Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 15 Venerdì calendario

BANCHE SOTTO STRESS

Imparare dagli errori. Per comprendere quel che sta accadendo in questi giorni intorno alle banche, è bene tornare indietro di qualche mese. Lo scorso autunno, le autorità italiane parevano convinte di poter salvare senza alcun danno quattro piccoli istituti del centro Italia in crisi, ormai da tempo sotto la gestione diretta - tramite commissariamento - della Banca d’Italia di Ignazio Visco. Per settimane tra Roma e Bruxelles andò avanti una trattativa per far entrare in Banca Marche, Popolare dell’Etruria, CariFerrara e CariChieti il Fondo interbancario per la tutela dei depositi, opportunamente finanziato con 2 miliardi di euro dagli altri istituti bancari. Ancora in ottobre sembrava fatta, poi la Commissione europea disse no. Perché? Perché le banche al Fondo non aderiscono su base volontaria ma vi sono obbligate. Per Bruxelles, dunque, erano aiuti di Stato. «Mi sfuggono le motivazioni giuridiche del no», commentò il 10 novembre il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, definendo «cavilli» gli argomenti della Commissione.
La crisi di fiducia che si è abbattuta sulle banche dopo il caso di novembre ha però prodotto pesanti effetti. Le autorità italiane non avevano un piano B e, da allora, tanti problemi sono emersi. Si è visto che non esistono privati interessati a sottoscrivere gli aumenti di capitale di istituti importanti come Popolare Vicenza e Veneto Banca. Le parti sane delle quattro banche salvate per decreto il 22 novembre non hanno trovato un compratore, nonostante sia passata la prima scadenza concordata, il 30 giugno. Infine, nonostante alcuni passi avanti, come la fusione Banco Popolare-Bpm, altri istituti non hanno risolto i guai che li affliggono, a cominciare dal Monte Paschi. Tutto questo a pochi giorni dall’esito degli stress test che l’Europa sta conducendo sui conti delle banche (vedi pagina 20).
È partendo da questi fatti che il premier Matteo Renzi e il ministro Padoan hanno affrontato la difficile trattativa con l’Europa e con i Paesi che non vorrebbero concedere troppi margini di manovra all’Italia, a cominciare dalla Germania di Angela Merkel. L’obiettivo del governo è stato muoversi all’interno degli spazi lasciati aperti dalla direttiva sul "bail in", spiegati a pagina 19, predisponendo un ombrello di possibili interventi pubblici che lo Stato, se qualche banca ne avesse bisogno, potrà decidere di aprire. Tutto è appeso all’unico appiglio che le norme lasciano a un salvataggio pubblico: e cioè il fatto che un caso di dissesto possa determinare «una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro».
È difficile negare che questo rischio sia concreto. Allo stesso tempo, è dura immaginare che Merkel & C. rinuncino del tutto a far pesare il principio del bail in, e cioè il fatto che, in caso di crisi, i primi a rimetterci devono essere gli investitori che hanno puntato i loro capitali su una banca. Di qui una delle ipotesi circolate: salvare i risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni convertibili, sacrificando invece, se avvenisse un dissesto, gli investitori istituzionali. Una strada stretta, per Renzi e Padoan. Che, come monito, dovrebbero ricordare l’esultanza della commissaria europea Margrethe Vestager dopo il niet di Bruxelles sui quattro istituti e il decreto del governo: «Sono state ridotte al minimo le distorsioni della concorrenza», disse. Intanto, in Borsa, le banche iniziavano un crollo che non si è più fermato.