Maurizio Stefanini, Libero 15/7/2016, 15 luglio 2016
MA LE NOSTRE FERROVIE SONO FRA LE MIGLIORI DIECI
Con i 26.500 km misurati nel 2011, l’Italia è l’undicesimo Paese al mondo per lo sviluppo del suo sistema ferroviario. Per densità ferroviaria, però, se togliamo un pugno di cinque Paesi minuscoli la cui statistica non è significativa, saliamo all’ottavo posto: 12,46 chilometri quadrati di territorio per ogni chilometro di ferrovia. Ci precedono Svizzera, Germania, Repubblica Ceca, Belgio, Lussemburgo, Romania e Ungheria, ma stiamo meglio di Regno Unito, Giappone, Francia, Spagna, e anche quegli Stati Uniti, Russia, India e Canada, Paesi che sono ai primi cinque posti dello sviluppo totale. E solo la Germania ci precede in entrambe le classifiche. Con 16.683 km, siamo poi settimi come elettrificazione della rete: dieci volte gli Stati Uniti, tre volte il Regno Unito, qualcosa in più della Francia, e di nuovo solo la Germania ci precede nelle tre classifiche. Siamo invece solo 45esimi come rapporto tra popolazione e ferrovia, con 2507 abitanti per km. Ma, anche qui, se consideriamo i Paesi con superfice, popolazione e ricchezza comparabile alla nostra, siamo nel gruppo: la Germania sta a 1881, la Francia a 2201, la Spagna a 3062, il Regno Unito a 3825. In compenso, e malgrado l’ultima tragedia, statisticamente le nostre linee sono più sicure dei nostri vicini. I dati del 2014 indicano 113 vittime e 132 incidenti contro le 302 della Germania, le 225 della Romania, le 202della Polonia e le 140 della Francia. Tenendo conto che l’Irlanda allora era parte del Regno Unito e che Baviera, Prussia e Sassonia sono oggi tutte e tre parte della Germania, siamo anche nella top ten delle nazioni che hanno ottenuto le prime ferrovie: esattamente decimi con la Napoli-Portici del 1839, seguita dalla Milano-Monza (1840), dalla Pisa-Livorno (1844) e dalla Lucca-Pisa (1846), che collegando il Ducato di Lucca al Granducato di Toscana fu la prima linea internazionale della Storia.
I VERSI DI CARDUCCI
Il capitalismo moderno è d’altronde nato dalle ferrovie, e la cultura italiana ha d’altronde sottolineato subito il legame tra il treno e la modernità e il progresso: un collegamento che oggi la contestazione No Tav sembra confermare per contrapposizione. «Un bello e orribile/ mostro si sferra/ corre gli oceani/ corre la terra», cantava nel 1863 Giosuè Carducci nel suo “Inno a Satana”. «Corusco e fumido/ come i vulcani/ i monti supera/ divora i piani;/ sorvola i baratri/ poi si nasconde/ per antri incogniti/ per vie profonde/ ed esce; e indomito/ di lido in lido/ come di turbine/ manda il suo grido». In Italia i 7 km e 250 metri della Napoli-Portici, inaugurata da Ferdinando II di Borbone il 3 ottobre 1839, sono tuttora collegati a una polemica meridionalista e anche neo-borbonica, su un primato industriale del Sud che l’Unità avrebbe stroncato. Gli storici di altro orientamento ribattono che però già nel 1853 il Regno delle Due Sicilie era diventato il fanalino di coda: appena 83,474 km di linee contro i 282,990 del Lombardo-Veneto, i 244,653 del Granducato di Toscana e i 220,183 del Regno di Sardegna. Più lento ancora lo sviluppo dello Stato Pontificio, anche se Pio IX la prendeva con spirito. Quando nel 1867 andò a inaugurare nella Stazione Termini un’opera spropositata rispetto alle modeste esigenze della Roma dell’epoca, disse ridendo all’autore del progetto Salvatore Bianchi: «Capisco, hai voluto già preparare la stazione per la capitale d’Italia».
Controllata dopo l’unità da James Rotschild al nord, dal livornese Piero Bastogi al sud, da capitali francesi le linee romane e calabro-sicule, da capitali inglesi quelle sarda, la rete italiana fu nazionalizzata da Giolitti tra 1905 e 1906, dopo che su una prima proposta di statizzazione era caduta nel 1876 la Destra storica.
VAGONI E SOLDATI
Ancora insufficientemente utilizzata in base alle medie europee per via della povertà della popolazione, giusto un secolo fa la rete ferroviaria italiana dimostrò però la sua potenzialità con la Grande Guerra, quando trasportò 35 milioni di soldati, un milione di feriti, 1,3 milioni di quadrupedi e da 12.000 a 100.000 munizioni al giorno. Il mito dei treni in orario di Mussolini è stato contestato da chi obietta una sua iniziale reticenza all’elettrificazione, ma in compenso quando il regime infine si decise fece le cose in tal modo che già nel 1939 i 1400 km di rete ponevano l’Italia all’avanguardia d’Europa, e pionieristico per superare il modello del vapore fu anche dal 1932 l’utilizzo di quelle automotrici a benzina che il popolo ribattezzò appunto Littorine.
Distruzione della guerra a parte, per cui solo nel 1949 la rete tornò ai livelli pre-bellici, l’Italia repubblicana ha fondato il suo boom sul trasporto su strada, per cui la quota dei passeggeri delle ferrovie rispetto ai trasporti terrestri scende al 16,2 del 1965 e al 10, 9 del 1979. Ma la Seconda Repubblica ha coinciso con un’epoca di Tav e privatizzazioni che in qualche modo ha riportato le ferrovie al centro del discorso. Dal 13 dicembre 2009 per andare da Roma a Milano il Frecciarossa ha abbattuto per la prima volta la barriera delle tre ore: due ore e 59 minuti, per la precisione, che diventano 2 ore e 45 minuti tra Roma Tiburtina e Milano Rogoredo, e proprio in Italia con la liberalizzazione ferroviaria europea del primo gennaio 2010 dal 28 aprile 2012 in concorrenza con l’ancora statale Trenitalia ha iniziato il suo servizio commerciale la Ntv di Luca Cordero di Montezemolo. Primo esempio al mondo di un sistema di alta velocità non più in condizioni di monopolio.