Paola Jadeluca, Affari&Finanza – la Repubblica 18/7/2016, 18 luglio 2016
MARCO GOBBETTI: IL COSMOPOLITA DISCRETO DAL RILANCIO DI CÉLINE ALLA GUIDA DI BURBERRY
Adesso dovrà chiedere il permesso di lavoro all’ufficio immigrazione? Appena è stato fatto l’annuncio della sua nomina a Ceo di Burberry’s, è partito il tam tam di commenti su Internet, tutti ruotano attorno a quello che sembra un paradosso: in piena Brexit, un italiano viene chiamato a guidare lo storico brand del "Made in Uk" In realtà di italiano Marco Gobbetti ha conservato giusto gli affetti più cari e il gusto per le cose belle. Per il resto è un cosmopolita, abituato fin da giovanissimo a cambiare casa e paese come si cambia abito. Finiti gli studi superiori è partito da Vicenza, dove è nato, alla volta degli States per conseguire la laurea in Business Administration presso la prestigiosa American University di Washington. Dopo la laurea, si è spostato dalla capitale Usa per andare a Phoenix, in Arizona, dove ha conseguito un Master in International Management all’American Graduate School of International Management. Cinquantasette anni, attualmente presidente e Ceo di Céline, Marco Gobbetti ha costruito tutta la sua carriera nell’industria del lusso, dove, come recita l’executive profile di Bloomberg, "ha un comprovato track record di crescita e sviluppo di brand, inclusi Bottega Veneta, Moschino e Givenchy". A Céline, satellite del gruppo Lvmh, è arrivato nel 2008. "Ha completamente trasformato la maison", racconta Armando Branchini, vicepresidente di Fondazione Altagamma. Spiega Branchini: "Céline era totalmente da ricreare dal punto di vista del prodotto ed era una realtà molto piccola, lo scorso anno ha fatturato tra 600 e 700 milioni di euro, praticamente oltre dieci volte la dimensione di quando Gobbetti ne preso la guida". La nomina di Gobbetti in Céline è arrivata sulla scia del cambio ai vertici della creatività della maison che aveva portato alla nomina di Phoebe Philo come nuovo direttore creativo al posto della croata Ivana Omazic. Philo è la stilista britannica che ha portato Chloé all’apice del successo con le sue collezioni, ma nel 2006 aveva abbandonato il fashion world. Fondata a Parigi nel 1945 da Madam Vipiana Céline, polacca ma trasferita in Francia, la maison fa da tempo parte della galassia Lvmh. Considerata la quintessenza della pariginità, prima del cambio al vertice, Céline godeva di una considerevole fama di alta qualità ma mancava di un brand forte, di un suo Dna. Gobbetti nel backstage, Philo in passerella, hanno decretato la svolta definitiva. Nei conti e nell’immagine. "Hanno differenziato il posizionamento di mercato e lo stile: Philo è intervenuta sul prodotto e Gobbetti è intervenuto su tutti i sistemi aziendali, un lavoro in tandem perfetto", racconta Branchini. Philo, inglese, ha saputo unire la riservatezza e il minimalismo british allo chic francese, dando vita a una eleganza senza tempo ma caratterizzata da un design "d’avanguardia", come dicono gli analisti. Un successo dietro l’altro. Magistrale l’opera compiuta con Moschino, che ha guidato anche dopo la morte del fondatore, Franco Moschino, e poi venduto ad Alberta Ferretti, nel 1999 che l’ha confermato come Ceo fino al passaggio in Givenchy. "Ha saputo trasformare la creatività di Franco Moschino in un’impresa", commenta Armando Branchini. Questo mentre altri brand estrosi, come Coveri, si spegnevano. Gobbetti vive a Parigi, il quartier generale di Céline, ma fa la spola con Londra, dove la maison ha la sua "sede stile", in cui lavora Philo, nel cuore di Mayfair. Qui Gobbetti è di casa. E non è improbabile che la sua familiarità con il mondo british, sia stata ulteriormente determinante nella scelta finale di Burberry’s, una delle più grandi aziende britanniche, entrata in una fase di grande turbolenza. L’annuncio che arriverà Marco Gobbetti a occupare il ruolo di Ceo, è stato salutato con una rialzo del titolo