Simona Siri, Vanity Fair 13/7/2016, 13 luglio 2016
«IO PENSO POSITIVO». INTERVISTA A CHERLIE SHEEN – Immaginate di dover lanciare sul mercato un nuovo preservativo, rivoluzionario per sicurezza e resistenza
«IO PENSO POSITIVO». INTERVISTA A CHERLIE SHEEN – Immaginate di dover lanciare sul mercato un nuovo preservativo, rivoluzionario per sicurezza e resistenza. Chi chiamereste come testimonial, tra i grandi di Hollywood? Se la risposta è Charlie Sheen la pensate come quelli della Lelo, l’azienda svedese che per il nuovo Lelo Hex si è affidata al suo volto e alle sue parole. Non a caso: dopo una vita di eccessi, nel novembre del 2015 Sheen ha reso noto – unico attore nella storia di Hollywood: di Rock Hudson lo si seppe nel 1985, anno della morte – di aver contratto l’Hiv, il virus dell’Aids. «Quando Lelo mi ha chiesto se volevo diventare il loro portavoce, ho pensato subito che fosse giusto: non ho usato il preservativo due volte e l’ho pagata cara». Sheen ha l’aria del classico cattivo ragazzo arrivato suo malgrado ai 50 anni, uno per il quale la vita privata e gli scandali hanno oscurato quello che di buono aveva fatto in gioventù. Diventato famoso a 21 anni grazie a Platoon e al primo Wall Street, ha trascorso gran parte degli anni ’90 tra droghe, alcol, sesso con pornostar e film più o meno mediocri. Nel 2000, la seconda grande occasione: protagonista prima della serie Spin City e poi di Due uomini e mezzo, vince un Golden Globe, viene nominato due volte per l’Emmy e diventa – con 1,8 milioni a episodio – l’attore più pagato della Tv americana. Riesce però a rovinare anche questo. Nel 2011, per la terza volta in un anno, entra in riabilitazione, ma sei mesi dopo viene comunque licenziato dalla Cbs. Da allora solo scandali, interviste folli, accuse di maltrattamenti da parte di Brooke Mueller, la terza moglie (le altre sono Donna Peele e Denise Richards, da cui ha avuto due figlie: anche Richards l’ha accusato di abusi domestici). Fino ad arrivare alla notizia bomba dello scorso novembre. «Non voglio dire che sono diventato il volto nuovo dell’Hiv, ma in un certo senso è così. D’altronde che altro posso fare? A questo punto della mia vita tanto vale che mi renda utile per qualcosa di serio e concreto». Il problema è: durerà? È vero che gli americani amano le seconde occasioni, ma con Sheen siamo già alla terza. «È questione di vita o di morte. Di vita o di morte», ribadisce scuotendo la testa. Perché gli uomini non usano i preservativi? «Essenzialmente perché si sfilano, perché la sensibilità è ridotta e perché si rompono. Il nuovo Lelo Hex ha migliorato tutti e tre questi aspetti: quindi non si hanno più scuse per non usarlo. La sensibilità, per esempio, è dalle 60 alle 70 volte superiore a quella di un normale preservativo. Negli ultimi anni c’è stato un calo nell’uso e il virus Hiv è tornato a circolare, gli infettati sono aumentati. Mai come oggi è importante spiegare ai giovani quanto sia cruciale praticare sesso sicuro». Scusi se insisto, ma con la vita che faceva non ha pensato che stava rischiando? «Il problema dell’Hiv è che tutti dicono: tanto a me non succederà mai. Che è esattamente quello che pensavo anch’io. Credevo fosse una malattia che riguardava i tossici, e io non ho mai usato aghi». Lei ha fatto coming out sulla sua malattia l’anno scorso, ma la diagnosi era del 2011, l’ha tenuta nascosta per quasi quattro anni. Ha mai pensato che avrebbe potuto o dovuto dirlo prima? «Certo, però ormai non posso tornare indietro. Avrei dovuto farlo prima, è vero. Ma accetto le conseguenze delle mie azioni. Non puoi cambiare il passato: puoi imparare o essere condannato, se non impari niente». Come è stata la reazione dei colleghi? «Molto buona. Ma non solo a Hollywood: per strada vengo spesso fermato da altri sieropositivi che mi ringraziano e dicono di aver trovato il coraggio di venire allo scoperto dopo che l’ho fatto io. È importante, perché la vita è assolutamente migliore senza doversi tenere dentro un segreto così». La mia impressione è che, nonostante gli scandali e le droghe, la