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 2016  luglio 17 Domenica calendario

AMBIENTALISTI E PURE TRANSGENDER. I BARBAPAPÀ SONO ANCORA AVANTI

Nell’afosa mattina dell’11 luglio, un qualsiasi lunedì di vacanza per i bambini non appaltati ai centri estivi, Rai Yoyo ha registrato l’8.42 di share e ben 394mila spettatori programmando i Barbapapà. Il caldo torrido non basta a spiegare il segreto di un cartone antico, che nelle sue forme prima cartacee poi televisive sta per toccare il mezzo secolo di vita.
Barbapapà fu figlio del Maggio francese e di alcuni tratti disegnati su una tovaglia in un bistrot, mentre il Quartiere Latino brulicava di moti e agenti in tenuta anti-sommossa. Ormai tre generazioni, quindi, hanno potuto godere di un’infanzia condizionata dai 9 affettuosi zuccheri filati (questo vuol dire il termine francese, barbe à papa), confezionati dalla morbida matita di Annette Tison e Talus Taylor. D’altronde, come non adorare le metamorfosi dei due teneri genitori e dei loro sette figli, nati dalla terra come semini, mai portati in grembo, eppure famiglia nel senso più puro? “Io e Barbapapà ci amiamo” è l’asserto iniziale di Barbamamma, il presupposto quasi biblico di ogni storia, perché tutto abbia inizio. Ogni personaggio si modella su ciò che ha di fronte, a seconda delle necessità: ciò che ha di fronte sono gli altri animali, e la carta e i cartoni diventano un teatro di immagini morbide e cangianti, uno spettacolo di metamorfosi adatto ai più piccoli per muoversi tra forme, spazi e colori. Il nietzscheano “diventa ciò che sei” si trasforma in un sobrio, funzionale e molto affettivo “diventa ciò che hai davanti”. Il tutto mantenendo forti specificità nei caratteri, da Barbaforte, analogo rubizzo di Puffo Forzuto, all’artistoide impiastricciato Barbabarba, dalla melodica Barbalalla all’ingegnoso Barbabravo, per finire col tenero Barbazoo, la vanitosa Barbabella e Barbottina, l’occhialuta tutta libri e testa tra le nuvole.
La fortuna ultradecennale ha fatto sì che in tempi recenti il temutissimo Osservatorio dei Media del Moige abbia insignito la serie della prestigiosa “Conchiglia” destinata ai programmi educativamente più significativi. Ed è certo impossibile non allinearsi al Moige se si considera lo schietto progressismo che caratterizza i nove personaggi monocolore sin dal 1970. Facciamo qualche esempio. L’ambientalismo, per cominciare. Nell’episodio L’arca dei Barbapapà i valenti zuccheroni difendono il diritto di fuga degli animali dall’industria che sconquassa l’ecosistema (fuggono addirittura su un altro pianeta). Il loro esodo induce gli umani a ripulire il globo, così che gli esuli con la loro “arca” ritornano con tutti gli onori.
I colori, poi. Straordinario consenso, in ottica educativa, strappa infatti la decisione grafica primigenia, che vede finalmente destituita di senso l’orrida spartizione di colori maschi-femmine, che adonta tuttora ogni negozio di giocattoli e vestiti: rosa a te, azzurro a me. Se Barbabravo (il secchione che mena forte se serve) è pur sempre blu, il suo poco virile papà presenta un completo rosa confetto, mentre la mamma veste un nero pece, e Barbottina e Barbalalla si compiacciono di toni arancio e verdi. E Barbabarba, tutto peloso e trasandato, non restituisce appieno i tratti dei capelloni dei Sixties, allora minacce alla serenità borghese, ma esibendo il più dolce dei sorrisi, tutto preso da tela e pennelli?
Ma è forse Barbazoo che più di tutti ha indotto il Moige al nobile premio. Il fratello giallo canarino amante dei fiori è chiaramente una personalità transgender. Condividendo la dolcezza che caratterizza la genìa, si distingue per un’ambiguità sessuale che nel mirabile episodio Le uova sfocia in assunzione di responsabilità. È lì infatti che, trovate per caso delle uova sul greto del fiume, e non trovandone il genitore, Barbazoo si incarica di una gestazione per altri, portata avanti tra mille sacrifici, e conclusasi con la nascita di un nugolo di grate e sorridenti tartarughe. Non si curano, le tartarughe, se egli sia il genitore biologico o adottivo. Né importa loro come sia avvenuta la gestazione. Né tantomeno se sia maschio o femmina. Importa di vedere il sorriso genitoriale di Barbazoo, che sembra proprio un sorriso d’amore, e come tale ricambiato dai figli.
E dunque non si può non esser d’accordo col Moige, una volta tanto, e provare riconoscenza per una serie come Barbapapà che, in anticipo sulle società di allora e di oggi (quella italiana inclusa), ha fatto del mondo un luogo d’incontro tra diversi di ampie vedute e cuori ancor più grandi, aperto alla biodiversità in ogni sua accezione. Lo ha fatto per l’infanzia con gli strumenti dell’infanzia, che poi, in fondo, è quell’età in cui si capiscono gli altri attraverso il gioco, i colori, le forme. Senza dividere, senza giudicare.
MASSIMO PALMA, il Fatto Quotidiano 17/7/2016