Daniela Ranieri, il Fatto Quotidiano 18/7/2016, 18 luglio 2016
LINKEDIN È LO SPECCHIO DEI TEMPI: IL CARBONIO 14 DEL LAVORO PRECARIO
Mi sono iscritta su LinkedIn sette anni fa trovando evidentemente seducente lo slogan “la più grande rete professionale al mondo”. Dopo aver caricato il mio curriculum e in attesa di venire chiamata dalle migliori aziende della California e del Nord Europa per fare l’amministratore delegato, mi sono connessa con chi aveva o speravo avesse un ruolo importante nella mia carriera: il datore del mio primo lavoro sottopagato, il pizzaiolo del quale servivo le scadenti margherite con mozzarella finta, l’ufficio stampa del politico più corrotto d’Italia. Oggi sono connessa con un sacco di gente interessante dello strabiliante terziario cognitivo: il fotografo di capre irlandesi, l’artista dei lacci emostatici, il ricercatore in genomica filmica.
LinkedIn, comprata da Microsoft un mese fa per per 26,2 miliardi di dollari, è il più sfigato e insieme il più velleitario dei social network. La bacheca ospita uno stringato e assertivo cv con molti termini in inglese, la cui perentorietà serve sicuramente a facilitare la lettura a potenziali datori di lavoro anglosassoni che non hanno tempo da perdere. Di lato, i “contatti” (non amicizie: qui si fa sul serio), che però sono per lo più gli amici di Facebook: un algoritmo mi ha costretto infatti, non so bene quando, a importare in blocco una marmaglia di sconosciuti dagli altri social.
Ogni tanto una notifica mi avvisa che un contatto mi ha “endorsato”, cioè ha fatto sapere al mondo che mi ritiene molto preparata, per competenze che nemmeno ricordavo di avere e che avevo inserito per mostrarmi multiskill. Disegno 3D. Blogging. LinkedIn è il carbonio 14 dei lavori precari. Ciò che sul curriculum ho omesso per vergogna o perché mi sovra-qualificava per incarichi per i quali era più gradita l’ignoranza, in LinkedIn riemerge come un fossile.
Mi commuove l’anelito alla trasparenza che ha mosso la compilazione del mio cursus honorum, neanche mi stessi candidando a presiedere la Commissione Europea. Tuttora non so perché la gente mi aggiunga su LinkedIn. Forse vuole offrirmi un lavoro, ma visto che in 7 anni questo caso non si è mai verificato, è più probabile che speri che possa offrirglielo io. Credo che in questo equivoco consista la ragione sociale di LinkedIn.
Mentre il lavoro vero, materiale e retribuito sparisce, si impone questa versione spettrale del lavoro, o meglio di jobs improntati al problem solving. La precarietà, venduta per flessibilità, è invece sfruttabilità e volontaria sottomissione. Una generazione di passivi pronti a lavorare quasi gratis pur di avere “visibilità” si connettono con l’illusione di aumentare il proprio potere contrattuale mentre stanno incrementando il proprio quoziente di interscambiabilità. Il bello è che tutto questo lo abbiamo accolto come un regalo, una liberazione dall’orario e dalla sirena di entrata, dal tornio e dalla catena di montaggio. Seppur mortifero come un acquario di aragoste, LinkedIn è lo specchio dei tempi, e ancora molti ripongono speranze in questo miglioratore delle condizioni del lavoro mondiale, casomai non bastasse il Jobs Act.