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 2016  luglio 17 Domenica calendario

DATI, SOLDI E PROPOSTE: QUEL CHE SERVE SAPERE SUL REDDITO MINIMO

Lo ha certificato nei giorni scorsi l’Istat, gli italiani senza reddito sufficiente per “uno standard di vita minimo accettabile” sono 4 milioni e 598 mila, il numero più alto dal 2005 a oggi. Il dramma colpisce sempre di più i giovani.
Con la crisi, quelli tra i 18 e i 34 anni in “povertà assoluta” sono triplicati, ora sono più di un milione. Oltre che un problema sociale, è un problema economico e politico urgente. Tanto che il governo, dopo le campagne della sinistra e del Movimento 5 Stelle, che lo chiede da un anno e mezzo, ha fatto un passo. La proposta però, anche per l’ammontare ridotto delle cifre da stanziare, più che un reddito minimo è un sussidio temporaneo per le situazioni di disagio estremo. Ma cerchiamo di capire di cosa si parla quando si parla di reddito minimo o di cittadinanza.
Il primo fu Prodi. Intanto va chiarito che il “reddito di cittadinanza” è una misura universale incondizionata, una cifra fissa da dare a ogni cittadino a prescindere dalla situazione economica. Richiede risorse enormi ed è poco sostenibile anche politicamente. È stato sperimentato in passato in alcuni paesi come l’Olanda e il Brasile; la Svizzera ha di recente respinto una proposta di questo genere (vedi focus in basso).
Le misure attorno cui ruota ora il dibattito riguardano invece il “reddito minimo garantito”, un sostegno correlato alla situazione economica e condizionato, per esempio alla ricerca di un lavoro, alla formazione alla disponibilità a prestazioni sociali. Lo hanno quasi tutti i paesi europei (vedi infografica in alto) mancano solo Italia, Grecia e Ungheria. Il sistema più generoso è quello danese con 1.474 euro a individuo, una cifra comunque correlata a un costo della vita più elevato di quello italiano. Segue il Belgio con un assegno mensile da 867 euro.
In Italia, a parte un’iniziativa del governo Prodi, nel 1999, sperimentata in 306 comuni, con un sostegno alle famiglie con reddito inferiore a 500 mila lire mensili, la lotta alla povertà per ora l’hanno fatta soprattutto gli enti locali. Una delle prime iniziative fu avviata nel 2005 dalla giunta campana guidata da Antonio Bassolino: fino a 350 euro mensili alle famiglie con reddito annuo inferiore ai 5 mila euro. Andava ai residenti nella regione da almeno cinque anni, extracomunitari inclusi. Ne beneficiarono 49 mila individui. L’erogazione fu interrotta dalla giunta Caldoro nel 2010. Lo scorso maggio la giunta comunale di Napoli ha approvato un Reddito minimo cittadino, di cui però devono ancora essere stabiliti criteri e importi. Dal 2007 al 2008 un Reddito di base integrativo, per un massimo di due anni, fu istituito per i residenti del Friuli-Venezia Giulia con “capacità economica” inferiore a 5 mila euro. Misura reintrodotta nell’ottobre scorso dalla giunta Serracchiani. Ora il requisito è un indicatore economico Isee massimo di 6 mila euro. Nel Lazio un Reddito minimo garantito, fino a un massimo di 7 mila euro l’anno, fu introdotto nel 2009, per un anno, dalla giunta Marrazzo.
Nel novembre scorso la giunta Emiliano in Puglia ha approvato il Reddito di dignità: fino a 600 euro al mese, per massimo 12 mesi, che dovrebbe interessare circa 60 mila individui con un Isee non superiore a 3 mila euro. E dal marzo scorso anche la Valle d’Aosta eroga un sostegno: fino a 550 euro mensili, per massimo cinque mesi ai residenti che hanno almeno trent’anni e un Isee non superiore a 6 mila euro. Infine, il Reddito di garanzia introdotto nel 2009 dalla provincia di Trento è l’unico intervento strutturale, rifinanziato annualmente. Dà un sussidio pari alla differenza tra la soglia di povertà (fissata dalla Provincia in 6.500 euro di reddito annuo) e il reddito familiare disponibile. Può essere richiesto per un massimo di 20 mesi, non consecutivi.
Il governo. La legge delega di contrasto alla povertà presentata dal governo Renzi giovedì scorso ha avuto l’ok della Camera. Vista la natura del testo, non sarà in vigore prima di fine anno. Sono stati stanziati 600 milioni per il 2016, che salgono a 1 miliardo nel 2017, una cifra sufficiente a dare 217 euro a ciascun povero assoluto. Quindi ci si è concentrati sulle famiglie con minori o disabili. Lo strumento è il Sia, il sostegno all’inclusione attiva creato dall’ex ministro del Lavoro di Letta Enrico Giovannini. Il sostegno prevede un percorso di attivazione sociale e lavorativa.
