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 2016  luglio 15 Venerdì calendario

AL DI LÀ DELLA “BOLLA D’OPINIONE” SULLA CINA

In quest’epoca di comunicazione rapida, continua e su qualunque piattaforma, ci siamo ormai abituati a bolle d’opinione che si formano, crescono, esplodono e crollano in cicli simili a quelli delle bolle finanziarie. Funziona in modo paragonabile, perché anche le bolle finanziarie sono in origine bolle di opinione. Qualcuno dice qualcosa che ha un seme di verità, qualcun altro se ne convince, con il tempo quell’affermazione diventa saggezza convenzionale e poi assoluta e indiscutibile verità; infine qualcuno dice qualcosa che pianta il seme del dubbio in quell’affermazione originale, quindi parte e poi accelera un nuovo ciclo in direzione opposta.
I mercati crescono e crollano così. La reputazione dei Paesi e delle loro economie anche. Il caso più evidente degli undici quindici anni è probabilmente la Cina, che ha ormai attraversato tutte le fasi di una tipica bolla di opinione. A un certo punto la saggezza convenzionale e poi l’unica verità era che la seconda economia del mondo fosse fortissima e sarebbe rimasta comunque molto dinamica. Poi si è cominciato a sostenere - e infine tutti si sono convinti - che dietro quell’enorme capacità industriale ci fosse un eccesso di investimenti produttivi affrontati a debito e che la Cina è solo un altro grande crash in attesa di avvenire.
C’è della sostanza, dietro questi argomenti. Dall’inizio della crisi finanziaria in Occidente il debito totale della Repubblica popolare, privato e pubblico, è quadruplicato fino all’equivalente di 28.500 miliardi di dollari. Ha superato il 250% del reddito nazionale, in gran parte a causa della crescita del debito delle imprese non finanziarie. La Cina oggi ha un vasto eccesso di impianti installati e capacità produttiva in settori come l’acciaio, i pannelli solari o l’automobile. Poiché questo fenomeno riguarda soprattutto la manifattura a basso valore aggiunto, la Cina oggi sta esportando deflazione in tutto il mondo: vende acciaio sottocosto pur di tenere gli impianti aperti e le persone al lavoro; la sua moneta si sta svalutando al ritmo di quasi il 10% annuo, per garantire un mercato a questi beni facilmente replicabili. Ma ogni yuan in investimenti industriali a debito genera meno di uno yuan di crescita e sempre meno fatturato. Quindi è certo che genererà in futuro problemi di insolvenza e recessione.

il gap italiano. Questa «verità» oggi è diventata opinione convenzionale. Ma siamo certi che sia anche una descrizione accurata della Cina oggi? Personalmente ho qualche dubbio. Nel raccontare prima l’ascesa e poi il declino dell’industria pesante nel Paese più popoloso al mondo, rischiamo di trascurare un dettaglio: sta sviluppando aree di innovazione e progresso tecnologico sempre più vaste e lo fa meglio e più in fretta di noi. In altri termini, ci sta battendo in quello che avrebbe dovuto essere il nostro gioco: prodotti unici ad alto valore aggiunto, ma meno costosi di quelli americani. Gli esempi non mancano. Gruppi capaci di muoversi su scala globale come Xiaomi o Huawei sono già in grado di produrre smartphone con tutte le funzionalità degli iPhone Apple ma a una frazione del prezzo (nessuna casa italiana o europea è in grado di fare smartphone competitivi). Xiaomi sta replicando la stessa formula anche con i droni, di un quarto meno cari di quelli del leader di mercato americano Dji. Un mercato di vendite online già superiore agli Stati Uniti (e nel 2018 superiore a Stati Uniti e Europa messi insieme) sta sostenendo la crescita di alcuni colossi del web di dimensioni globali come Alibaba o Tencent. Con Baidu la Cina ha generato un proprio social network da centinaia di milioni di iscritti. Di nuovo, l’Italia e l’Europa sono lontanissime dal riuscirci e anzi non ci stanno neanche provando.
La Cina oggi produce 30 mila dottorati all’anno in scienza e ingegneria (un multiplo rispetto all’Italia), la sua quota di laureati sulla popolazione totale supererà quella italiana nel prossimo decennio e con 200 miliardi di dollari è seconda al mondo per spesa in ricerca dopo gli Stati Uniti. È già prima al mondo sulle domande di brevetti. La domanda per la Repubblica popolare è se riuscirà a diventare abbastanza tecnologica prima che i debiti del settore industriale tradizionale la schiaccino. Per noi, è semplicemente se davvero vogliamo farci sorpassare un’altra volta: anche nell’alto di gamma. Ma non dipende da loro. Dipende da noi.