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 2016  luglio 15 Venerdì calendario

DI COPPE E DI BASTONI, IL PRINCIPIO COSMICO RACCHIUSO IN UN ARCANO

Le origini dei tarocchi sono, nelle diverse tradizioni, svariatissime, il che ce ne rivela, per ora, la dubbia provenienza effettiva. Apparse nelle principali corti del Nord Italia alla fine del XV secolo, ognuna di queste tende a rivendicarne i natali. Accade così che i tarocchi siano nati, secondo le fonti a Mantova, a Ferrara, a Cremona, a Bologna e in molteplici località. Tutto ciò che ne sappiamo davvero è all’incirca la datazione e la creazione in ambito colto, dove venivano richiesti giochi sempre più elaborati. Occorre però, a questo punto, una digressione epistemologica. Facendo un salto indietro di alcuni secoli, dovremmo entrare nella mentalità di un tempo, e di un contesto, in cui tutto ha valore simbolico. Nella mentalità medievale, al suo tramonto e, al contempo, per quanto riguarda certi valori, al suo apogeo, il mondo è sempre, in tutti i suoi aspetti, qualcosa che rimanda ad altro: elemento che verrà poi ripreso nel romanticismo che a sua volta mitizzerà questo aspetto del Medioevo. Già Jacques Le Goff, lo storico da poco scomparso, massimo esperto di questo tema, nella sua sterminata analisi del Medioevo visto nella sua quotidianità ce lo ha rimarcato in tutti i modi. E nel Rinascimento questa attitudine si arricchisce di un bagaglio culturale, quello della riscoperta filosofia classica e della ricca e complessa ramificazione simbolica, che ha nella storia della nostra cultura un culmine forse mai più raggiunto. I tarocchi, di cui narreremo significato e storia, ne sono un efficace esempio. Quanto di essi oggi sopravvive non può che sottostare all’interpretazione del nostro tempo, radicalmente mutata. Sgombriamo allora subito il campo dagli equivoci principali. Oggi, quando si parla di tarocchi, la maggior parte delle persone pensa a uno strumento di divinazione. Collocandolo più o meno in un contesto di superstizione. Superstizione a seconda dei casi ritenuta come plagiante o limitata a innocuo diversivo, magari finalizzato a una furbesca forma d’intrattenimento dalle origini affascinanti e dalle vacue speranze di conoscere un futuro quasi come fosse un capriccio. Da questo punto di vista, il nome stesso di “tarocchi”, al di là delle infinite ipotesi anche molto suggestive fatte specialmente a cavallo tra il Seicento e il Settecento, gioca proprio con il significato dell’aggettivo che indica oggi la cosa falsa, taroccata. Ma come si concilia l’idea da cui siamo partiti, ossia l’incontro tra il sacro e il ludico, l’idea di finzione se non addirittura di trucco?

Gioia del Creatore. Trasferiamoci un istante in Oriente, dove il gioco degli scacchi, delle carte e del domino (quest’ultimi due in un legame molto stretto, come vedremo più avanti) hanno avuto origine. Nella cultura induista, trasfusa poi nel buddismo che ne è poi una delle forme di sviluppo e di articolazione, c’è una parola che non ha da noi corrispettivo, ed è “lila”. Lila significa tante cose, occupando un campo semantico riferibile a tradizioni millenarie anche parecchio distanti da loro, ma con una costante. Ovunque la si ritrovi, per esempio nei Veda, gli antichissimi testi a fondamento della filosofia e della religione induista, significa: Rappresentazione o sfoggio (di forze ed energie in perpetuo movimento). Questo termine viene spesso altresì definito come gioco o capriccio e viene riferito all’atto spontaneo e non intenzionale della creazione e della distruzione. Ne è personificazione la dea Lalit, la cui forma è l’universo stesso. Il senso principale della lila è dunque quello di un moto assolutamente libero, che sia regolare o meno, in modo simile a quello dell’acqua in una fontana» (Margaret e James Stutley, Dizionario dell’induismo, Astrolabio editore). Sul piano filosofico, il concetto di lila indica la libera manifestazione del principio cosmico, come eccesso fantasmagorico e magico, incomprensibile ed estatico, «esprimentesi in ogni manifestazione fenomenica» (ibidem). Dunque, tutto l’universo non è altro che un immenso gioco sacro, per abbondanza di gioia del Creatore. Ritroviamo traccia di questa concezione del mondo (o dei mondi, se non della loro moltitudine, come per esempio in Giordano Bruno) in diversi pensatori dell’Occidente, in modo più o meno marcato o diretto. La cultura rinascimentale ne è pregna. E non è quindi un caso che i tarocchi ne siano espressione tanto colta quanto popolare. Ma vediamo, prima di affrontare la loro storia e la loro evoluzione attraverso i secoli, di che cosa esattamente si tratta. I tarocchi sono un mazzo di carte, di cui 22 a sé stanti, i cosiddetti “Arcani maggiori”, e altri quattro gruppi di carte numerate da uno a dieci con in più, per ciascun gruppo, altre quattro “figure”: quella del fante, del cavaliere, della regina e del re. Da queste ultime carte, chiamate Arcani minori, derivano tutte le carte da gioco tradizionali, dette “di coppe”, “bastoni”, “spade” e “denari”.