gente la ami molto. Si è mai chiesto perché? «E io l’amore me lo prendo tutto! Credo che in me vedano onestà e la rispettino. Nel mio mondo ci sono colleghi molto protettivi della loro vita privata. Io, al contrario, non ho mai risposto “no comment” alle domande dei giornalisti. In più penso che la gente capisca che non sono cambiato, che c’è coerenza nel mio modo di essere. Non posso e non voglio convincere nessuno a provare empatia per me, quello che posso fare è mostrarmi l’uomo che sono diventato e sto ancora diventando. Quello che pensano gli altri alla fine non mi importa». Adesso di salute come sta? «Molto bene. Sono parte di uno studio della Fda (Food and Drug Administration, l’agenzia americana che controlla i farmaci, ndr). Invece di prendere pastiglie tutti i giorni faccio un’iniezione alla settimana di un farmaco nuovo che si chiama Pro 140. Questo rende la vita molto meno complicata e, soprattutto, non ha effetti collaterali. Il farmaco lo stanno sperimentando su di me, sono diventato una cavia da laboratorio, ma se questo può aiutare altri ne sono felice». Crede nella scienza e nei dottori? «Non ho mai avuto un buon rapporto con i medici. Qui però non è questione di fiducia ma di numeri: le tracce di virus nel sangue non sono più riscontrabili. Vuol dire che hanno ragione loro. Li devo ascoltare». L’anno più brutto della sua vita? «Quando avevo 4 anni? No, scherzo. Forse il 1997: sono finito in overdose, ho perso il lavoro. Ma sono sopravvissuto. Sa come si dice, no? Nessuna ferita, nessuna storia da raccontare». Lei è diventato famoso molto giovane. Pensa che parte dei suoi problemi con le droghe e l’alcol venga da lì? «Assolutamente. Tutti ti ripetono: se non hai successo, riprova e insisti, ma nessuno ti spiega come comportarti se fai il botto alla prima occasione. E invece il difficile è proprio lì: che si fa? Non te lo dicono. Tu ci sei in mezzo, sembra tutto irreale. La cosa positiva è che quando commetti errori da giovane poi hai tempo per recuperare le stronzate che hai fatto». Avere successo subito è più difficile perché credi di non meritartelo? «Esattamente quello che provavo io. Pensavo di essere un bluff, che avevo solo fortuna e nessun talento, e che prima o poi sarei stato smascherato». E un padre famoso non aiuta, immagino. «Infatti. Tutti pensano che tu lavori solo grazie a lui, quando invece è il contrario: mio padre non mi ha mai aiutato». Cos’altro non aiuta? «Lo stile di vita: intorno hai gente che ti dice sempre sì quando, a 20 anni, servirebbero dei gran no». Come è il suo stile di vita, adesso? «Il mio motto è: il mattino appartiene alla notte precedente. Cioè quello che fai la notte lo paghi il mattino dopo. Non ha idea di quanto mi piaccia adesso svegliarmi riposato, in tempo per salutare i miei figli, essere lucido, presente. È una bella sensazione trascorrere un’intera giornata senza deludere qualcuno. Oggi per me il massimo del vizio è fare un pisolino pomeridiano». I suoi figli più giovani hanno 7, 11 e 12 anni. Se tra dieci anni vengono da lei e le dicono che vogliono provare la cocaina? «Dico di no. Sarei più a mio agio con il fumo e il bere. Se insistessero direi di provarla a casa, in un ambiente controllato e in un modo che non sia tabù. A volte per rendere le esperienze meno interessanti basta toglierle quell’alone di proibito, di mistero». E quando la googleranno e vedranno le accuse di maltrattamento delle sue ex mogli? «Spiegherò loro che quello che riportano i giornali non è mai la completa verità perché, se non si è presenti, non si può mai davvero sapere quello che è successo. L’altro giorno mi hanno chiesto un commento su un attore accusato di aver picchiato la moglie, ma io che posso dire?». Sta parlando di Johnny Depp? «Ci conosciamo dal 1985 e, per me, è la persona migliore del mondo. Non si può condannare senza sapere». Com’è oggi il rapporto con le sue ex mogli? «Buono. Io ci sono e provvedo per loro e alla fine nessuno muore di fame, nessuno è depresso, nessuno vive sotto un ponte. Gli alti e bassi fanno parte della vita, no?».