, dove sono stati curati i 54 bambini feriti: «Due di loro», dice il medico, «non ce l’hanno fatta».
ACQUA BENEDETTA
«Sarebbe potuta andare anche peggio», dice Nicola Fratini, originario di Salsomaggiore e proprietario del Pinocchio, una gelateria sulla Promenade, che la sera del 14 è stata presa d’assalto dalla folla in preda al terrore. «L’altra notte tirava vento, faceva freddo e quando sono finiti i fuochi è caduta una pioggerella leggera. Poche gocce, però provvidenziali. Hanno convinto tanta gente a rientrare a casa prima del tempo. Un attimo prima che scoppiasse l’inferno». È vero. Lo ripetono decine di italiani. Annamaria Valenti e il marito Nino Palermo di Cinisello Balsamo. Nicola Zitolo e la moglie Maria Luisa Lamperti di Bresso. Rivoria Egidio di Cuneo e il suo gruppo di amici. Il bolognese Geraldo Roditi che non è nemmeno uscito di casa e la moglie Ornella Glarey che invece non ha voluto perdersi i fuochi, ma è riuscita a infilarsi in una viuzza a lato dell’hotel Negresco, mentre alle sue spalle il camion spazzava via tutto quello che incontrava. Tutti salvi per due gocce. «Acqua benedetta», dice Lucia di Saronno, tornata sulla Promenade spingendo la carrozzina con la nipotina di due anni.
SFUGGITO AGLI 007
Ma acqua benedetta a parte, non era una tragedia che si sarebbe potuta evitare? Gli inquirenti francesi hanno subito precisato che Mohamed Lahouaiej Bouhlel, aveva precedenti per reati comuni, ma non era segnalato negli elenchi dei soggetti vicini al fondamentalismo islamico. È una dichiarazione che in modo indiretto è rivelatrice di precise modalità operative. Fa capire che lo schema difensivo è basato più sulla prevenzione e sul lavoro d’intelligence che non sulle misure di sicurezza finali.
«È vero», dice un agente italiano attivo sulla zona di confine con la Francia, «la partita è giocata essenzialmente dagli 007, per identificare le cellule jihadiste, seguire i loro movimenti e impedire che entrino in azione. Non c’è altra scelta. Gli obiettivi sono potenzialmente infiniti ed è impossibile metterli tutti in sicurezza. Il problema sono i lupi solitari, i folli, i disperati, i depressi che in tempi molto rapidi possono abbracciare un piano di distruzione e morte come quelli proposti dallo Stato islamico».
LIBERO DI AGIRE
Per un evento come il 14 luglio, tra parate e fuochi d’artificio, con 30 mila persone in strada, era forse però lecito aspettarsi qualche misura di sicurezza in più. Mohamed Lahouaiej Bouhlel, nonostante i precedenti penali ha fatto tutto quello che ha voluto, senza attirare su di sé il minimo sospetto. Si è procurato una pistola 7,65, ha preso a noleggio un camion da 150 mila euro, lo ha provato sulla Promenade di Nizza il 12 e il 13 di luglio e il giorno dopo lo ha lanciato sulla folla, senza incontrare il minimo ostacolo, passando attraverso il dispositivo di sicurezza come un lama calda nel burro. «La polizia aveva bloccato con le transenne solo la carreggiata stradale», dice Cesare Stevan, ex rettore di Architettura al Politecnico, che la sera del 14 era a cena con la moglie Giovanna Silvestri in un ristorante sulla spiaggia. «E nonostante lo Stato islamico abbia ripetutamente invitato gli adepti a lanciare automezzi sulla gente, aveva lasciato senza protezione la zona pedonale, un marciapiede largo fino a dieci metri dove si era assiepata la maggior parte del pubblico». L’attentatore ci è salito e come in un videogame ha iniziato la mattanza. Claude, dal suo terrazzo al quarto piano, ha visto tutto: «Come birilli», ripete, «uomini, donne, bambini, buttati in aria come birilli».
BEVEVA FUMAVA E BALLAVA
Ricostruendo la rete di complicità a cui potrebbe essersi appoggiato Mohamed, la polizia ha arrestato sette persone. Mondher Lahouaiej Bouhlel, padre dell’attentatore dice: «Mio figlio non ha mai pregato, non è mai andato assiduamente in moschea, non aveva nulla a che fare con la religione. Era solo, depresso, sempre da solo». Depresso lo era diventato ancor di più dopo esser stato lasciato dalla moglie. Beveva, fumava e due anni fa, forse per sentirsi meno solo, aveva cominciato a frequentare un corso di salsa e ballo latino americano.
Sulla pagina della scuola di danza si accavallano gli interventi scioccati di chi lo ha conosciuto. «Non riesco a capacitarmi», scrive Serge Mbea, «d’aver avuto a che fare con l’autore di questa mostruosità».
«Mi ricordo di lui», scrive Bri de Nice, «con le donne era sempre insistente, se accettavi di ballare con lui finiva sempre per proporti qualcosa».
«Un corteggiatore», ribadisce Cathy Rugari, «incapace di incassare un rifiuto. Un brutto carattere».
«Orrore e stupore», scrive Laurent, maestro di ballo. «Il diavolo si nasconde in certi uomini. Gli parli, gli insegni a ballare, lo sgridi, gli stringi la mano e ti siedi a bere un caffè con lui. E non ti accorgi di nulla».
DOWNLOAD DI VIOLENZA
Nessuno se n’è accorto. L’Isis ha rivendicato l’attentato. Ma all’origine dell’ennesima strage, nella storia del suo protagonista, è difficile riconoscere lo scontro di religioni e civiltà. «L’Isis cerca gente così», spiega un investigatore francese, «personalità fragili, prive di cultura, teste vuote in cui travasare un apparato ideologico di risentimento, violenza, distruzione. È come un download che ti resetta il cervello. Gente che fino al giorno prima spacciava droga, sognava un orologio d’oro, donne e belle macchine, da un giorno all’altro aspira al martirio e al paradiso».
LA CITTA DIVISA
La gente torna sulla Promenade. Samira, madre di Yanis, 6 anni, s’inginocchia in lacrime e davanti a una chiazza scura depone la foto del suo bimbo. Passano pochi minuti e si riempie tutto di fiori, lumini, bambole, pupazzi, biglietti. È così ovunque. Il sangue qualche volta trova un nome. Come nonna Laurence falciata coi nipoti Luana di 2 anni e Yanis di 8, tre aiuole fiorite, una accanto all’altra in mezzo alla Promenade. Ma anche là dove non si riesce a dare un nome, vengono deposte rose bianche, margherite, bouganvillea. Per non calpestare. Per non dimenticare.
La bellezza di Nizza è che là dove finisce la città comincia il mare. La Promenade è la linea che li unisce e che oggi però li divide. Sopra è un 2 di novembre. Sotto, nelle spiagge, è piena estate. Il cielo è terso, il sole picchia. Dalla Promenade una coppia scende in spiaggia. «Oggi», dice lei, «mettiamo la protezione totale». La vita continua. Ma «protezione totale» sembra un’espressione ancora impronunciabile.