Imbonitore e mago. Ma degli Arcani minori ci occuperemo più avanti. Soffermiamoci ora sugli Arcani maggiori, vera e propria summa di una concezione del mondo espressa attraverso simboli che sono a loro volta archetipi organizzati in una sequenza che rappresenta tutto il ciclo del “gioco del mondo”. I ventidue Arcani maggiori sono, in ordine, il Bagatto, la Papessa, l’Imperatrice, l’Imperatore, il Papa, l’Innamorato (o gli Innamorati), il Carro, la Giustizia, l’Eremita, la Ruota della fortuna, la Forza, l’Appeso, la Morte, la Temperanza, il Diavolo, la Torre (o la Casa di Dio), le Stelle, la Luna, il Sole, il Giudizio e il Mondo. Gli Arcani maggiori sono numerati da uno a 21 in numeri romani (gli Arcani minori seguono invece la numerazione araba) e a essi va aggiunta una carta senza numero, quella del Matto. Teniamo a mente per ora che proprio la carta del Matto, che apre e contemporaneamente chiude la sequenza dei simboli, ne costituisce un insieme circolare: quella di un gioco, cioè, che si ripete all’infinito, in una concezione dell’universo in cui il tempo non è concepito in senso lineare ma ciclico. Il gioco del mondo non ha quindi mai fine, e si ripete ogni volta in differenti varianti. Analizziamo ora, alla luce di quanto visto finora, la prima delle carte degli Arcani maggiori, quella del “bagatto”. Bagatto significa sia “giocoliere” sia “mago” (e in taluni mazzi di epoca più tarda lo si chiamerà proprio così) sia “imbonitore”, fino a un esplicito “colui che mente”. Tutto ha quindi inizio da una figura che gioca. Gioca a universo. Se analizziamo un mazzo di tarocchi del Cinquecento, vediamo raffigurato un uomo spavaldo, in posizione quasi forzatamente eretta, con in mano uno scettro e, appoggiati su un tavolino, una moneta, una spada e una coppa. Ha in testa un cappello largo che richiama inevitabilmente un otto rovesciato e, quindi, il simbolo dell’infinito. Questo “imbonitore” non è altri che la divinità che dà inizio, tramite un atto di volontà, al gioco del mondo, in possesso delle forze che simbolicamente lo costituiscono, e dunque la forza della terra (il bastone), dell’acqua (la coppa), dell’aria (la spada) e del fuoco (la moneta). Sono, come abbiamo visto, gli stessi semi degli Arcani minori. I bastoni rappresentano la potenza del bastone augurale o la bacchetta magica, è segno di comando e di dominazione virile, emblema della potenza generatrice maschile e dunque il padre. Le coppe indicano la ricettività femminile, tanto intellettuale quanto fisica: la madre. La spada è un’arma che disegna una croce, e quindi l’incontro del principio verticale (che ascende) e quello orizzontale (che resta ancorato alla terra e ne traccia i limiti): è la fusione del principio maschile e di quello femminile, cooperazione dei contrari, compenetrazione degli opposti e quindi il figlio. La moneta, il denaro o meglio il disco pentacolare è infine espressione della volontà, la sua fluida capacità di azione e di mutazione della vita umana (esattamente come succede con i soldi, che sono appunto moneta): sintesi definitiva degli altri simboli in questa nostra vicenda umana. Il Bagatto, o la divinità che presiede al gioco del mondo, è anche, come in tutti gli Arcani maggiori, una tappa di un percorso di crescita che rappresenta la ripetizione delle regole del gioco all’interno delle società ma anche nella vita privata di ciascun individuo che, volente o nolente,w è solo la manifestazione di un «tutto di cui è parte». Tutto che, in ogni cultura e in ogni religione (ovviamente con differenze formali e anche sostanziali) nasce da un atto di volontà. Un gioco, quindi, deciso da una sorta di burattinaio? Non ci è dato saperlo fino in fondo. Nei tarocchi come nella Qabbalah, a cui, vedremo, sono collegati da un filo sottile. Il principio è inconoscibile. Ma scaturisce da un atto di volontà.

2 - continua