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 2016  luglio 15 Venerdì calendario

CAZZOLI E BAZULLO

Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo, è un noto zuzzurellone anticonformista. Infatti ieri, con un’intervista (si fa per dire) ad Aldo Cazzullo sul Corriere di cui Intesa Sanpaolo è azionista, ha voluto unire la sua autorevole voce a quelle di Confindustria, Confcommercio, Cia, Confagricoltura, Coldiretti, Cisl, Federico Moccia e Gigi Buffon (ancora incerto, però) per il Sì al referendum. Posizione legittima, e pure comprensibile, vista la soave corrispondenza d’amorosi sensi tra Pd e banchieri. Ma non solo per quella: anche per le sue rocciose argomentazioni. L’intervistato, informa l’intervistatore, “ha tra le mani il diario del padre Stefano, ‘Vivrò’, appena pubblicato per iniziativa della Morcelliana”. Quindi Cazzullo entra chez Bazoli e il padrone di casa l’accoglie col tomo paterno in mano: vuole favorire? Non manca, sempre nell’incipit, il racconto di un’udienza concessa da Paolo VI al banchiere e gentil consorte, in cui Montini – anche lui bresciano – “disse di aver conosciuto mia mamma come una donna ‘bella, buona e brava’” e, attenzione, “fu mia moglie a farmi notare che il Papa aveva usato gli aggettivi in quell’ordine”. Non, per dire, “brava, buona e bella”, né “buona, bella e brava”, né tantomeno “bella, brava e buona”, bensì “bella, buona e brava”.
Annotato, per non scordarcelo, l’ordine degli aggettivi, scopriamo un particolare un filo più attinente al tema dell’intervista (la riforma ottenuta da Renzi con “irriducibile determinazione”): Stefano Bazoli, padre di Giovanni e figlio di uno dei fondatori del Partito popolare, nel 1946 fu “eletto alla Costituente”. Cioè contribuì a scrivere quella Costituzione che ora Renzi, con irriducibile determinazione, ma soprattutto con la Boschi & Verdini, sta facendo a pezzi. La cosa non disturba affatto il banchiere, anzi: il suo Sì al referendum “è un orientamento istituzionale, non politico”. Il politico pensa “alle conseguenze per il governo della vittoria del sì o del no”. Lui no, lui si pone “un altro interrogativo: se, nel caso di una bocciatura del referendum, sarà ancora possibile varare in Italia una riforma di questa portata”. Cazzullo s’illumina d’immenso, anzi d’incenso: ma “è la posizione di Napolitano”, sempre sia lodato! Risposta: “Napolitano ha ragione: sono 50 anni che si cerca di rendere più efficiente il funzionamento dello Stato”. Esattamente dal 1966, dice lui, anche se non risultano in quell’anno, né in quelli limitrofi, proposte di abolire le elezioni del Senato per riempirlo di consiglieri regionali e sindaci nominati e immuni.
Dice: almeno Bazoli condividerà la “riforma”. Invece no, sorpresa: “È stata sviluppata in modo molto discutibile”. Apperò. E pure l’Italicum è un altro obbrobrio, con quel “premio di maggioranza sproporzionato oltre ogni limite ragionevole”. Ergo lui dirà Sì a una riforma molto discutibile, combinata con un’altra irragionevole, perché – ha ragione Napolitano, che Dio l’abbia in gloria – se vince il No non sarà più possibile varare in Italia una riforma di questa portata. Tesi avvincente per due motivi.
1) È la stessa del centrodestra di 10 anni fa, quando gli italiani bocciarono una “riforma” di uguale portata: quella di Berlusconi & Calderoli. Solo che allora Bazoli votò No, come Napolitano e tutto il centrosinistra, che non solo non temeva, ma anzi auspicava che, dopo quella sonora bocciatura, nessuno riprovasse mai più a riscrivere un terzo della Carta a colpi di maggioranza. Ora invece ci riprova il Pd, con l’appoggio di Bazoli e Napolitano.
2) Dire che una riforma fa schifo e poi votarla perché potrebbe essere l’ultima non è solo una previsione campata in aria (che ne sa Bazoli se, in futuro, qualcuno farà un’altra riforma?). È anche un controsenso logico. Tipo entrare in pasticceria, assaggiare un bignè, scoprire che sa di merda ma, anziché sputarlo, inghiottirlo d’un fiato e dire alla commessa mortificata: “Non si preoccupi, signorina, lo mangio lo stesso. Anzi, me ne incarti mezzo chilo per la cena di stasera: è vero, ha un gusto molto discutibile, ma mi chiedo se, nel caso di un mio rifiuto, sarà ancora possibile in Italia sfornare bignè”.
Dopo aver promesso un “orientamento istituzionale, non politico”, cioè sul merito della riforma e non sulle conseguenze per il governo, l’allegro banchiere imbocca un orientamento politico: “In caso di bocciatura del referendum, il Paese si troverebbe in una situazione drammatica…: il presidente della Repubblica non avrebbe di fatto la possibilità di indire nuove elezioni, finché non fossero riformati i sistemi elettorali di entrambe le Camere”. Come se la crisi di governo, agitata da Renzi per ricattare gli elettori, fosse un evento ineluttabile. Come se non fosse compito del capo dello Stato, e non di quello del governo, sciogliere le Camere. E, soprattutto, come se non fosse già pronta una legge elettorale di sicura costituzionalità, sia per la Camera sia per il Senato: il Consultellum (proporzionale con sbarramento e preferenza unica con cui votammo nel ’92), scritto dalla Consulta nella sentenza anti-Porcellum.
Ma nel finale dell’intervista tutto si chiarisce: “Le banche italiane sono rimaste fedeli alla loro funzione, che è quella di finanziare imprese e famiglie” e “il sistema bancario italiano è fondamentalmente sano”, però il governo “può e deve farsi ascoltare in Europa trattando a testa alta” sul salvataggio pubblico delle banche (ma non godono ottima salute?). E così, proprio in coda, tutti comprendono il movente del Sì bazoliano. Un orientamento non proprio istituzionale, e neppure politico. Un orientamento, per così dire, bancario.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 15/7/2016