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 2016  luglio 16 Sabato calendario

E SU UN ELICOTTERO ARRIVO’ IL FUTURO

Prima di aprire bocca bisognerebbe ricordare sempre che le parole le porta via il vento; o, nel peggiore dei casi, tornano indietro al mittente come fossero un boomerang. E fanno male. Così, negli anni successivi a quel venerdì 18 luglio 1986, Cesare Cadeo, che di quella giornata fu presentatore-imbonitore-gran cerimoniere, ebbe gioco facile nel rinfacciare («Col sorriso sulle labbra, per carità») a Stefano Tacconi la battuta pronunciata dall’ex juventino sull’arrivo in elicottero del primo Milan berlusconiano: «Gli elicotteri? Gli serviranno per fuggire dagli stadi». E invece.
Invece, alle 10.40 di quel giorno di 30 anni fa (alla faccia della scaramanzia: mai sentito il detto «né di venere né di marte ci si sposa né si parte»?) iniziò un’avventura che presto si sarebbe trasformata in epopea: quella del Milan targato Silvio Berlusconi, appunto. L’uomo che all’epoca veniva alternativamente chiamato Sua Emittenza oppure Cavaliere, aveva rilevato il club quando era sull’orlo del fallimento dopo la sciagurata gestione di Giussy Farina, diventandone ufficialmente il proprietario il 20 febbraio di quell’anno. Cinque mesi dopo organizzò il primo raduno della squadra, e lo fece nello stile che gli era proprio, come si trattasse di allestire uno show televisivo di una delle due sue emittenti di punta, Canale 5 o Italia Uno. Del resto, viste le cose con l’occhio lungo dell’imprenditore, ne aveva motivo: la campagna acquisti, nobilitata dall’arrivo di Giovanni Galli, Dario Bonetti, Daniele Massaro, Giuseppe Galderisi e, soprattutto, dell’astro nascente Roberto Donadoni, strappato alla Juve, aveva riacceso l’entusiasmo di una tifoseria depressa, che aveva ripagato i 20 miliardi di lire spesi dal Cav. per rinforzare la squadra sottoscrivendo in un amen la bellezza di 46mila abbonamenti. Un tale fuoco doveva dunque essere alimentato, e nulla avrebbe potuto farlo meglio di un raduno in grande stile. Meglio, in stile cinematografico-televisivo.
OCCHI VERSO L’ALTO
Perciò, venerdì 18 luglio Berlusconi diede appuntamento ai suoi fedeli all’Arena, lo stadio nel cuore di Milano in cui il Milan aveva saltuariamente giocato negli Anni 50. Si presentarono in 10mila, con gli occhi puntati non davanti a sé, come normalmente sarebbe dovuto essere per individuare il pullman coi giocatori, ma verso l’alto. Perché, nonostante il presidente avesse tentato di tenere nascosta fino all’ultimo la cosa per fare una sorpresa, tutti ormai sapevano che la squadra sarebbe arrivata all’Arena in elicottero. L’idea, manco a dirlo, era stata di Silvio in persona, che così l’avrebbe poi giustificata: «Non voleva essere un’americanata, ma un tributo al nostro pubblico. E rispondeva comunque a un’esigenza logistica: dopo la presentazione allo stadio, la squadra era attesa da me ad Arcore, e in questo modo è potuta arrivare prima». Non tutti erano d’accordo con l’iniziativa: Fedele Confalonieri, per esempio, amico di antica data e primo consigliere di Berlusconi.
ARRIVANO I NOSTRI
Alla fine, aveva prevalso ovviamente la linea del capo: elicotteri dovevano essere ed elicotteri furono. Tre, per la precisione: tre bestioni Agusta Bell noleggiati presso la Elilario di Colico, sul lago di Como. E quando Cesare Cadeo, con voce vibrante, annunciò: «Sento un rumore nell’aria», la folla fremette ed esplose in un boato.
«Io Berlusconi lo conoscevo dal ’79, quando ancora Canale 5 si chiamava TeleMilano», racconta Cadeo a SportWeek. «Immaginavo che avrebbe voluto fare le cose in grande per presentare il suo primo Milan, e così fu. Prese da parte me e Paolo Taveggia, destinato come me a diventare dirigente del club, e disse: “Voglio che sia un evento straordinario, indimenticabile. Voglio che la gente si emozioni e capisca che questo è solo l’inizio di un lungo percorso vincente”». Ottimista, fiducioso, profetico? «Tutte e tre le cose insieme», risponde Cadeo. «Silvio è sempre stato sicuro di sé, questa è la sua forza. Si raccomandò che l’audio fosse perfetto e scelse personalmente la Cavalcata delle Valchirie di Wagner come sottofondo musicale della presentazione. “Voglio che la musica si diffonda nell’aria come se il pubblico fosse seduto ad ascoltare un concerto della migliore orchestra”, ordinò. Per questo portammo le casse e rimpianto che di solito usavamo a Canale 5. Non si sentì gracchiare neanche per un momento».
Con perfetto tempismo scenografico, la Cavalcata partì appena il primo elicottero iniziò le manovre di atterraggio sotto una pioggia nel frattempo diventata battente («Alla fine dovetti buttare il vestito per quanto era zuppo d’acqua», ricorda Cadeo). I primi a scendere furono Franco Baresi e Daniele Massaro «e devo dire», confessa quest’ultimo a SW, «che durante il viaggio Franco e io ce l’eravamo fatta addosso. Per questo scendemmo davanti a tutti, anche se provammo subito a ricomporci esibendoci nel nostro sorriso migliore».
