Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 13/7/2016, 13 luglio 2016
METRO C, CORSA CONTRO IL TEMPO. MA QUASI TUTTO RESTERÀ IMPUNITO
La storia della Metro C di Roma è uno scandalo di proporzioni gigantesche che non avrà mai una sanzione giudiziaria. Se gravi reati sono stati commessi sono tutti prescritti. La Procura di Roma, attivata nel 2014 dal segretario dei Radicali italiani Riccardo Magi, dal sindaco Ignazio Marino e dall’assessore alla Mobilità Guido Improta, può occuparsi solo dei fatti più recenti.
Un paradosso e una beffa. L’inchiesta dei pm Erminio Amelio e Paolo Ielo verte principalmente sullo scontro interno alla giunta Marino a proposito del cosiddetto “atto attuativo” del settembre 2013, con il quale furono riconosciuti 320 milioni di ulteriori pagamenti alla società costruttrice Metro C. Improta, che avallò l’accordo per non fermare un troncone della metro già pagato per il 90 per cento, è indagato per truffa ai danni dello Stato. Il testimone chiave dell’accusa è l’allora assessore capitolino al Bilancio Daniela Morgante, che eccepì la legittimità delle delibere, prima di dimettersi al culmine dello scontro con il sindaco marziano. Peraltro buona parte di quei soldi non sono ancora stati versati, e proprio ieri il nuovo assessore alla Mobilità Linda Meleo ha riunito il suo staff per decidere il da farsi.
Come si vede, agli uomini del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone è rimasto ben poco da fare. Il grande furto di denaro pubblico è avvenuto in un’epoca dorata in cui il Campidoglio era il bancomat degli appaltatori e la Procura di Roma era ancora il porto delle nebbie. Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco, era l’ottavo re di Roma riverito da sindaci di destra e di sinistra. Il sindaco di Roma Walter Veltroni scelse di fare la Metro C attraverso la Legge Obiettivo (definita “criminogena” da Raffaele Cantone) per rendere omaggio al premier Silvio Berlusconi, fiero di quella sua legge e dispensatore dei fondi statali per la Metro C. Era l’epoca in cui l’importante era aprire i cantieri, pagati a pie’ di lista.
Poi è arrivata la crisi economica e i nodi sono venuti al pettine. Anche se nessun reato sarà accertato ci sono alcuni fatti evidenti dei quali sindaci, assessori, manager e costruttori dovrebbero semplicemente vergognarsi. Eccone una sintetica lista.
I costi. La Metro C è stata appaltata nel 2006 per 2,18 milioni. Il bando di gara prevedeva di collegare la basilica di San Giovanni con piazzale Clodio attraversando tutto il centro storico e il Tevere, poi da San Giovanni allungarsi fino a Pantano, estrema periferia est. Invece si è costruita prima la tratta Pantano-Lodi, che si ferma a un chilometro da San Giovanni, è quasi tutta in superficie e ha già ingoiato tutti i 2 miliardi previsti.
L’appalto Metro C nasce senza reati. Così: il 12 ottobre 2005 la cordata formata da Impregilo, Condotte e la coop rossa Cmc si aggiudica la costruzione del ponte sullo Stretto offrendo un ribasso del 12 per cento sulla base d’asta di 4,4 miliardi di euro. La cordata sconfitta (Astaldi, Vianini di Caltagirone e cooperativa rossa Ccc) fa ricorso al Tar per “ribasso anomalo”: l’accusa implicita è che si è voluta vincere la gara a ogni costo sapendo che il ponte non si farà mai e puntando alle penali già quantificate in 800 milioni per la mancata costruzione (dieci anni dopo Impregilo è in tribunale a chiedere gli 800 milioni). La cordata sconfitta sul ponte ritira il ricorso al Tar e il 14 febbraio 2006 Astaldi, Vianini e Ccc, proprio loro, si aggiudicano l’appalto Metro C offrendo alla stazione appaltante Roma Metropolitane (braccio operativo del Campidoglio, presidente il manager ex ambientalista Chicco Testa) un ribasso del 13 per cento sulla base d’asta di 2,5 miliardi: 325 milioni.
Impiegano otto mesi, 240 giorni, per scrivere il contratto di appalto che dovrebbe essere semplicemente la fotocopia del bando di gara. Invece cambia tutto. Il contratto contiene 15 volte l’espressione “in deroga a quanto previsto dal bando di gara”. Morgante l’ha scritto nelle sue lettere di contestazione delle pretese di Metro C: “Costituisce principio cardine della normativa il divieto del riconoscimento agli aggiudicatari di spettanze ulteriori rispetto a quelle messe a bando di gara”.
Walter Veltroni e Chicco Testa prima, Gianni Alemanno poi, lo storico capo della Struttura tecnica di missione del ministero Infrastrutture Ercole Incalza, i governi Prodi, Berlusconi e Monti (che hanno approvato le magiche delibere Cipe che tutto sanano e autorizzano): tutti insieme di quel divieto di legge se ne sono altamente fregati. Per anni. Cantone l’ha constatato: Metro C è riuscita a farsi approvare 45 varianti progettuali, corrispondenti a un importo di 315 milioni (pari pari il ribasso d’asta, curiosa coincidenza); ma soprattutto ha “iscritto riserve” in corso d’opera (in italiano “ha battuto cassa”) per 2,2 miliardi, attivando la girandola di arbitrati e transazioni che serve ad arricchire gli avvocati e, eventualmente, i corrotti.
Infine, la perla. Gran parte delle riserve e varianti sono dovute a “imprevisti archeologici”.
Imprevisti archeologici a Roma? Già, Roma Metropolitane “si è avventurata nell’appalto dell’opera rinviando, è da ritenersi in modo consapevole, la risoluzione della questione archeologica a una fase successiva”.
Parole di Cantone, di un anno e mezzo fa. Nessuno di quelli che dovrebbero vergognarsi gli ha neppure risposto. Tanto è tutto prescritto.
di Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 13/7/2016