Beda Romano; Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 20/7/2016, 20 luglio 2016
«BAIL-IN LEGITTIMO, MA ANCHE LE DEROGHE» – In una attesa decisione relativa a un caso bancario sloveno, la Corte europea di Giustizia ha pubblicato ieri una sentenza in cui la magistratura comunitaria dà ragione alla Commissione europea quando impone perdite agli azionisti e agli obbligazionisti subordinati, in occasione di un salvataggio pubblico di un istituto di credito
«BAIL-IN LEGITTIMO, MA ANCHE LE DEROGHE» – In una attesa decisione relativa a un caso bancario sloveno, la Corte europea di Giustizia ha pubblicato ieri una sentenza in cui la magistratura comunitaria dà ragione alla Commissione europea quando impone perdite agli azionisti e agli obbligazionisti subordinati, in occasione di un salvataggio pubblico di un istituto di credito. La presa di posizione giunge mentre il governo italiano sta negoziando con Bruxelles un delicato pacchetto di aiuti al settore creditizio. «La comunicazione della Commissione sugli aiuti al settore bancario è valida – riassume in un comunicato la Corte -. In particolare, non viola il diritto dell’Unione la ripartizione degli oneri tra azionisti e creditori subordinati in vista dell’autorizzazione, da parte della Commissione, degli aiuti di Stato a favore di una banca sottocapitalizzata». La sentenza riguarda il salvataggio pubblico nel 2013 di cinque banche slovene, con il contributo degli investitori - come previsto dalle regole comunitarie. Prima di tutto, nella sentenza la magistratura comunitaria fa notare che le linee-guida comunitarie non vincolano il paese membro, bensì la Commissione europea. In questo senso, il paese membro non è di per sé obbligato a imporre un contributo agli investitori prima della concessione di un aiuto pubblico (il cosiddetto burden sharing, ndr), ma «rischia di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l’incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno». Infatti, le misure di burden sharing, secondo la sentenza, devono servire a ridurre l’aiuto pubblico per quanto possibile. «Una diversa soluzione – sempre secondo la Corte – rischierebbe di provocare distorsioni della concorrenza, in quanto le banche - i cui azionisti e creditori subordinati non avessero contribuito alla riduzione del deficit di capitale - riceverebbero un aiuto di Stato maggiore rispetto a quanto sarebbe stato sufficiente per colmare il residuale deficit di capitale». Alcuni osservatori in Italia speravano che la Corte avrebbe dato ragione al governo nel negoziato con Bruxelles (si veda Il Sole/24 Ore del 9 luglio). L’esecutivo italiano vorrebbe, in un modo o nell’altro, sospendere le regole di burden sharing, ossia il principio secondo il quale gli investitori di una banca sono chiamati a contribuire a un salvataggio pubblico. Una fetta dell’estabablishment italiano si interroga anche sulla costituzionalità del principio comunitario. La decisione, invece, precisa che il principio è valido e che la Commissione ha il potere di imporne l’applicazione. In una ottica giuridica, Bruxelles ne esce rafforzata, mentre nel negoziato italiano la decisione non modifica nella sostanza gli equilibri. La sentenza - ha detto Margrethe Vestager, la commissaria alla Concorrenza - stabilisce che «fare le cose in questo modo minimizzerà il costo per i contribuenti e non ostacolerà la concorrenza così tanto come potrebbe succedere se le cose venissero fatte in altro modo». Le regole europee prevedono eccezioni al burden sharing in caso di impatto sproporzionato o rischi finanziari, come peraltro ribadito dalla sentenza di ieri – vincolante e non appellabile - e come notato dalla stessa commissaria alla Concorrenza ancora ieri. A questo proposito, la signora Vestager ha fatto notare la settimana scorsa che dal suo punto di vista non vi sono in Italia in questo momento rischi per la stabilità finanziaria (si veda Il Sole 24 Ore del 15 luglio). Nel contempo, però, Bruxelles ha spiegato che è pronta a evitare un impatto eccessivo per gli investitori non istituzionali, nel caso di salvataggio pubblico. Si fa strada l’idea che l’esito del negoziato possa imporre forme di burden sharing per gli investitori istituzionali, mentre