Stefano Cingolani, Pagina99 9/7/2016, 9 luglio 2016
PARIGI CI COMPRA TUTTO
È tutta colpa di Napoleone III che Victor Hugo chiamò Napoleone il Piccolo; sì, proprio lui, il creatore del Secondo Impero, quel Louis-Napoléon che da presidente si fece re con un colpo di Stato e sul quale Karl Marx scrisse un saggio valido anche oggi mentre Il Capitale non si può più leggere. Ebbene, nel 1853, un anno dopo il suo 18 Brumaio, il neo padrone della Francia istituì la Compagnie Générale des Eaux con il compito di «provvedere alla distribuzione dell’acqua nelle città e all’irrigazione delle campagne». Il primo contratto venne decretato il 14 dicembre per la città di Lione. Poi sarebbe toccato a Nantes (per 60 anni); Parigi arriverà solo nel 1860. Altri concorrenti s’affacceranno sul mercato domestico creando le basi per trasformare la Francia in un campione nazionale delle imprese che erogano servizi di pubblica utilità. Un secolo dopo ne sarebbe diventata leader mondiale.
La Générale des Eaux si chiama ormai Vivendi, se buttata su media e comunicazione e in Italia è l’azionista numero uno di Telecom Italia. Nel frattempo ha scorporato la gestione delle acque in Veolia Environnement. La Lyonnaise des Eaux, rinata nel 1880 ad opera di una banca, il Crédit Lyonnais, oggi è Suez Environnement, controllata al 35% dal gruppo finanziario fondato come Compagnie universelle du canal de Suez. Nel 2008 ha assorbito anche Gaz de France in risposta alla scalata lanciata due anni prima da Enel (lo Stato francese mantiene il controllo con il 33%). Oggi, con il marchio Engie è tra i primi al mondo nel settore luce e gas.
Le eco-industrie
La Francia, del resto, rappresenta il quarto mercato mondiale delle “eco-industrie” dopo gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania, con più di 7-000 aziende specializzate nel settore. L’acqua e il suo trattamento è la componente principale con 20 miliardi di euro di volume di affari, seguita dai rifiuti (circa 8 miliardi di euro). Il mercato francese della distribuzione dell’acqua potabile è oggi detenuto all’80% da tre principali fornitori: Veolia, Engie e Saur. Una volta saturato il mercato domestico sono alla ricerca di sbocchi. L’Italia, partner commerciale forte, è il più vicino. E lo sbarco francese è guidato proprio dalle Utilities.
L’Italia è stata nel 2015 il quarto mercato di destinazione dell’export francese ed il terzo mercato di origine delle proprie importazioni. La Francia a sua volta è la seconda destinazione (prima resta la Germania) per le merci italiane (10,6% di quota di mercato). L’interscambio globale ha raggiunto i 70 miliardi di euro e il saldo di bilancia commerciale è in attivo a favore dell’Italia (5,79 miliardi nel 2015).
Negli investimenti diretti netti, invece, c’è una netta asimmetria. Secondo Banque de France, l’Italia nel 2014 ha investito in Francia 18 miliardi, contro i 46 miliardi francesi in Italia. Questi ultimi sono aumentati a un tasso medio annuale del 12% dal 1995 a oggi; al contrario, quelli italiani si sono mossi a passo di lumaca con appena il 2% l’anno. L’Italia è il settimo investitore in Francia, con 1.400 imprese che impiegano più di 100 mila dipendenti in 4.400 stabili- menti. Invece, sono presenti nel nostro paese circa 15.800 aziende a partecipazione francese, per un totale di 24.000 posti di lavoro e un fatturato di circa 100 miliardi di euro.
Molto si conosce della presenza nell’industria manifatturiera, nel lusso (Lvmh e Ke- ring), nell’agroalimentare (Lactalis-Parmalat). Ma sono i servizi a fare la parte del leone (il 60% del totale) con in testa le banche (Bnp Paribas, Credit Agricole) e le assicurazioni (Axa, Covea). Ora s’aggiunge la telefonia con Telecom Italia controllata da Vivendi. Ce poi la grande distribuzione (Carrefour, Auchan). Un po’ lontano dai riflettori c’è poi il grosso settore dei servizi di pubblica utilità. Spicca l’energia: il 10% degli investimenti francesi, grazie alla presenza di EdF (60 imprese partecipate), attraverso Edison (sulle strategie di Benayoun si veda l’articolo nella pagina seguente), di Total e di GdF-Suez (in joint venture con Acea), Engie, Veolia Environnement.
Nel trasporto ferroviario la Sncf (ferrovie di Stato) è attiva con la propria filiale commerciale Geodis e indirettamente attraverso la propria partecipazione di minoranza in Italo, mentre nel trasporto pubblico locale, il principale operatore è Ratp, già presente nelle reti di trasporto locale in Toscana e nella città di Modena. Nel corso del 2012 ha acquisito il 51% di Cilia Italia, società che provvede alla gestione dei servizi urbani, scolari e turistici nel Lazio. Nel 2010 è stata sciolta la joint venture AceaElectrabel, con il passaggio a GdF-Suez entrata direttamente nel capitale di Acea, con una quota del 30%, ora detenuta da Suez Environnement. Quest’ultima, insieme a Veolia Environnement, rappresenta la principali azienda estera nel settore idrico italiano. Nel 2012, EdF ha rilevato la quota di A2A in Edison, assumendone il controllo e divenendo il terzo operatore elettrico in Italia.
Lowprofit
Ma perché buttarsi su servizi sottoposti a leggi e regolamenti che dal governo centrale scendono giù giù per li rami fino ai comuni, ai comprensori, alle comunità montane? Inoltre, le Utilities, pubbliche, private o miste, non offrono ampi margini di profitto. Edison dal 2010 ha aumentato il risultato corrente prima delle imposte, ma siamo a poco più del 3% rispetto al fatturato. Il capitale investito rende sei euro su cento. L’Acea ha visto ridursi l’utile lordo in presenza di un leggero aumento del giro d’affari. Engie su scala mondiale fattura 70 miliardi di euro e l’anno scorso ha guadagnato appena 2,6 miliardi. Dunque, perché investire quattrini in attività con un ritorno tanto scarso?
La prima ragione riguarda la natura stessa di questo mestiere. I francesi lo fanno bene da un secolo e mezzo, l’apertura dei mercati in Europa (e qui l’Italia è andata più avanti della stessa Francia e della Germania) ha offerto loro nuove occasioni. Insomma, una espansione del core business. È vero che i rendimenti non sono elevati, tuttavia bisogna tener conto che vanno spalmati su molti anni. Questo settore non ha nulla a che fare con la logica di brevissimo periodo della finanza e nemmeno con quella dei beni di consumo. L’energia è sottoposta anch’essa agli alti e bassi della domanda e adesso l’elettricità attraversa una seria di crisi di sovrapproduzione. Ma sono tutte attività che vanno valutate nel tempo. E i francesi credono all’insegnamento dei loro storici, da Marc Bloch a Fernand Braudel: il progresso dell’umanità si giudica a lungo termine. E poi, mal che vada, interviene sempre la République, se no a che serve? Stato e mercato, logica del profitto e volontà di potenza. Cattivi pensieri forse, ma a pensar male a volte ci si azzecca.