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 2016  luglio 17 Domenica calendario

LA CIA, ALLENDE

& GORBACIOV. C’ERA UNA VOLTA IL GOLPE –
La guerra civile in Turchia dura una notte o nemmeno, un pugno di ore tra il decollo di Erdogan in fuga e l’atterraggio di Erdogan in trionfo. È bastato un I-phone e quella lunga chiamata alla Cnn turca per mandare in fumo le complesse alchimie di cui è fatto ogni colpo di stato. Far sparire il presidente per un po’, controllare i mezzi d’informazione, conquistare appoggi tra i militari prima e tra il pubblico poi, guadagnare riconoscimento internazionale: ecco gli obiettivi dei militari. Non ne hanno azzeccato uno. In meno di sei ore la popolazione estraeva fisicamente i carristi ribelli dai loro tank. Altre sei ore e le cancellerie del mondo difendevano “il governo democraticamente eletto”. Sei ore ancora e scattavano le purghe: tremila militari arrestati, 2.800 giudici licenziati…
Per l’esercito turco, autore di quattro precedenti colpi di stato inappuntabili, è come perdere l’imbattibilità. Le forze armate in Turchia sono una npotenza di 800mila uomini di cui 40mila ufficiali (in Italia i militari sono 102mila). Ad essi è devoluto il 4,5% del Pil e il 16,5% del bilancio dello stato. Ma negli ultimi 15 anni Erdogan li ha disarticolati e divisi, praticando una lotta senza quartiere contro l’eterno avversario, quello che chiama “la struttura parallela”. Già, la “struttura parallela”. Il nemico mortale di questa Turchia, il paese che vuole entrare in Europa passando dalla Mecca, è il predicatore musulmano Fethullah Gulem, accusato di ogni nequizia, per combattere il quale la Turchia ogni tanto sospende qualche libertà, percuote qualche manifestante, si sgrava del peso di qualche giornale. Il fatto è che c’è sempre un nemico mortale, contro cui il sovrano decide lo stato d’eccezione. Ma non ci sono più i militari di una volta, e nemmeno i colpi di stato di una volta. Il nemico che giustificava ogni golpe è stato a lungo il comunismo, e il copione sempre uguale: repressione durissima, sviluppo come contropartita. In nome della lotta anti-marxista, nella Grecia del 1967 i colonnelli tolsero il potere dalle mani inesperte del giovane Costantino II per instaurare una dittatura para-fascista che finì nel 1974. Pochi mesi prima il Portogallo aveva percorso il cammino inverso: uno dei pochi golpe militari progressisti, la “rivoluzione dei garofani”, aveva messo fine alla lunga dittatura nata con Salazar. E nella Spagna in cui il caudillo Francisco Franco si era deciso a morire dopo lunga agonia, nel 1981 il colonnello Antonio Tejero entrò sparando in parlamento e provò a impedire la deriva a sinistra del paese (il partito comunista era stato legalizzato!). Fu bloccato dal no di re Juan Carlos I.
Per un altro esempio europeo dobbiamo aspettare dieci anni, quando in Russia nel 1991 l’ultimo segretario generale del Pcus Mikhail Gorbaciov fu segregato in una dacia da un gruppo di golpisti che volevano salvare l’Urss. Non gli riuscì: il capo della federazione russa, Boris Eltsin, tenne testa ai carri armati che colpirono il Parlamento, la Casa Bianca, Gorbaciov venne liberato e l’Unione sovietica archiviata. Ma se in Europa i colpi di stato erano relativamente pochi, dall’altra parte dell’Atlantico si sprecavano, equamente suddivisi in colpi di stato “economici” e “politici”. I primi erano governi fatti e disfatti dalla United Fruit e da varie compagnie minerarie, un esempio per tutti il Guatemala di Jacobo Arbenz. Era costui un moderato, ma progressista abbastanza da voler nazionalizzare alcune infrastrutture del paese: nel 1954 venne travolto da un colpo di stato direttamente organizzato da Allen Dulles, potente capo della Cia – e co-proprietario della United Fruit.
Fu l’avvio di un modello, quello del “cortile di casa”, destinato a ripetersi spesso. Nel 1973 il socialista Salvador Allende si ritrovò accerchiato nella Casa Rosada mentre la sede del governo veniva bombardata dal suo stesso capo di stato maggiore, il generale Augusto Pinochet. Il Cile era ricco di rame, qualcuno lo voleva, la Cia tornò al lavoro.
Nel 1976 la stessa sorte toccò all’Argentina, preda della prima celebre junta Videla-Massera-Agosti, che cominciò il duro lavoro di uccidere e desaparecer 30mila persone. Merita una citazione il Venezuela di Hugo Chavez: nel 2002venne arrestato, il leader golpista era il capo della Confindustria, che sul suo canale tv trasmise Tom & Jerry tutto il giorno (Chavez fu poi liberato dai suoi parà). In Sudamerica anche il paese che ha il record del settore: è la Bolivia, quasi 190 colpi di stato dall’indipendenza.
Anche l’Italia vanta un passato di solida tradizione golpista, a partire da Mario e Silla per arrivare alla Marcia su Roma, ma non nel recente passato. Con una eccezione, che nel ’64 Pietro Nenni chiamò “tintinnar di sciabole”: il Piano Solo, che il generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo organizzò per scongiurare la nascita di governi di centrosinistra (l’assalto guidato dal principe Junio Valerio Borghese, lanciato e fermato nel corso della stessa notte del 1970, non arrivò mai nemmeno a sfiorare il potere).
ROBERTO ZANINI, il Fatto Quotidiano 17/7/2016