Aldo Cazzullo, Sette 15/7/2016, 15 luglio 2016
C’ERA UNA VOLTA MICHEL ROCARD
Michel Rocard non era un simpaticone – la simpatia non è la principale qualità dei francesi –, ma era una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto.
Detestava Mitterrand, e ne era detestato. Per questo, quando nel 1988 Mitterrand fu rieletto presidente e convocò a pranzo i capi del partito socialista, frementi nell’attesa di sapere chi tra loro sarebbe stato prescelto per guidare il governo, Rocard fu l’unico a restare tranquillo: era certo che non sarebbe toccato a lui. Al momento del dessert, Mitterrand guardò l’orologio e disse: «Non bisognerebbe dimenticare che, tra un’ora e un quarto, nominerò un primo ministro…». Poi guardò il suo braccio destro, Pierre Bérégovoy, e aggiunse: «Si tratta di un esercizio puramente politico, del tutto estraneo a qualsiasi categoria intellettuale conosciuta con il nome di amicizia, fiducia, fedeltà o cose del genere. Di fatto, la nomina di un primo ministro è il risultato dell’analisi di una situazione politica» (neppure Mitterrand era simpatico; ma ve l’immaginate un politicante italiano parlare così?). Altra pausa a effetto, infine il verdetto: «E l’analisi della situazione politica attuale è chiara. C’è un piccolo premio per Michel Rocard».
Rocard per poco non svenne con la faccia in avanti tipo Fantozzi, per la sorpresa. Mitterrand aveva ritagliato per sé nel secondo settennato un profilo da padre della patria; e lasciava l’onere del governo, oltretutto senza una maggioranza parlamentare stabile, al rivale destinato a logorarsi. E quando fu logorato, lo cacciò. Al suo posto andò per pochi mesi una donna, Edith Cresson; e subito dopo Mitterrand nominò primo ministro Pierre Bérégovoy, morto suicida dopo la sconfitta elettorale del 1993.
Rocard se n’è andato invece il 2 luglio scorso. Fu il capofila della sinistra riformista, per nulla succube dei comunisti e proprio per questo capace di audacia sul terreno sociale e anche di linguaggio chiaro: parlando di immigrazione, Rocard fu il primo a dire che la Francia non poteva accogliere tutti, che sarebbe scoppiata una guerra tra poveri, e la sinistra avrebbe perso il voto delle classi popolari.
Il settimanale Le Point ha raccolto la sua ultima intervista, citata da Giuliano Ferrara sul Foglio. Un testamento politico. Le cose più interessanti non sono i giudizi sul passato; sono le considerazioni sul presente. Rocard non stima l’attuale capo dello Stato, François Hollande, e non solo perché lo ritiene un nipotino di Mitterrand. «Il problema di Hollande», dice, «è di essere un figlio dei media. La sua cultura e la sua testa sono ancorate al quotidiano. Ma il quotidiano non ha quasi nessuna importanza». Fare politica significa correggere gli errori e trarre profitto dalle scelte azzeccate; «e questo richiede tempo. La risposta mediatica, necessariamente immediata, non ha dunque senso. E i francesi non fanno tutti i giornalisti. Avvertono di essere governati a corto termine, e capiscono che questo è male».
Perché a ogni elezione in Europa vince chi si oppone? «Perché per dirigere una società bisogna capirla», risponde Rocard. «Oggi non capiamo più neppure noi stessi. Torniamo a casa la sera e ci mettiamo davanti alla tv: al 60% è cronaca. Non ci danno né gli strumenti né il tempo per capire. La stampa corre dietro al rullo dell’informazione, alla tv, alla rete…Il sistema funziona per l’intrattenimento. Come capire la crisi economica, come capire il Medio Oriente?». Fateci caso: del conflitto arabo-israeliano non si parla quasi più; lo si dà per scontato. Ma ascoltiamo ancora Rocard: «Il mondo del sapere non produce più conoscenze interdisciplinari, i sociologi non lavorano con gli economisti, gli economisti non hanno quasi contatti con i politici. I politici sono una categoria tormentata dalla pressione del tempo. Non una sera libera, non un weekend tranquillo. Non un momento per leggere; e la lettura è la chiave della riflessione. Infatti non inventano più nulla».
L’ultima domanda dell’intervista è quella classica che poneva ai suoi ospiti Bernard Pivot: il giorno in cui incontrerà Dio, cosa le piacerebbe sentirlo dire? Risposta di Rocard: «Piccolo mio, non hai poi lavorato troppo male; hai tentato di non dimenticare mai i principi immutabili della società degli umani».