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 2016  luglio 14 Giovedì calendario

RIO A MANO ARMATA

Cidade maravilhosa scriveva nel 1934 André Filho, compositore carioca. Cidade perigosa, pericolosa, la definisce oggi Eduardo Paes, 46 anni, sindaco di Rio dal 2009. «La mancanza di sicurezza è il problema più grave di Rio e lo Stato sta facendo un lavoro terribile. È del tutto mancato nel suo lavoro di polizia e nel prendersi cura delle persone». Ai microfoni della Cnn la settimana scorsa, a un mese dai Giochi, si è scagliato contro le istituzioni statali (quelle dello Stato di Rio), ree a suo dire di non aver fatto abbastanza sul tema «sicurezza». E la settimana scorsa la rivista brasiliana Veja ha pubblicato un’inchiesta che pare dargli ragione. «Un morto ogni 2 ore» si intitola ed è un reportage che si è sviluppato nel weekend del 2-3 luglio a Rio. La sintesi: in 48 ore 27 assassini da arma da fuoco, 20 feriti, 19 sparatorie e solo 7 arresti.
Numeri da conflitto siriano. Nello stesso weekend nella martoriata Damasco e dintorni si sono registrati 70 omicidi, su una ventina di milioni di popolazione. A Rio sono un terzo gli abitanti. In proporzione gli omicidi sono quasi gli stessi. Un tranquillo weekend di paura? Una scia di sangue eccezionale? Forse, ma i numeri che offre Veja non confortano neanche «sulla lunga distanza». Nel 2015 si sono registrati 1.202 assassinii (3,3 al giorno); Chicago, la città più violenta negli Stati Uniti è a 470 morti violente. Il Dipartimento della Salute statale ha reso noto che da gennaio 2015 a oggi (in un anno e mezzo) gli ospedali carioca hanno offerto soccorso a 4.053 vittime di proiettili, cioè 7,4 al giorno. Una situazione tragica. Che riguarda, come zone della città, l’area che va dall’aeroporto internazionale Tom Jobim giù fino al Maracanà, lungo la Rodovia 101. E la zona a sud di Nilopolis, vicino a Deodoro, dove si disputeranno pentathlon, basket e rugby.
Ma il crimine ormai colpisce a ogni ora e ovunque. Per esempio a Duque de Caxias, Baixada Fluminense, 15 km a Nord dell’aeroporto, dove sono stati uccisi già 10 candidati alle elezioni municipali; sabato 2 luglio alle 9 di mattina esecuzione con 21 colpi di pistola di Berem do Pilar. La polizia non basta. E come negli Usa spesso spara prima di essere aggredita. Quella di Rio è la più violenta del Brasile. Per Human Rights Watch ha ucciso oltre 8 mila persone negli ultimi 10 anni, oltre 2 al giorno. Ma piange anche i suoi morti. Le Unidade de Polícia Pacificadora (UPP), le squadre istituite dal governo carioca nel 2008 per debellare dalle favelas trafficanti e organizzazioni criminali, hanno registrato ben 37 morti e 418 feriti (8 in questi 6 mesi) in 7 anni.
È un Paese che vive ancora le disuguaglianze ereditate dal colonialismo: dove l’1% della borghesia ricchissima controlla il 58% dell’economia. E l’8-10% della piccola borghesia lotta per non essere assorbita dal resto del Paese. Perché dopo gli anni felici del presidente Lula (e dell’assegnazione di Mondiali e Olimpiade, nel 2009) nel 2011 è arrivata la crisi economica. Il Brasile dipende dall’export delle materie prime per il 40%, così nel 2015 ha visto perdere 1,5 milioni di posti di lavoro, il Pil è crollato di quasi il 4%, l’inflazione viaggia sopra il 10 e il real si è svalutato del 35-40%. Insomma, crisi nera. Aggravata dallo scandalo Lava Jato, autolavaggio, serie di mazzette date dal colosso del petrolio statale Petrobras a vari politici, fra cui i presidenti delle due Camere, e partiti. E crisi diventata drammatica con l’impeachment della presidente Rousseff. Il governo di Rio a metà giugno per la prima volta nella storia ha dovuto proclamare «lo stato di calamità per motivi finanziari», chiedendo aiuto economico al governo di Brasilia. I soldi servono a pagare anche gli stipendi delle polizie e forze armate. Altro che Cidade maravilhosa…