Eppure il volo, partito da Linate, era durato pochi minuti.
«Sentendo le note della Cavalcata delle Valchirie mi venne in mente Apocalypse Now e dissi a Baresi: “Qui andiamo in guerra”».
Primi a scendere a terra. Massaro e Baresi non furono però i primi a essere chiamati da Cadeo, che procedette invece ruolo per ruolo, partendo quindi da Giovanni Galli, portiere: «Avevo preparato dei testi per ciascuno - no, Berlusconi non mi aveva suggerito niente - ma andai molto a braccio. Ricordo l’enfasi che misi nella presentazione di ciascuno, un taglio di voce molto da vocalisti Na- nuuuu Galderisiiiii... Avevo l’età per riuscirci. A qualcuno feci una breve intervistina. Soprattutto, andai molto veloce, fu una radiocronaca più che una telecronaca: avevo il “ritorno” della mia voce, e se ti lasci distrarre da questo anche per un attimo, sei morto».
In un’ora fu tutto finito. Giocatori, tifosi, starlette di Drive In, personaggi tv, politici locali dal cuore rossonero, infiltrati interisti: tutti fradici ma, chi più chi meno, felici e consapevoli di aver assistito a uno spettacolo destinato a cambiare per sempre la storia del Milan e, si intuì allora, anche quella del calcio italiano tutto. «Davanti agli elicotteri esclamai: “Mamma mia che novità. E adesso che succede?"», ricorda Silvano Ramaccioni, storico direttore sportivo e poi dirigente accompagnatore del Milan di quegli anni. «In pochi mesi, grazie a Berlusconi, eravamo passati dalla depressione all’euforia. Una partenza del genere ci diede la dimensione del gigantismo berlusconiano. Io ero arrivato al Milan quattro anni prima, e fino ad allora avevo vinto soltanto un campionato di B. Quel venerdì ebbi la sensazione che finalmente stavamo svoltando».
I cipollini di boldi
Fabio Treves era all’epoca consigliere comunale di Democrazia Proletaria. «Ma andai all’Arena solo in qualità di tifoso rossonero, mischiandomi agli altri. Incontrai gente che non vedevo da tanto, colsi nell’aria un’elettricità che io, appassionato di vecchia data, non avvertivo da tempo. Quel giorno nacque il Milan che, 3 anni dopo, avrebbe portato 80 mila persone a Barcellona per la finale di coppa dei Campioni con la Steaua».
A fare passerella furono attori come Gaspare e Zuzzurro e Massimo Boldi, milanista al cubo («Mio nonno Mario Vitali fu uno dei fondatori della società»): «Al microfono di Cadeo urlai il mio grido di battaglia: “Ciao cipolliniiii! Siamo fortissimi!!”. Di quella giornata conservo una foto unica, scattata ad Arcore: i giocatori in divisa sociale, gli altri presenti in abito impeccabile, e io, unico tra tutti, con una camicia hawaiana, la stessa che indossavo al mattino».
Filippo Galli era all’epoca un giovane difensore di belle speranze cresciuto nel vivaio rossonero: «Sull’elicottero ci guardavamo increduli. C’era grande entusiasmo, ma anche una domanda muta che ci scambiavamo con gli occhi: cosa stiamo facendo? Non ho mai pensato a quel raduno come a una carnevalata, ma come alla presentazione di un qualcosa di grande che stava nascendo. La rifarei mille volte. E ricordo rincontro successivo col presidente, al pomeriggio nella sua villa di Arcore: ci raccontò la sua vita e la storia delle sue aziende, di come in ogni sua iniziativa imprenditoriale fosse stato spinto dalla voglia di superare i propri limiti. Ci lasciò addosso una carica incredibile».
«Stavo a bocca aperta», racconta Giovanni Galli. «Ero passato da una società a carattere familiare come la Fiorentina della famiglia Pontello a un’azienda in cui tutto funzionava alla perfezione. Noi giocatori dovevamo solo pensare al campo, per tutto il resto c’era la società: dal pediatra al commercialista, al mobiliere. Arrivai al Milan che avevo 28 anni e avevo già partecipato a 2 Mondiali e 1’Europeo, ma ero scioccato. Se ebbi la sensazione che il calcio quel giorno stesse cambiando? No. Ero io che mi sentivo cambiato».
E ADESSO È FINITA
Partita tra gli squilli di tromba, quella stagione non fu trionfale: i rossoneri guidati da Liedholm, poi sostituito in corso d’opera da Capello, si piazzarono quinti in campionato e si qualificarono in coppa Uefa solo grazie alla vittoria nello spareggio con la Samp. «Ma sapevamo che per la stagione successiva erano stati bloccati campioni come Van Basten», dice Giovanni Galli. «E infatti, complice l’intuizione di Berlusconi di affidare la squadra ad Arrigo Sacchi, nell’88 arrivò lo scudetto, primo di una serie di trionfi». Come ama ripetere lo stesso Berlusconi, sono stati 28 in 30 anni di presidenza. «Ora mi riesce difficile pensare a un Milan senza Silvio», chiosa Cadeo. «Come quel giorno dell’86, siamo alla vigilia di un cambiamento epocale: sapere che i padroni del Milan avranno gli occhi a mandorla mi fa un certo effetto. Capisco la globalizzazione, ma per me Milano è Angelo Moratti, Andrea Rizzoli e Silvio Berlusconi. Mi dicono che quelli come me sono degli stupidi romantici. Beh, sono contento di esserlo».