quelli non istituzionali potrebbero essere rimborsati ex post, denunciando raggiri al momento della vendita. Sempre secondo la signora Vestager, un accordo tra Roma e Bruxelles «potrebbe essere piuttosto vicino». Beda Romano *** La sentenza con cui ieri la Corte di giustizia Ue ha confermato la legittimità delle regole sul bail-in finisce per avere un effetto più limitato del previsto sulla questione delle banche italiane e sul confronto in corso fra la commissione e il governo sulle ipotesi di sostegno pubblico straordinario. La decisione assunta dai giudici del Lussemburgo ribadisce infatti che tra i poteri della Commissione c’è quello di «adottare orientamenti per stabilire i criteri in base ai quali intende valutare la compatibilità delle misure di aiuto con il mercato interno»;?accanto ai «poteri», aggiunge però la sentenza, l’esecutivo comunitario ha anche dei «doveri», fra i quali rientra «l’obbligo di esaminare le specifiche circostanze eccezionali invocate da uno Stato membro». Dal canto loro gli Stati hanno la possibilità di «notificare alla Commissione progetti di aiuto di Stato che non soddisfano i criteri» della comunicazione sul settore bancario del 2013, e «la Commissione può autorizzare progetti di questo tipo in circostanze eccezionali». Da una situazione di questo tipo consegue che la comunicazione sulle banche «non è idonea a creare obblighi autonomi in capo agli Stati membri e non ha quindi effetti vincolanti nei loro confronti». Nella ripetuta citazione delle «circostanze eccezionali» che possono onsentire la sospensione dei meccanismi di condivisione dei costi a carico degli investitori subordinati ci sono i passaggi chiave della decisione Ue nell’ottica italiana. L’orizzonte continua infatti a essere quello costruito dall’incrocio fra la comunicazione del 2013 sulle banche e la direttiva del 2014 sul bail-in, che propongono alle possibilità di intervento pubblico una serie di condizioni ma offrono anche spazi di deroga quando lo impone l’esigenza di salvaguardare la «stabilità finanziaria». È tutto già scritto in questi due documenti chiave, che di conseguenza non hanno bisogno di nuove modifiche o correttivi ma di un via libera “politico” sulla base della rete normativa già in vigore. A definire i limiti degli effetti prodotti dalla decisione Ue di ieri è del resto il contesto nel quale è nata. La crisi di capitalizzazione delle cinque banche slovene esplosa nel settembre del 2013 ha portato la banca centrale alla fine di quell’anno a intervenire con misure straordinarie, fra cui rientravano anche la liquidazione del capitale degli azionisti e delle obbligazioni subordinate con l’obiettivo di riportare la dotazione delle cinque banche ai livelli indispensabili per soddisfare i creditori e coprire i valori dei depositi. La questione è finita sui tavoli della Corte costituzionale slovena, che ha interrogato i giudici Ue sulla legittimità del bail-in. Le regole «promosse» dai giudici europei prevedono la riduzione o la conversione del debito subordinato «in linea di principio prima della concessione degli aiuti di Stato» quando una banca non soddisfa più i requisiti minimi di patrimonio (articolo 44 della comunicazione). Quando «l’attuazione di tali misure metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria», aggiunge però il successivo articolo 45, «è possibile derogare a quanto richiesto» poche righe sopra, purché il sostegno pubblico sia limitato nei valori e che prima la «carenza di capitale sia stata notevolmente ridotta» con misure alternative (come quelle in cantiere per il Monte dei Paschi). Il tutto, come ribadito anche dalla sentenza, ha bisogno di un’autorizzazione Ue, e la partita si incrocia con i risultati degli stress test dell’Eba in arrivo il 29 luglio. Gli esami dell’Autorità bancaria europea sono per la direttiva sul bail in (articolo 32, comma 4, lettera d, punto iii) l’altra condizione per l’eventuale sostegno pubblico, perché ne misurerebbero la necessità. Un’intesa preventiva sulla loro praticabilità, però, potrebbe secondo il governo italiano attenuare le ricadute delle pagelle su un mercato già messo a dura prova da una volatilità ai massimi e da un’agenda internazionale caldissima. Gianni Trovati