La proposta M5S. A dispetto del nome, quello proposto dai 5 Stelle non è un “reddito di cittadinanza”, ma un reddito minimo garantito: che va a chi è sotto la soglia di povertà monetaria dell’Ue 2014 (9.360 euro annui). Funziona così: chi è a zero prende 780 euro al mese, se invece ha già un reddito riceve un’integrazione. Il sussidio, in realtà, non è individuale ma basato sul nucleo familiare, due esempi: 780 euro se composto da un singolo individuo; 1.638 con due adulti e due minori a carico. L’integrazione non dovrebbe dissuadere dal lavorare, perché permette di migliorare la propria condizione superando le soglie base. Per fare un esempio: con un reddito di 250 euro mensili, un singolo avrebbe come integrazione 555 euro (superando i 780 di base), due adulti e due minori 1.443 (1.663). Le soglie oltre le quali non si ha più diritto al sussidio sono rispettivamente 750, 1.000 e 1.750 euro. Il sussidio è condizionato ad alcuni obblighi, per esempio non rifiutare più di tre offerte di lavoro, frequentare corsi di formazione e accettare impieghi socialmente utili. In questo modo i costi sono più contenuti. La stima fatta l’anno scorso dall’Istat è di 14,9 miliardi annui (per 2,79 milioni di famiglie). Per il presidente dell’istituto di statistica, Giorgio Alleva la misura “serve a ridurre le disuguaglianze e a creare una rete di protezione sociale compatta”, ma va gestita accuratamente per evitare abusi.
Le coperture. I soldi verrebbero da 600 milioni di tasse sul gioco d’azzardo, 1,2 miliardi di nuove tasse sulle imprese petrolifere, 1,1 miliardi dalla riduzione dei costi della politica, 4,5 miliardi di risparmi dall’acquisto di beni e servizi dell’amministrazione pubblica, una patrimoniale da 4 miliardi, 740 milioni dal taglio delle pensioni d’oro, 3,5 miliardi dal taglio delle spese militari, 600 milioni dall’8 per mille e altri 600 milioni da banche e assicurazioni. La legge – ribadiscono sempre i 5 Stelle – ha ottenuto la “bollinatura” della ragioneria generale dello Stato. Quest’ultima, però, certifica solo che nominalmente le coperture ci sono. Altra cosa è reperirle. La proposta di legge è del 2014. Da allora, il gioco d’azzardo è stato già tassato due volte, le Tobin tax sui petrolieri è stata bocciata dalla Consulta, così come il prelievo sulle pensioni d’oro di Monti. La Corte Costituzionale ha salvato solo quello di Letta perché colpisce assegni altissimi ed è temporaneo (2014-2016): non è possibile nessuna misura strutturale, e i 740 milioni si otterrebbero solo tassando le pensioni poco sopra i 2.300 euro. Tagliare un quarto del budget della difesa è tecnicamente possibile, ma non facile visti i tempi, senza peraltro intaccare spese di personale e investimenti. Con i vincoli di bilancio Ue, però, trovare le risorse è soprattutto una scelta politica. Tra gli 80 euro in busta paga (10 miliardi l’anno), abolizione dell’Imu (4 miliardi) e sgravi alle imprese (20 miliardi al 2019) Renzi ha impegnato il bilancio dello Stato per cifre molto più alte, con risultati modesti in termini di consumi e occupazione, e zero sulla povertà. Nel 2013, il ministero del Lavoro ha stimato in 5 miliardi il costo per azzerare la povertà assoluta in Italia, è la metà degli 80 euro.
Le altre proposte. La più simile a quella M5S è stata presentata da Sel: prevede un sostegno di 600 euro mensili a disoccupati, precari o in cerca di occupazione senza una soglia di reddito minima, con integrazioni in base a i componenti del nucleo familiare (1.000 euro per due componenti, 1.300 euro per tre e così via) e vale 12 mesi. Costo previsto dall’Istat: 23 miliardi. Area riformista, la minoranza del Pd ha proposto invece 500 euro che aumentano quanto più è numerosa la famiglia del beneficiario. Non si può cumulare con cassa integrazione o altri aiuti pubblici. I pensionati sono esclusi. L’altra proposta del Pd è quella firmata da Francesco Laforgia e Gianni Cuperlo e comprende, invece, tutti i maggiorenni e chi è in Italia da almeno dodici mesi (costo: 1,5 miliardi che salgono nel tempo fino a 7).
(Ha collaborato Andrea Magnaghi)
CARLO DI FOGGIA e MARCO MARONI, il Fatto Quotidiano 17/7/2016