azioni del 6%. Gobbetti prende il posto di Christopher Bailey. Già Chief Creative director di Burberry’s, Bailey aveva ereditato anche il ruolo di Ceo dopo l’addio di Angela Ahrendts che nel 2014, dopo aver portato a nuovo splendore Burberry’s, ha lasciato il brand di Londra per approdare in Apple. Un doppio incarico quello di Bailey che non ha dato buoni frutti. Il titolo Burberry’s ha perso oltre il 20% in Borsa negli ultimi due anni. Solido, competente, un team builder: così descrivono Gobbetti i suoi colleghi. Gentile, premuroso. Tutto casa e lavoro. Talmente riservato che neanche i più stretti collaboratori conoscono la sua vita privata, che tiene gelosamente tutelata. Ha tre figlie femmine, avuti da due diversi matrimoni. Le ultime nozze le ha celebrate in una villa palladiana del vicentino. Un ritorno alle radici, per suggellare tra parenti e amici la nascita della nuova famiglia. Approderà a Horseferry House, l’imponente quartier generale di Burberry’s, nel 2017. Quotata al London Stock Exchange e inserita nell’indice Ftse 100, la casa inglese con 160 anni di storia ha oltre 10.000 dipendenti e 500 negozi in tutto il mondo. Nel 2015 ha avuto un fatturato di 2,5 miliardi di sterline. Quattro volte più grande di Céline. Una sfida impegnativa. Bailey tornerà a occuparsi solo del prodotto, mentre Gobbetti si occuperà del business. Entrambi risponderanno al Chairman John Peace. Una nota stonata, dicono gli analisti, che fa presagire l’arrivo di altri cambiamenti. Nel 2017 arriverà anche un nuovo Cfo, Julie Brown. Raffiche di warning degli analisti si abbattono su Burberry’s, che solo nell’ultimo trimestre ha perso il 10% di redditività. Il mercato è seriamente preoccupato per il rallentamento della Grande Cina, dove Burberry’s è molto esposta. Ma la Cina non è il problema principale. Le nubi che si addensano sull’industria dei prodotti di alto di gamma derivano da un mix di fattori: il Pil globale in frenata, i nuovi modelli di consumo, sempre più attenti al prezzo, sempre più sensibili al valore reale dei brand, l’alta qualità. Duecentocinquantatré miliardi, è il valore del comparto del personal luxury, che è cresciuto a valore nel 2015 del 13%, un tasso elevato, secondo le stime del Global Market Monitor di Fondazione Altagamma-Bain&Company. In termini di crescita reale dei consumi, però, il tasso è stato del 2%. È la cosiddetta "nuova normalità", un rallentamento dopo la galoppata trainata dall’apertura a tappeto di nuovi negozi, dal continuo aumento dei prezzi finalizzato a creare un posizionamento sempre più esclusivo e a massimizzare i flussi turistici. Ora si tratta di tornare ai fondamentali: più cash e meno spese. Ma soprattutto più esclusività. La casa inglese, nota in tutto il mondo per i suoi impermeabili e gli inconfondibili motivi a tartan, ha perso smalto sul prodotto: "E’ quasi tutto fabbricato in Cina – racconta Branchini – e allora è difficile vendere non solo ai cinesi ma anche agli occidentali a un super premium price vestiti e accessori dichiaratamente realizzati dove la produzione costa pochissimo. Inoltre c’è la serialità sul prodotto, una camicetta di oggi è uguale a quella di dieci anni fa". "Burberry’s ha bisogno di una nuova guida, ma ha anche bisogno di più novità ed entusiasmo nella proposta prodotto", incalza Luca Solca, head of luxury goods di Exane BnpParibas. Spiega Solca: "I direttori creativi sono artisti e tendono a produrre variazioni sul tema. Se senti Sting tutto il tempo, ti suona più o meno sempre lo stesso. Se vuoi avere una scossa di eccitamento, devi cambiare artista". Sotto gli stimoli della Ahrendts, Bailey aveva dato il meglio di sé. Ma poi la sua creatività si è spenta. Resta da vedere se Gobetti riuscirà a fargli avere qualche guizzo. Oppure, come alcuni già insinuano, Gobbetti potrebbe decidere di portarsi dietro Philo. La sua carta vincente in passerella.
di PAOLA JADELUCA, Affari&Finanza – la Repubblica 18/7/2016